Posts Tagged ‘Angelo d’Orsi’

:: Un’intervista con il Prof. Angelo d’Orsi sulla “crisi ucraina”, ultimo atto, i difficili negoziati di pace, a cura di Giulietta Iannone

24 febbraio 2025

Dopo l’elezione di Trump la posizione statunitense nei confronti dell’Ucraina di Volodymyr Zelens’kyj è nettamente cambiata, dal pieno appoggio del governo Biden siamo passati a varie manovre di disimpegno tra cui le trattative per la consegna di 500 miliardi (cifra sovrastimata) in terre rare di Kiev come indennizzo di guerra per il sostegno passato. Tutto si è svolto in pochi giorni lasciando le cancellerie europee sgomente. Dunque, la guerra è formalmente finita con la sconfitta dell’Ucraina e di riflesso dell’Europa a cui spetteranno tutti gli oneri? 

La sola certezza oggi, a mio parere, è la fine dell’Europa come unità di nazioni, come progetto politico, come ideale comune. E questo per me è un bene, perché nessun essere umano in buona fede e con capacità raziocinanti può essere fedele o peggio affezionato a questa Europa, a questa Unione. Il suo fallimento è assoluto, totale, e persino clamoroso. Se gli europei avessero voluto contare qualcosa avrebbero dovuto porsi subito come forza di interposizione, e come centro propulsore di pace, di accordi, di intese. Hanno fatto l’opposto, mossi da una russofobia che richiama l’antisovietismo dei decenni ante-1989. Ne hanno pagato il fio e la resa dei conti è appena iniziata.

Dunque Trump da sconfitto invece di raccogliere i cocci di una guerra che non avrebbe mai dovuto essere combattuta si sta improvvisando vincitore a cui spetteranno tutti i meriti di una prossima stipula dei trattati di pace? Secondo lei la Russia di Putin cosa vorrà in cambio? La spartizione dell’Ucraina per la ricchezza del suo sottosuolo sarà l’unico argomento sul tavolo delle trattive?

Trump è  un giocatore d’azzardo, persegue interessi propri e delle sue cricche multimiliardarie, ma ha promesso (ed è stato votato)  la fine del conflitto e la sta delineando a modo suo, dando uno schiaffo agli inetti europei. Ha il merito comunque di togliere di mezzo la retorica dell’ideologia democratica, e far cadere la politica dal cielo fasullo delle ideologie (mendaci) alla terra della concreta realtà. In fondo si tratta di un salutare bagno di Realpolitik. La Russia vuole soltanto non esser ostacolata nel suo tragitto verso il posto che le spetta e le compete nell’arengo internazionale, e non vuole un’Ucraina “spina nel fianco”. Putin non ha bisogno di conquistare l’Ucraina o di sfruttarne le ricchezze, ne ha ad abundantiam, piuttosto non vuole missili alle sue frontiere, né che la Nato abbai troppo vicina. Certo Putin considera ormai russe la terre de Donbass e la Crimea, e non escludo pensi di inserire nel “pacchetto” anche Odessa, città intrinseca alla storia e alla cultura russa. 

A Riad Stati Uniti e Russia si sono incontrati per un primo colloquio a cui seguiranno i previsti negoziati di pace. Né Zelens’kyj né inviati europei sono stati ammessi. Dunque, Trump vuole dare inizio ad accordi bilaterali per una possibile normalizzazione dei rapporti diplomatici, ed economici con Mosca. Come valuta nei fatti l’ininfluenza europea? Ci sono margini di manovra per un possibile riavvicinamento tra Russia ed Europa, a cui manca significativamente il gas russo per la propria crescita?

La UE si è auto-eliminata, e sono stati patetici i tentativi di rientrare in gioco di Macron e Starmer. Il gioco è completamente nelle mani del duopolio Trump/Putin. Agli europei, dentro e fuori la UE, è concesso soltanto il ruolo di spettatori. Credo saranno necessari anni, forse decenni per la normalizzazione Europa/Russia, ma nei prossimi anni e decenni l’Europa tutta e l’UE in specie saranno praticamente scomparse dallo scenario degli attori che contano a livello globale. Zelens’kyi è sul punto di essere buttato nel cestino dai suoi alleati/protettori e farà bene a dileguarsi prima di essere fatto fuori dai suoi stessi sodali (complici!) interni.

Il ritorno in Europa ai nazionalismi e ai governi sovranisti sta di fatto ponendo fine al sogno di un’Europa unita, solidale, e coesa. La guerra in Ucraina è stata per lei una leva, di riflesso, per interrompere questo percorso? O è un effetto collaterale non previsto?

Ripeto e ribadisco: la vicenda ucraina, dal 2014 in poi, ha segnato la fine del sogno europeo, e lo ha trasformato in un incubo. Ma ripeto ancora, questo non è di per sé un male, trattandosi di un inutile corpaccione burocratico, costoso, e politicamente irrilevante. Solo eliminandolo dalla scena si può pensare o di ricostituire un nuovo progetto unitario continentale, oppure sostituirlo con un progetto alternativo per esempio l’Unità euromediterranea o addirittura mediterranea tout court.

Secondo lei i tentativi di istaurare un dialogo diretto con Mosca da parte di Trump hanno lo scopo preciso di allontanare Pechino da Mosca rinsaldando alleanze economiche, politiche e militari che attualmente sono solo sulla carta? Secondo lei Mosca preferisce Washington a Pechino?

