
Banlieue parigina, primi anni ’70, un’anziana coppia di coniugi vive il capolinea di un amore iniziato in gioventù con le migliori intenzioni. Se poi nella parte di Julien e Clémence troviamo Jean Gabin e Simone Signoret non possiamo che assistere a uno scontro tra titani. Tratto dal romanzo Le Chat di Georges Simenon Le chat – L’implacabile uomo di Saint Germain diretto da Pierre Granier-Deferre è un gioiellino da riscoprire o da rivedere per chi lo conoscesse già. La storia narra le dinamiche di coppia di due anziani pensionati: Julien Bouin, ex tipografo, e Clémence, ex artista circense, rimasta invalida dopo una caduta. Pur apparentemente non amandosi più, dopo 25 anni di matrimonio, senza figli, non riescono a lasciare la casa che un tempo li ha visti felici, casa che sta per essere abbattuta per i nuovi piani urbanistici del quartiere. La loro quotidianità si trascina monotona anche se in realtà nasconde tensioni e rancori profondi che esplodono quando Julien porta a casa un gatto a cui riserva tutte le sue attenzioni e il suo affetto.
Clémence gelosa lo uccide e da quel momento Julien, per ripicca, interrompe ogni forma di comunicazione con lei provocandole grande sofferenza. Il film esplora temi come la solitudine urbana, l’amore in tarda età e la complessità delle relazioni umane, mostrando come, nonostante le tensioni, i due coniugi non possano fare davvero a meno l’uno dell’altra. Tanto che quando Clémence morirà di dolore, Julien la seguirà subito dopo non potendo più vivere senza di lei. La regia sobria e discreta di Pierre Granier-Deferre lascia campo libero a Gabin e Signoret di rivaleggiare in bravura mettendo in gioco tutte le loro doti attoriali per esprimere la complessità di un amore le cui braci non sono del tutto spente sebbene la dinamica del conflitto abbia prevalso e avvelenato sentimenti come la tenerezza e la complicità. Storia di per sé semplice, sono le sfumature espressive dei due attori che la rendono coinvolgente e toccante, come tra l’altro accade con la penna di Simenon, lasciando nello spettatore un retrogusto amaro e malinconico.

Ben accolto dalla critica all’uscita del film, fu considerato da Gabin la sua migliore intepretazione del dopo guerra. Il ruolo del vecchio brontolone ben gli si addice e lascia trasparire la sua capacità di immergersi in personaggi conflittuali, e incapaci di risolvere disaccordi passati. Sebbene il personaggio che interpreta di per sè non dovrebbe ispirare simpatia, la sua calda umanità lo riesce a rendere umano e commovente. Stessa cosa riesce a fare Simone Signoret, riuscendo a trasmettere al suo personaggio forza e determinazione, ma anche una sofferta vulnerabilità che ne rivela l’umanità e la grande infelicità. Essere trascurata, non desiderata, non compresa la isola in una profonda solitudine che la porterà alla morte senza che il marito abbia alzato un solo dito su di lei, a evidenziare quanto le dinamiche psicologiche siano altrettanto devastanti che la violenza fisica. Tutto è comunque sfumato, evocato più che descritto, con garbo e lievità. Interessante.
























