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:: Le ragioni del sì, ne discutiamo con il Professore Giovanni Guzzetta

2 dicembre 2016

mnRingrazio, a nome dei miei lettori Giovanni Guzzetta, professore ordinario di diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, per avere accettato il mio invito a rispondere ad alcune domande, con l’unico intento di fare chiarezza, per dissipare gli ultimi dubbi ancora rimasti in noi elettori, per permettere un voto cosciente e consapevole, in un momento così delicato della storia del nostro paese. Il professore Guzzetta difende le ragioni del sì. Non saranno domande esclusivamente tecniche, insomma cercheremo di essere il più chiari e comprensibili, per un pubblico anche di non esperti. Per par condicio ho proposto la stessa iniziativa anche al professore Angelo D’Orsi, per le ragioni del no.

Mancano pochi giorni e gli Italiani, uomini e donne saranno chiamati al voto. Saranno chiamati a decidere se modificare o meno la nostra Costituzione. Una nota a margine, senza volere minare in alcun modo il diritto democratico dei cittadini di decidere questioni anche tecniche, che riguardano lo Stato, pensa che i cittadini siano sufficientemente informati e consapevoli, data la delicatezza e la difficoltà anche per esperti giuristi di comprendere la portata delle modifiche che si renderebbero effettive? Insomma secondo lei gli italiani sono pienamente consapevoli della responsabilità che comporta questa votazione, responsabilità verso noi stessi e i nostri figli e nipoti che erediteranno questa Nuova Costituzione?

Si è assistito ad assemblee molto partecipate, a studenti desiderosi di informarsi sulle principali modifiche della riforma, all’azione di cittadini che hanno ricominciato a interessarsi alle istituzioni. Io stesso ho viaggiato e attraversato l’Italia per confrontarmi con coloro che volevano farlo. Ritengo che al di là dei toni a volte incentrati troppo sul dibattito politico, ci si sia trovati di fronte a un capolavoro di democrazia. Penso che la riforma abbia già iniziato a produrre un cambiamento positivo che riguarda la partecipazione dei cittadini e la voglia che stanno dimostrando di informarsi ed esprimere un voto consapevole. L’art. 138 della Costituzione prevede che la modifica costituzionale venga approvata con referendum (nei caso sia raggiunta la maggioranza assoluta nel Parlamento) ma non prevede alcun quorum di validità della consultazione. Ciò non perché la partecipazione non sia importante, ma al contrario, perché al referendum confermativo della revisione costituzionale si applica, senza eccezione, l’art. 48 della Costituzione che prevede che il voto sia un “dovere civico”. Tutti pertanto sono tenuti a esprimere la propria posizione sulla base dell’opinione che si sono formati sul merito, ho fiducia nei cittadini e nel fatto che saranno in grado di valutare il peso e la responsabilità che si assumono con il loro voto.

Le modifiche alla Costituzione sottoposte al Referendum del 4 dicembre sono modifiche approvate dalla maggioranza parlamentare, stilate da esperti di diritto, dopo un iter alquanto controverso e dibattuto. Insomma la legittimità del Referendum non è in discussione. Il ricorso presentato il 27 ottobre scorso dal presidente emerito della Consulta Valerio Onida contro la consultazione popolare del 4 dicembre è stato respinto. Quindi l’esito, giuridicamente sarà valido a tutti gli effetti. Un’ unica mia perplessità, come è stato possibile approvare l’Italicum, la nuova riforma elettorale unicamente per la Camera (non prendendo neanche minimamente più in considerazione il Senato), quasi come se la nuova Costituzione fosse stata già approvata? Non è un paradosso giuridico? Magari è solo un falso problema, ma mi piacerebbe fare chiarezza nel caso vincesse il no e si andasse alle elezioni.

La scelta di iniziare con l’approvazione della legge elettorale della Camera dei Deputati è dovuta proprio dalla volontà di superare il bicameralismo perfetto, ritenuta un’anomalia assoluta del nostro Paese. La sent. 1/2014 della Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità del Parlamento sulla base del principio fondamentale della continuità dello Stato che si realizza, in concreto, con la continuità dei suoi organi costituzionali, pertanto il Parlamento resta legittimato a esercitare la funzione legislativa stabilendo le priorità del Paese. La scelta di subordinare la legge elettorale del Senato alla decisione popolare in merito alla sua struttura è condivisibile da un punto di vista politico, ma soprattutto da un punto di vista giuridico, infatti la stessa Corte Costituzionale ha evidenziato che la “normativa che resta in vigore (…) è -complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo-, così come richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte”. Qualora vincesse il no si dovrebbe fare comunque una nuova legge elettorale per il Senato in assenza della quale verrà applicata quella precedente.

« Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione. » (Piero Calamandrei, Discorso ai giovani tenuto alla Società Umanitaria, Milano, 26 gennaio 1955) Chi ha scritto la Costituzione italiana? Da chi fu approvata, e da chi fu promulgata?

La Costituzione della Repubblica Italiana, vertice nella gerarchia delle fonti di diritto dello stato italiano, fu approvata dall’Assemblea Costituente, organo eletto lo stesso giorno del referendum istituzionale con cui si scelse la Repubblica. La Costituzione fu promulgata dal capo provvisorio dello stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947 e fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 298, edizione straordinaria. Entrò in vigore il 1º gennaio1948. L’assemblea costituente fu composta di 556 membri, eletti con sistema proporzionale e presieduta da Enrico De Nicola prima e da Umberto Terracini poi. Per agevolare il lavoro di redazione della Carta fu istituita una Commissione per la Costituzione, composta di 75 deputati (presieduta da Meuccio Ruini) incaricata di elaborare e proporre un progetto da sottoporre all’Assemblea. La “Commissione dei Settantacinque” si suddivise poi in tre Sottocommissioni: “Diritti e doveri dei cittadini”, “ordinamento costituzionale della Repubblica” e “ Diritti e doveri economico-sociali”. Tuttavia già a ridosso dell’entrata in vigore della Costituzione, secondo qualcuno “solo da noi il Senato è un duplicato della Camera” Luigi Sturzo, o ancora “non è un capolavoro di arte giuridica, manca la certezza del diritto, ci sono gravi imperfezioni”, Antonio Messineo.

La sua forma originaria, dal 1947 in poi, fu modificata? In che maniera, sempre tramite referendum?

Tra le grandi riforme costituzionali non può non essere menzionata la più recente, quella che ha modificato il Titolo V della II parte della Carta fondamentale.

Il titolo V è stato riformato con la legge costituzionale 3/2001. Alle Regioni è stata riconosciuta l’autonomia legislativa, ossia la potestà di dettare norme di rango primario, ripartita sui tre livelli di competenza. Competenza esclusiva, per cui le Regioni sono equiparate allo Stato nella facoltà di legiferare; concorrente, per cui le Regioni legiferano con leggi vincolate al rispetto dei principi fondamentali, dettati in singole materie, dalle leggi dello Stato; e di attuazione delle leggi dello Stato, dove le Regioni legiferano nel rispetto sia dei principi sia delle disposizioni di dettaglio contenute nelle leggi statali, adattandole alle esigenze locali. Oggi questa riforma verrebbe ribaltata con l’abolizione delle competenze concorrenti salvo prevedere per esempio, all’art. 116 Cost., la possibilità di offrire alle regioni ordinarie “più virtuose”, ossia con il bilancio in equilibrio tra entrate e spese, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.

Lo Statuto Albertino non fu sufficiente a neutralizzare le derive autoritarie sorte durante il Fascismo. La Costituzione Italiana nacque con il chiaro intento di evitare che una tale pericolosa eventualità si ripetesse. Nello specifico, quale è il nucleo della nostra Costituzione che ha scongiurato per 68 anni questa possibilità, consentendoci di vivere in uno Stato, seppur con i suoi difetti, libero e democratico? La nuova Costituzione avrà la stessa peculiarità? Sono immotivati i timori verso derive autoritarie?

Sono immotivati perché l’Italia è finalmente un paese maturo per avere una Costituzione come gli altri. Basta con le istituzioni della paura.

Secondo lei la spinta propulsiva di questa riforma costituzionale, in questi termini specifici, verso un monocameralismo se non effettivo, sicuramente strumentale (il Senato verrebbe ridotto, non sarebbe più eletto a suffragio universale diretto, non darebbe più la fiducia al Governo), è stata data per una sorta di adeguamento al modello europeo?

In Italia abbiamo attualmente un bicameralismo paritario, ossia una Camera è il doppione dell’altra in termini di competenze che esercita, e molto simile quanto alla struttura organizzativa. In quest’epoca di persistente frammentazione ci sono grosse difficoltà a perseguire convergenti volontà tra le due Camere e da ciò deriva la farraginosità dei processi decisionali, logorati da mediazioni estenuanti che portano all’affermarsi di meccanismi di decisione che bypassano le normali procedure parlamentari come il decreto legge.