Sì tutti ripetono questa tesi, ma io sono assai in dubbio. Cina e Russia si sono assai rinsaldate in una unione che non è solo politica ma copre ogni ambito. Non vedo come Trump possa spezzare questo legame. Diciamo che anche se Trump avesse questo obiettivo, partirebbe troppo tardi, quando ormai il blocco russo-cinese è già di fatto costruito. E la Russia ha nella sua vocazione e nella sua storia un elemento ancipite: è europea e insieme asiatica. Se Putin riuscisse a conservare entrambe le relazioni (USA e RPC), farebbe un capolavoro: comunque vada, l’Europa è tagliata fuori, e non ha alcuna chance di rientrare in gioco e si sta prendendo ogni giorno giuste sberle dai russi.

Come valuta il futuro politico di Volodymyr Zelens’kyj? Anche lei ritiene che se anche solo non farà la fine di Saddam Hussein sarà fortunato? Non gli consiglierebbe di dimettersi per potere indire nuove elezioni politiche anche se difficilmente ne uscirebbe vincitore?

L’ex attore è ormai politicamente finito, non serve a nessuno e farebbe un favore a tutti (a cominciare dai suoi amici occidentali) a scomparire, e come ho accennato, personalmente non scommetterei un euro sulla sua stessa sopravvivenza fisica. Altro che elezioni. Ne uscirebbe travolto, se si svolgessero liberamente, cosa di cui c’è da dubitare, visto come si è comportato, mettendo fuori legge tutti i partiti eccetto il suo e tutti i giornali tranne quelli a lui fedelissimi.

Ricollegandoci alle nostre precedenti interviste sulla guerra ucraina, è triste dover dire che erano prevedibili gli esiti a cui stiamo assistendo in questi giorni. Come abbiano potuto far credere all’opinione pubblica che la Russia avrebbe potuto essere sconfitta militarmente (senza neanche la possibilità di un intervento diretto della NATO che avrebbe comportato il rischio di un reale scoppio della Terza Guerra Mondiale) è ancora un mistero, ci sono colpe e responsabilità precise per tutti questi anni di sofferenza. Che scenari ipotizza per il futuro? Sorgeranno in Europa politici illuminati capaci di ribaltare la situazione? O andremo incontro a derive antidemocratiche? Grazie.  

Mesta consolazione “l’avevo detto io!”, ma è proprio così. Mezzo milione di cadaveri, un Paese devastato, e pressocché oramai disabitato, un’abitudine alla violenza diffusa a livello continentale, la cancellazione di un tessuto di relazioni Est/Ovest in Europa faticosamente costruito lungo gli anni. E ancora oggi ci sono politici e opinionisti che continuano ad affermare che si può sconfiggere la Russia. Sono mossi, come l’intero Occidente (lo ha rilevato Emanuel Todd nel suo ultimo libro; La sconfitta dell’Occidente, Fazi editore) da una terrificante, insopprimibile spinta nichilistica. Quanto alle nostre classi politiche il panorama è deprimente. Bisogna immaginare un percorso di lunga lena, volto a formarne di nuove competenti, serie, e che abbiano a cuore soltanto gli interessi generali non quelli personali, di clientele, di famiglie, di partiti. Una prospettiva davvero lontanissima.

:: Un’intervista con il Prof. Angelo d’Orsi sulla crisi ucraina alla luce dell’attacco terroristico al Crocus City Hall di Krasnogorsk, vicino a Mosca, a cura di Giulietta Iannone

16 aprile 2024

Bentornato professore e grazie di averci concesso questa nuova intervista che verterà essenzialmente sul decomporsi della crisi ucraina e dell’inserimento del filone islamico dopo l’attentato terroristico avvenuto il 22 marzo scorso vicino a Mosca. Mi ricollego alla precedente intervista che ci concesse nel febbraio del 2022 quando fu subito chiaro, almeno a noi, che sarebbe stata una guerra lunga, destabilizzante e dolorosa, soprattutto per la popolazione, nel cuore slavo dell’Europa. Siamo infatti al secondo anno di guerra e non si intravedono spiragli di pace, anzi tutto sembra tendere, contro il volere dei cittadini europei, ricordiamoci che mancano pochi mesi alle elezioni di giugno e questo potrebbe avere un peso, a un allargamento del conflitto e a una pericolosa escalation. Dunque sanzioni, minacce, aiuti economici e militari all’Ucraina, provocazioni, ora c’è un accordo sull’uso dei profitti degli asset russi per riarmare Kiev, non sono serviti a niente, insomma l’Occidente le ha provate tutte ma Putin è ancora saldo al potere, da pochi giorni rieletto con elezioni quasi plebiscitarie, e si può dire anche che in Ucraina stia militarmente vincendo. Invece di concordare una pace, o perlomeno un cessate il fuoco, assistiamo a un repentino rilancio con una paventata estensione del conflitto ai paesi NATO. Teniamo anche conto che due nuovi paesi Finlandia e Svezia fanno ora parte della NATO. Negli ultimi tempi questa estensione del conflitto con toni perentori sembrava imminente. Secondo lei è solo propaganda o si arriverà davvero a uno scontro armato tra NATO e Russia?

La guerra sta rivelando, a chi non abbia occhi foderati di ideologia, che la Russia – a prescindere dallo status politico che nel corso dei secoli ha avuto, dagli zar al bolscevismo, dallo stalinismo al gorbaciovismo, fino alla destabilizzazione post 1991- ha tali riserve territoriali umane ed economiche che, al di là di singoli episodi di sconfitta, è in sostanza imbattibile. La tenuta dell’economia russa a dispetto delle sanzioni, il consenso di massa al presidente della Federazione, la presa crescente che essa ha esercitato su un amplissimo schieramento di Stati, e la costruzione di un duopolio con la Repubblica Popolare Cinese, in funzione chiaramente anti-USA, sono altrettante prove. La prova regina è che le forze armate russe, dopo le incertezze e gli errori dei primi mesi di combattimento, hanno sbaragliato non solo quelle ucraine ma indirettamente anche quelle dei vari Paesi NATO che si sono impegnati in vario modo a sostegno dell’esercito ucraino. E va sottolineato come diversi di quei Paesi non hanno rinunciato a collaborare in modo determinante ad azioni di tipo terroristico, contro il territorio, le strutture, e la popolazione della Federazione. L’attentato a Mosca sebbene non ancora decifrato completamente è un episodio che è legittimo sospettare (sulla base di una molteplicità di indizi) giunga non dalla fantomatica ISIS oggi praticamente sparita, ma piuttosto dai servizi segreti ucraini in stretta collaborazione con quelli esterni probabilmente britannici polacchi e tedeschi.

Il conflitto in Ucraina ha rivelato anche che Putin, come che lo si voglia giudicare, sta portando avanti, coerentemente, tra alti e bassi, una linea politico-militare che ha distrutto l’economia ucraina, insieme con le sue infrastrutture (specie energetiche), ha ridimensionato la sua potenza militare, e ha messo a nudo i limiti della sua “democrazia” e la debolezza del suo sistema economico. Da politico accorto, anche con errori e incertezze, Putin ha dichiarato fin dal 22 febbraio 2022 che la Federazione Russa non intendeva entrare in guerra contro la NATO, e ancora recentemente ha sottolineato l’enorme sproporzione di mezzi, e di armamenti, ma, ha ricordato non in termini bluffistici come osservatori superficiali e corrivi alle direttive dei poteri dominanti, che nei magazzini del suo Paese esiste una formidabile riserva di testate nucleari, la maggiore del mondo. Un avvertimento di cui va tenuto conto, perché, a mio parere, le gerarchie politiche e militari russe useranno il loro arsenale, sia pure in modo forse limitato, ma comunque devastante, in caso di attacco da parte della NATO.

Sembra che solo la Cina continui la sua missione diplomatica alla ricerca di una soluzione politica della crisi ucraina. Lo scorso 7 marzo il Rappresentante Speciale del Governo Cinese per gli Affari Eurasiatici, Li Hui, è giunto in tutta fretta a Kiev per un giro di incontri anche in altri paesi europei (esclusa l’Italia). Pensa che i loro sforzi aiuteranno al raggiungimento di un accordo nel breve termine? Cosa lo impedisce? Come valuta questa vocazione tesa al mantenimento della pace della Repubblica Popolare Cinese?

La Repubblica Popolare Cinese, è indubbio, sta dimostrando una vocazione e una costanza nella ricerca di una soluzione diplomatica della crisi, ma negli ambienti occidentali, e nella stessa Ucraina, la Cina viene vista come un sostanziale alleato dalla Federazione Russa. E in una certa misura lo è, perchè l’accordo tra Pechino e Mosca sulla necessità dell’abbandono della organizzazione del pianeta fondata sull’unipolarismo, sul predominio del dollaro, sulla pretesa “superiorità morale“ dell’Occidente. E si tenga conto che tutta la leadership politica occidentale spinge verso la „vittoria“, e tanto più impossibile, impraticabile francamente delirante, è questo obiettivo, tanto più la grande maggioranza di questa leadership insiste sulla necessità della sconfitta della Russia. Una vera e propria follia, che si spiega con la totale sudditanza occidentale agli Stati Uniti.

Senza l’aiuto europeo, e soprattutto statunitense, l’Ucraina non avrebbe resistito militarmente due anni, ora la situazione è delicata e questo aiuto rischia di interrompersi. Il Senato statunitense ha approvato un paccehtto di aiuti per Ucraina, Israele, e Taiwan da circa 95 miliardi di dollari. Il pacchetto dovrà ottenere ora il voto della Camera dei Rappresentanti controllata però dai repubblicani, tenacemente contrari al sostegno economico a Kiev. E’ possibile che questo pacchetto di aiuti venga intenzionalmente fermato causando così di fatto sia la più drammatica sconfitta ucraina e di riflesso un grave smacco per i democrtici, fermando così una possibile rielezione a novembre di Biden? Per alcuni bisogna infatti solo aspettare le elezioni con la possibile vincita di Trump, e nell’ottica del disimpegno si potrà siglare finalmente il tanto sospirato trattato di pace con la Russia. O abbandonare l’Ucraina al suo destino è una scelta calcolata degli statunitensi avendo già raggiunto i loro obiettivi, tra cui l’insanabile frattura che ormai sussiste tra Europa e Russia?

Se da una parte le classi di governo occidentali e la quasi totalità della UE (ma si stanno manifestando notevoli incrinature, ultima la posizione assunta dalla Slovacchia, che si sta avviando su una linea anti-ucraina e filorussa), insistono per la impossibile sconfitta della Federazione Russa, al prezzo del sacrificio di centinaia di migliaia di vite umane, a cominciare da quelle ucraine, le popolazioni europee sono nettamente orientate in senso contrario. Non necessariamente per spirito filorusso, ma per paura dell’apocalisse: come per il Medio Oriente, gli europei più che desiderare la pace desiderano essere lasciati in pace, anche se personaggi come Zelensky e Netanyahu, due fratelli gemelli, ormai godono di un totale discredito, anzi di un vero e proprio odio pubblico, di cui gli orientamenti assunti dal nostro governo farebbero bene a tener conto. Gli abbracci della premier Meloni con l’uno e con l’altro non hanno giovato al consenso verso di lei e verso il suo Esecutivo. Le voci più autorevoli, sul piano politico e su quello intellettuale, oggi sono perfettamente consapevoli che non si può tirare oltre la corda, continuando a concedere aiuti finanziari, più in generale economici e soprattutto militari, a Zelensky. E negli USA tanto a livello di classe dirigente quanto di opinione pubblica, il capitale di favore di cui il presidente ucraino godeva si è ampiamente disciolto. La consapevolezza che l’Ucraina ha perso la guerra, e giace in una condizione di crisi totale, è ormai diffusa, con la conseguenza di un giudizio di sostanziale inutilità nel prosieguo del sostegno al traballante governo Zelensky. Certo è che se si sono spezzati i legami tra Russia ed Europa, non sono state affatto recise le connessioni tra Russia e resto del mondo, ossia i 4/5 del Pianeta, che sempre più tende a guardare a Mosca invece che a Washington o Londra o Parigi.

Siamo ancora scossi per l’attacco terroristico al Crocus City Hall di Krasnogorsk, vicino a Mosca, rivendicato apparentemente dall’ISIS. In che misura il terrorismo islamico si inserisce come nuova variante in questa guerra?

Che l’estremismo islamico sia nemico della Federazione Russa è cosa nota, ma questo atto al Crocus City Hall presenta molti aspetti nuovi, diversi: è la prima volta che gli autori si presentano in abiti militari, anzi in tenuta da combattimento, mentre, in ogni azione precedente, hanno sempre agito con i loro abiti usuali; e la rivendicazione è stata confusa, tardiva, e l’arresto di alcuni degli autori, in zona di confine, verso l’Ucraina, è un indizio importante che aumenta i dubbi. A maggior ragione se si pensa che l’Ucraina ha fatto già ricorso più volte ad atti squisitamente terroristici, come l’uccisione di Daria Dughina a Mosca con una bomba, gli attentati ai gasdotti North Stream 1 e 2, e così via. E poi, perchè proprio adesso, dopo anni di silenzio l’ISIS si risveglia e opera in Russia? Oggi quella organizzazione di fatto non esiste più ed è assai improbabile che sia avvenuta una sua rinascita ad hoc.

Inascoltati gli appelli alla ragione e al buon senso di Papa Francesco che pur non essendo un esperto di strategie militari consiglia che la cosa migliore da fare è avviare delle trattive, concordare un cessate il fuoco e accettare concessioni reciproche che tengano conto degli interessi vitali di entrambi i contendenti. Che la popolazione la pensi come lui è evidente, secondo lei perchè la gente non scende in piazza e manifesta vivacemente a favore della pace? Perchè almeno i partiti di sinistra non sollecitano il loro elettorato a scendere in piazza con una grande mobilitazione generale?

La sinistra è morta o quasi. Ciò che si chiama correntemente sinistra (o centrosinistra) non ha quasi nulla a che fare con le idealità, la tradizione, l’identità delle lotte per la pace, la giustizia, l’uguaglianza che sono nel dna della sinistra. Papa Francesco oggi è non soltanto il pontefice della Chiesa di Roma, ma è un attore politico, le cui parole in molti ambiti, specie quello della politica internazionale è decisamente più a sinistra dei leader della cosiddetta sinistra almeno quella in Parlamento, e specificamente, soprattutto, del PD, che in tale ambito è del tutto appiattito su di un antlantismo sconcertante. La popolazione come dicevo, nella sua maggioranza, vorrebbe non avere noie, ma la preoccupazione per la situazione mondiale è diffusa. Non sull’Ucraina ma sulla Palestina e specialmente su Gaza, abbiamo visto un ridestarsi dell’anima più sinceramente contro la guerra, contro la risoluzione dei contrasti per via militare, e soprattutto a favore della causa più nobile e giusta oggi presente sulla Terra, la causa palestinese. Certo la mobilitazione è assai minore rispetto ad altri Paesi europei, ed extraeuropei, ma era da decenni che non si vedevano tante manifestazioni e tante azioni (vedi soprattutto il boicottaggio accademico) a favore della libertà del popolo palestinese, e della fine della sopraffazione israeliana, e in primo luogo del genocidio incrementale in corso a Gaza.

Auspica anche lei una “nuova” Helsinki, adattata alle cambiate condizioni geostrategiche, che conservi però lo spirito di Helsinki come un vero punto di partenza per governare pacificamente il mondo multipolare dei prossimi decenni? Certo lo scenario è cambiato, l’URSS non c’è più ma la necessità di una nuova conferenza di pace su quel modello è sentita dai vari leader politici in campo?

Sì concordo. Una conferenza di pace planetaria per evitare la guerra planetaria.

Infine le chiedo un bilancio politico di questi due anni di guerra, e come si inserisce l’accordo bilaterale tra Meloni e Zelesnky per un sostegno decennale, siglato nella capitale ucraina. Grazie.

La Meloni e il suo governo sono un caso interessante di totale voluta dimenticanza delle promesse elettorali e di rovesciamento delle proprie linee politiche. Alla fine è rimasta solo la Lega a balbettare qualche parola di pace, dopo il fallito tentativo di Berlusconi di respingere la genuflessione meloniana a Zelensky e quindi agli USA. Un accordo decennale è una vera follia, del resto del tutto impraticabile. Una mossa propagandistica al livello di “Inseguiremo gli scafisti per tutto l’orbe terracqueo…” o del “Nuovo Piano Mattei per l’Africa”. Propaganda che serve soprattutto a chiedere il sostegno di gruppi finanziari e imprenditoriali, specie del settore delle armi e di quello energetico.

La guerra in Ucraina si è rivelata un fallimento clamoroso per l’Italia, l’Europea, la UE in particolare e per la comunità occidentale, a partire dal Paese leader, gli USA. Non ho bisogno di insistere su questo, perchè solo chi non vuol vedere, può continuare a sognare la disfatta russa e la prosecuzione degli aiuti a Zelensky, che hanno come unico effetto l’incremento della morte in Ucraina e della devastazione di quel territorio.

:: Un’intervista con il Prof. Angelo d’Orsi sulla crisi ucraina. Storia, analisi, previsioni a cura di Giulietta Iannone

28 febbraio 2022

Una premessa: questa intervista è stata concordata ieri, domenica 27 febbraio, invito i gentili lettori a tenere presente questo.

Buongiorno professore e grazie di averci concesso questa intervista che verterà essenzialmente sulla crisi ucraina. La situazione è seria e preoccupante, inizialmente perchè sembra sia gestita da irresponsabili che si dimenticano che la Russia è una potenza atomica che può innescare un conflitto atomico in qualsiasi momento. Soprattutto se si sentirà accerchiata e senza una qualsiasi via d’uscita. Che questo conflitto non era da iniziare lo sappiamo tutti, molti hanno cercato di impedirlo sperimentando la loro impotenza, ma secondo lei rischiamo davvero un conflitto nucleare su larga scala?

Come mi capita sovente di dire, gli storici non devono fingersi profeti e quando lo fanno di regola sbagliano anche clamorosamente. Azzardo comunque una risposta: proprio perché la situazione è ad altissimo rischio, non penso si arrivi a un conflitto generale, tanto meno con uso di armi nucleari. La “comunità internazionale”, che è un modo scorretto e surrettizio per dire l’Occidente capitalistico, ha sempre sofferto di strabismo: vede ciò che fa comodo e ignora ciò che non fa comodo. E mi preoccupa di più lo scatenamento della russofobia, che sta travolgendo tutta la “comunità internazionale”, ossia i paesi capitalistici. L’Unione Europea, e gli Stati Uniti in testa. Questo mi preoccupa, perché anche se non ci scoppierà la Terza Guerra Mondiale, tutti pagheranno caro questa perdita di buon senso, che si tradurrà – si sta già traducendo – in una frantumazione generale non solo degli equilibri internazionali, delle relazioni commerciali, ma anche dei rapporti culturali, e umani. Le frasi che sono state proferite da Hollande o Letta, da Biden o dalla von der Leyen, da Johnson e da Borrell sono inquietanti, anche per la incapacità politica che rivelano, ossia l’incapacità di comprendere le conseguenze degli atti che si compiono. La politica è l’arte di guardare lontano. E costoro sembrano proprio ignorarlo.

Zelensky (e il suo entourage) non vuole andare in Bielorussia per sedere al tavolo delle trattative. E lo capisco ha paura di essere ucciso. Non si può scegliere un luogo più neutrale? Esiste ancora un luogo neutrale?

A questo punto, la risposta appare superflua dato che i colloqui sono stati decisi e forse iniziati quando questa intervista sarà pubblicata. E sarà una buona notizia per tutti. In fondo se le garanzie concesse dai governi russo e bielorusso a quello ucraino, sono state giudicate sufficienti da quest’ultimo, il problema della richiesta di un luogo neutrale appare del tutto minore, e forse non esente da elementi di pretestuosità.

Tutte le guerre sono sporche, questa in particolare si poteva evitare? Cosa non è stato fatto per impedirla?

Direi che non è stato fatto nulla per impedirla. Salvo poi lamentarsi e piangere, da un lato, e imprecare dall’altro. Si sono immediatamente rispolverati i grandi topoi retorici della “guerra giusta”, quella giusta per eccellenza, il Secondo conflitto mondiale, e del gioco semplificatorio fino ad essere fasullo tra un “cattivo” (la Russia) e un “buono” (l’Occidente tutto, con qualche annesso extra europeo ed extra-americano). In tal senso il richiamo alla guerra mondiale è paradigmatico, fondato naturalmente di nuovo sulla semplificazione, nella comoda riproposizione della colpevolezza unica di un solo attore in campo (la Germania), come del resto aveva fatto la narrazione delle nazioni della Intesa nel 1914 che addossarono ogni responsabilità del conflitto (la Prima guerra mondiale) agli Imperi Centrali. Stiamo assistendo a un nuovo, penoso capitolo di uso politico della storia. Aggiungo che gli Stati Uniti hanno fomentato, in ogni modo, hanno creato la situazione per la guerra. Volevano spingere Putin all’invasione, per bloccare il processo in corso di ricostruzione del ruolo della Federazione Russa come grande potenza, nella convinzione che la reazione internazionale sarebbe stata talmente forte da ridurre il ruolo della Russia nel prossimo futuro. Dopo aver messo in campo esercitazioni militari NATO sempre più prossime ai confini russi, e fatto sentire a Putin che la minaccia si avvicinava, come potevano aspettarsi che non reagisse?Del resto tutti gli attori in campo sono mentalmente e culturalmente “vecchi”: papa Francesco – su cui personalmente nutro numerose riserve – è assai più giovane di loro. La guerra è un residuo ancestrale che appartiene alla preistoria, e andrebbe espulsa dal presente, e invece la corsa agli armamenti prosegue, e l’Italia, in mano a un gruppo di affaristi senza scrupoli e di pericolosi incompetenti, non si è tirata indietro, piegandosi volentieri ai diktat USA e alle sciagurate decisioni della UE, altra fomentatrice di odio. Oggi UE e NATO sono fattori di instabilità mondiale, questa la verità.

Unione europea, USA e NATO minacciano esclusivamente sanzioni economiche e finanziarie, le sembra la strada giusta per arginare il conflitto?

Le sanzioni, lo dimostra la storia, non hanno mai danneggiato veramente gli Stati contro i quali sono state emanate e applicate. Anzi sono spesso servite a compattare la popolazione intorno ai loro leader. E se recano danno, lo recano, in misura quasi paritaria, a chi le applica e a chi le subisce, soprattutto da quando l’economia mondiale è diventata interconnessa, globalizzata. Non si può danneggiare un attore senza danneggiare altri attori in scena. E quando l’attore che si vuole danneggiare, la Federazione Russa, è un gigante economico con rapporti rilevanti con tutti i paesi del modo, le sanzioni produrrebbero conseguenze negative, pesantemente negative, per il mondo intero.

Lei da storico e da politico cosa consiglierebbe di fare a Putin in questo momento?

Di limitarsi a dare una lezione al governo ucraino, favorendo un ricambio, con la fuoruscita della componente neonazista dalla compagine di Kiev, e limitare l’occupazione al recupero alla Federazione Russa delle regioni del Donbass e dei territori russofoni, da confermare con un referendum.

In tutta sincerità penso che la Russia abbia sbagliato i calcoli se riteneva sarebbe stata una Blitzkrieg con la quasi immediata resa del governo ucraino (per oggettiva disparità di forze), in realtà ora si sta combattendo casa per casa, le potenze occidentali stanno inviando armi e tecnologia. E’ in corso una guarra cibernetica. Si prospetta una guerra lunga, sanguinosa, e destabilizzante non solo per i contendenti. Sarà per Mosca un nuovo Afganistan?

Non credo, la Russia può schiantare l’Ucraina facilmente, e rapidamente, se vuole. E la differenza anche morfologica del territorio ucraino rispetto alla impenetrabile montuosità afgana rende il paragone improponibile, e una seconda ragione è che in Afganistan v’era una guerra di guerriglia che vinse, in Ucraina c’è uno scontro tra due forze armate regolari, e la differenza di potenza tra le due forze è gigantesca e la resistenza popolare contro i russi da parte degli ucraini non sembra avere reali possibilità di successo, al di là di una narrazione mendace, che si spinge fino a ricorrere a immagini false, provenienti da altre guerre.

La Cina è prudente, appoggia Mosca ma senza sbilanciarsi, ventilando la strada della diplomazia e della conciliazione. E’ ancora possibile una conciliazione secondo lei, od è già troppo tardi? E più il tempo passa, e più i giorni di guerra si susseguono e più questa conciliazione sarà possibile?

La conciliazione forse no, ma una composizione è sempre possibile e forse il ruolo della Cina, potrebbe essere decisivo. Il gigante asiatico come sempre persegue, inevitabilmente e direi giustamente, i propri interessi e gioca come sempre di rimessa, ma la sua stessa forza poderosa, su tutti i piani, costituisce un deterrente per l’intero scacchiere internazionale. La Cina non parla, ma è pronta a far sentire il suo peso.

Le responsabilità di Mosca nell’iniziare il conflitto sono chiare. Quali sono le responsabilità dell’Occidente e soprattutto degli Stati Uniti, che come superpotenza mondiale possono decidere con maggiore incisività le sorti delle questioni del mondo.


Mosca ha compiuto non l’atto iniziale, penso, ma piuttosto quello finale della crisi. Un atto che la nostra coscienza di “moderni“ riprova, ma che nella logica antica del realismo politico, condito con una larga dose di spregiudicatezza e di cinismo, Vladimir Putin considera del tutto normale, ma almeno gli si riconosca che non si riempie la bocca con parole come «democrazia» et similia come fa Biden, e il coro di servi sciocchi di Bruxelles.

Se questa guerra non viene al più presto fermata, oltre a una difficile ricostruzione e conciliazione in che misura destabilizzerà le economie sia della Russia ma anche dell’Europa? Avere una Russia e un‘Europa deboli, favorirà USA e Cina?

Credo di avere già risposto. La guerra e la guerra economica (le sanzioni) recheranno danni a tutti, salvo che ai produttori di armamenti e ai loro commercianti. In ogni caso la Cina, chissà se l’America lo ha capito, è in prospettiva il vincitore. E Putin con molta astuzia e quel realismo condito di cinismo cui accennavo, lo sa e ha portato avanti una politica di sotterranea e via via più palese politica di sostanziale alleanza,almeno in prospettiva. In caso estremo, chi oserebbe mettersi contro un simile baluardo russo-cinese? Infine, la storia ci ricorda che chiunque abbia aggredito la „Grande Madre Russia“ ne è uscito con le ossa rotte.

Come ultima domanda, ringraziandola ancora del suo prezioso contributo, le chiedo da storico una riflessione sul fatto che dal 2014 la situazione in Ucraina era instabile, pronta a esplodere in qualsiasi momento. Perchè non si è scelto la strada del federalismo e della neutralità (sul modello dei Cantoni Svizzeri) che avrebbe salvaguardato l’integrità territoriale del paese, e avrebbe permesso di capitalizzare le immense ricchezze che possiede?

L’Occidente – UE e USA – hanno giocato col fuoco, sostenendo il colpo di Stato di Euromaidan, foraggiando bande neonaziste, che si sono macchiate di crimini orribili. La NATO ha portato avanti una politica pericolosissima di allargamento, contro tutti gli accordi presi trent’anni fa con l’URSS prima e la Federazione Russa, poi, accordi variamente ribaditi negli anni seguenti. La Russia è stata accerchiata, umiliata e messa all’angolo. Si aspettavano che continuasse a subire? Gli occidentali hanno seminato vento per anni, e ora raccolgono tempesta.

Torino, 28 febbraio 2022

:: Un’ intervista con il professore Angelo d’Orsi

5 luglio 2015

books_002Benvenuto professor d’Orsi su “Liberi di scrivere” e grazie di avere accettato questa intervista. È ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino, studioso del pensiero politico del Novecento e di Gramsci, fa parte tra l’altro della Commissione per l’Edizione Nazionale degli Scritti di Gramsci e ha ideato e dirige FestivalStoria e la rivista di storia critica “Historia Magistra” (FrancoAngeli editore). Come è nato il suo interesse professionale e umano per Antonio Gramsci?

Sono giunto a Gramsci attraverso Torino: negli anni Ottanta, fui inserito in un gruppo di ricerca sulla storia di Torino nel Novecento. Ovviamente mi sono imbattuto in questo sardo che giunse sotto la Mole nel 1911, e se ne andò nel 1922. Solo una decina d’anni, ma decisivi tanto per quello studente che non divenne dottore dell’ateneo torinese, dove si era iscritto alla Facoltà di Filosofia e Lettere, quanto per la città. A dire insomma, che Gramsci non sarebbe stato lo stesso senza Torino, ma Torino non sarebbe stata la stessa, non avrebbe potuto avere la sua identità di “città seria”, come la descrive lo stesso Gramsci.
Ovviamente conoscevo Gramsci dai tempi del liceo, quando comprai, sulle bancarelle di via Po una edizione dei Quaderni del carcere in cofanetto. Poi acquistai le Lettere. Studiando la sua biografia del periodo torinese, operai una sorta di identificazione. Ero un ragazzo del Mezzogiorno anch’io emigrato al Nord. Anche io come lui provai il desiderio di fuggire da una città che mi parve “fredda e ostile”, ma a differenza di Gramsci non sono riuscito mai a considerarla “mia”. Ma di Gramsci mi affascinò prima l’uomo, poi il pensatore. Fu, da subito, per me, innanzi tutto un maestro di vita morale e di rigore intellettuale.

Ha dedicato molti lavori alla figura di Antonio Gramsci, tra cui Inchiesta su Gramsci Quaderni scomparsi, abiure, conversioni, tradimenti: leggende o verità (Accademia University press), un volume collettivo uscito l’anno scorso da lei ideato, in seno alla Redazione centrale di “HistoriaMagistra”, e curato. Un volume chiaro e interessante anche per chi esperto gramsciano non è. Dopo la sua introduzione, che consiglio di leggere alla fine, una griglia di dodici domande, che leggendo la sua introduzione era su per giù quelle che avrei voluto fare a lei, seguite dalle risposte di poco più di una ventina di esperti e in conclusione un intervento di Antonio Gramsci Junior. In che misura era necessario un libro del genere nell’ampio panorama degli studi gramsciani?

Il libro occupa uno spazio inedito nel panorama internazionale degli studi gramsciani. Ed è un peccato che sia stato così poco recensito. Qui conta la forza dell’editore, e ovviamente Accademia University Press, che ha accolto sotto le sue insegne la collana “Biblioteca di Historia Magistra” (questo è il primo volume), non è una potenza. L’Inchiesta mira a fare pulizia rispetto a tanto chiacchiericcio giornalistico o pseudoscientifico. Troppe leggende circolano sulla vita di Gramsci, troppe insinuazioni prive di riscontri, troppa storia indiziaria. E tutto ciò ha un evidente significato culturale e talora politico, rispetto al quale l’Inchiesta ha assunto il compito di rimettere per quanto possibile le cose a posto. Credo si tratti di un volume importante anche per la qualità e la quantità dei contributi, che hanno impegnato molti dei migliori studiosi di Gramsci, di tre diverse generazioni.

Dalla sua introduzione emerge in maniera molto nitida l’esistenza di una vasta comunità gramsciana, per alcuni versi coesa, per altri terreno di aspri dibattiti e divergenze. Perchè secondo lei una personalità come quella di Gramsci ha suscitato, forse molto più di altri pensatori, questo acceso dibattito? Sono di così difficile interpretazione i suoi scritti? Mi riferisco ai Quaderni, e alle Lettere, ricordiamoci redatti in uno stato di detenzione e di privazione della libertà.

Proprio la condizione particolare in cui Gramsci ha scritto rende complesso il lavoro di decifrazione, e interpretazione. Gramsci non è autore di opere in senso proprio, ma solo di articoli, interventi politici, epistole, e appunti di varia natura e argomento (quelli raccolti nei Quaderni del carcere). In certo senso Gramsci è autore postumo, in quanto è stato scoperto sostanzialmente dopo la morte, a partire dal a1947 (era morto nel 1937). E del resto tutti i grandi autori sono oggetto di dispute ermeneutiche. Nel caso di Gramsci le dispute sono particolarmente aspre perché vi è un risvolto politico assai forte. E si tratta di qualcosa che richiama una ideologia e un movimento politico, il comunismo, che sono oggetto di attenzione tanto forte quanto contrastante.

In uno degli studi contenuti nel volume si accenna al grande merito di Togliatti di aver salvato e permesso di tramandare i suoi scritti e il suo pensiero. Condivide questo punto di vista?

Non si tratta di un punto di vista, ma di un dato storico. Sottoscrivo pienamente.

Erano più i punti di divergenza o convergenza tra Togliatti e Gramsci? In cosa erano più distanti?

Erano due personalità assai diverse: Togliatti è un politico dalla testa ai piedi, e impronta la sua azione ai princìpi del realismo fino alle estreme conseguenze, con tratti di cinismo, forse inevitabili nei drammatici frangenti storici attraversati. Gramsci è un intellettuale prestato alla politica, di cui ha una concezione etica, non esente da punte di utopismo. Ma sono concordi tatticamente, e strategicamente, fino al 1926, quando si consuma la rottura tra loro, mai più sanata, in merito al giudizio sulla situazione politica in Unione Sovietica e in particolare in seno al PCUS dove Stalin sta sgominando le opposizioni interne, e Gramsci segue questo processo con apprensione. E ciononostante negli anni della prigionia il filo tra i due non fu mai spezzato, e il rapporto fu proseguito per interposte persone.

Sempre nella sua introduzione sottolinea che molte polemiche sono per lo più strumentali e ideologiche, atte non a scoprire o difendere una verità anche non di schieramento, ma per lo più fatte per danneggiare una corrente di pensiero di cui Gramsci era ed è tutt’ora uno dei più autorevoli, soprattutto moralmente, esponenti, è esatto?

È del tutto legittimo quanto meno il sospetto che gran parte delle polemiche siano riconducibili a una precisa intenzionalità politica, sia pure duplice, ma anticomunista: da una parte, se si vuole propagandare il Gramsci buono, lo si contrappone al Togliatti cattivo, ma la bontà del primo corrisponde all’allontanamento dal marxismo, e dal suo intimo ripudio del marxismo, con una aggiunta che però solo qualcuno osa proporre: il ritorno alla fede dei padri, al cattolicesimo. D’altro canto, se si accetta il princìpio del Gramsci comunista allora la condanna è comminata a lui, oltre che alla sua parte politica, facendo dell’autore dei Quaderni un precursore delle Brigate Rosse, o comunque un politico pratico al quale non si riconosce alcuna autorità in campo intellettuale.

Si parla di un Gramsci dopo la prigionia “redento”, socialdemocratico se non liberale, addirittura soggetto di una conversione religiosa. A tutt’oggi, con gli scritti di cui disponiamo e gli strumenti metodologici attuali, ci sono più che indizi in tal senso, o sono solo travisamenti funzionali collegabili a quanto detto prima?

Ho già accennato alla questione. Le pezze d’appoggio non esistono, né per un Gramsci liberale né, tanto meno, per un Gramsci cattolico. La seconda è una vera e propria leggenda, che torna ciclicamente. Quanto alla prima si tratta di un’operazione che si basa sulla frammentazione dei testi, e un scorretto utilizzo delle citazioni, con una totale decontestualizzazione e una deliberata ignoranza delle scelte note di Gramsci, ben lontane da ogni orizzonte liberale. Non si può cambiare il suo comunismo critico, il suo umanesimo comunista, la sua stessa ansia di andare oltre il marxismo, pur senza mai rinnegarlo, per adesione al liberalismo…

E ora parliamo del fantomatico 34° e  addirittura 35° quaderno. Esistono riferimenti anche criptici della loro esistenza, in lettere di Gramsci stesso o di suoi conoscenti? Esistono anche flebili prove documentarie, o reputa tutto ciò parte unicamente della leggenda?

Proprio la questione dei quaderni scomparsi è stata la molla del libro di cui parliamo, anche se poi i temi affrontati sono numerosi, anzi tutti quelli che concernono le polemiche su Gramsci. Ho voluto affrontare in modo serio, senza pregiudizi, il problema posto da Franco Lo Piparo, con il sostegno, inusitato, di Luciano Canfora. E ho dato la parola anche a loro, anzi mi spiace che l’amico Canfora abbia all’ultimo rinunciato. Ma con tutta la buona volontà possibile, come del resto emerge da tutti i contributi raccolti nel volume, a parte Lo Piparo, naturalmente, non sussistono prove di alcun genere che esista un 34° o addirittura un 35° quaderno gramsciano. Gli indizi, peraltro, a cui Canfora dà tanto peso, sono flebili, e contraddetti da tutto ciò che della vita e del pensiero del Nostro si sa.

A parte i fantomatici quaderni, crede possibile che nei prossimi anni vengano scoperte nuove fonti documentarie (autentiche) questa volta? Da studioso se lo augura?

Negli ultimi venti-venticinque anni, grazie al lavoro avviato nella Edizione Nazionale degli Scritti, del cui staff cui mi onoro di far parte, si sono compiute più scoperte documentarie che in tutti i decenni precedenti, dopo la morte di Gramsci. Dunque è possibile, e ovviamente auspicabile, che tali scoperte proseguano. Ne trarrebbero giovamento tutti.

Grazie professore, spero che con questa intervista abbiamo potuto far luce su un dibattito di certo interessante anche per chi conosce solo superficialmente la vita e gli scritti di Gramsci. Mi piacerebbe concludere questa intervista con un suo profilo di questo intellettuale, sicuramente un gigante, tutt’oggi ancora modello di coerenza e onestà morale per le nuove generazioni.

Vede, sono anni che sto lavorando a una biografia completa di Antonio Gramsci. Ma procedo lentissimamente, il che per me è un dato inconsueto. Sono uno scrittore molto rapido. Ma con Gramsci è diverso: tale è il rispetto per la sua figura, tale il senso di inadeguatezza mia davanti a lui, che fatico moltissimo. Io credo che il suo fascino consista essenzialmente in tre elementi: l’elevatezza morale, il rigore intellettuale, la coerenza politica. Ma il fascino non basta. La grandezza di Gramsci sta nella sostanza del suo pensiero: che è un pensiero fortemente innovativo, ma olistico, che tiene insieme quasi ogni possibile approccio disciplinare, dalla filosofia all’antropologia, dalla scienza politica all’economia, e così via; un pensiero prospettico, con tracce di utopismo, come già accennato, capace di cogliere gli elementi della modernità, connettendoli alla storia: l’intero impianto del pensiero gramsciano è di tipo storico, in grado di partire sempre dal locale per traguardarlo nel nazionale e quindi nel sovranazionale. Un maestro di virtù, in primo luogo, indubbiamente; ma anche una bussola per affrontare la storia d’Italia e del mondo, e addentrarsi nel pensiero marxista dandone una chiave di interpretazione critica, innovativa, che ne dilata i confini. E molto altro ancora… Insomma, io credo che con Gramsci, senza esagerare, sia cominciata un’era nuova nella storia del pensiero.