Il modello europeo è quello del monocameralismo o del bicameralismo asimmetrico (e diventerebbe il nostro caso). Solo la Spagna ha due camere elettive come le nostre attuali, con tutti i distinguo. Fuori dall’Europa solo Usa e Giappone hanno una camera alta paragonabile al nostro attuale Senato. In Finlandia, Danimarca, Svezia, Grecia, Lussemburgo e Malta il Parlamento è monocamerale. E’ un modello applicabile all’Italia. Sebbene attenuato. Se sì, in che misura?

Gli altri modelli europei possono essere degli esempi ma dopodomani siamo chiamati a esprimerci per scegliere soltanto tra lo status quo e la riforma così com’è. Questa riforma prevede un sistema che resta bicamerale dove il Senato diventa l’organo rappresentativo degli enti territoriali. Siamo l’unico Paese che, pur avendo un sistema costituzionale di autonomie territoriali (le Regioni) non ha una seconda camera che le rappresenti. La riforma interviene su questo punto ristabilendo la simmetria con le grandi democrazie contemporanee.

La limitazione della sovranità popolare, sembra uno dei temi più sensibili del fronte del no. In che misura secondo lei è una falsa preoccupazione?

Al contrario penso che questa riforma introduca degli strumenti che espandono la sovranità popolare. Per esempio la riforma introduce un nuovo strumento referendario senza toccare quello già esistente. Accanto al referendum abrogativo, la cui attivazione è subordinata alla ravvolta di almeno 500.000 firme, se ne aggiunge uno che a seguito della raccolta di 800.000 firme prevede un quorum strutturale abbassato al 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni politiche.

Fino a oggi l’astensionismo è stato praticato come strategia politica: a una campagna referendaria in favore del “Sì” veniva contrapposta una campagna per l’astensionismo. Con la riforma si disincentiva questa strategia e si consente di allineare il requisito di validità al dato variabile delle tendenze alla partecipazione politica.

L’art. 71 prevede poi un evidente rafforzamento dell’istituto dell’iniziativa legislativa popolare perché, se da un lato innalza il quorum fino a 150.000 firme (previsione giustificata dall’aumento della popolazione italiana rispetto al 1948 e dall’evoluzione dei mezzi di comunicazione e di trasporto con cui è diventato molto più semplice raccogliere le firme), dall’altro impone ai regolamenti parlamentari di disciplinare i tempi, le forme e i limiti entro i quali la discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di iniziativa popolare devono essere garantite.

Molti ritengono questo Referendum una sorta di fiducia popolare data al Governo Renzi. Molti ragionano più sulle conseguenze sull’immediato che sul lungo termine. Vuole mettere in guardia su questo atteggiamento?

E’ importante comprendere che il voto che verrà espresso non sarà sul Governo ma sulla modifica della Costituzione. Una Carta fondamentale che necessita di essere aggiornata da molto tempo e che in alcune parti necessita di una semplificazione e di un riallineamento con le grandi democrazie contemporanee. Per scegliere i nostri rappresentanti e fargli dare la fiducia al Governo Renzi, o al Governo che ci sarà, è sufficiente attendere le prossime elezioni politiche.

Ritiene la Costituzione attuale, anacronistica e fonte di immobilità per il paese? Secondo lei in che misura la nuova Costituzione migliorerà la vita dei cittadini?

Si, fu costruita deliberatamente e saggiamente per impedire ai vincitori delle elezioni di governare senza il consenso delle opposizioni. Una scelta che è giustificabile quando il rischio è il dominio dei partiti filosovietici non più attuale ora.

Grazie della disponibilità, il suo intervento è sicuramente stato prezioso.

:: Le ragioni del no, ne discutiamo con il Professore Angelo D’Orsi

2 dicembre 2016

mnRingrazio, a nome dei miei lettori, il professore Angelo d’Orsi professore di Storia delle idee politiche e sociali nell’Università di Torino, per avere accettato il mio invito a rispondere ad alcune domande, con l’unico intento di fare chiarezza, per dissipare gli ultimi dubbi ancora rimasti in noi elettori, per permettere un voto cosciente e consapevole, in un momento così delicato della storia del nostro paese. Il professore D’Orsi difende le ragioni del no. Non saranno domande esclusivamente tecniche, insomma cercheremo di essere il più chiari e comprensibili, per un pubblico anche di non esperti. Per par condicio ho proposto la stessa iniziativa anche al professore Giovanni Guzzetta, per le ragioni del sì.  

Mancano pochi giorni e gli Italiani, uomini e donne, saranno chiamati al voto, saranno chiamati a decidere se modificare o meno la nostra Costituzione. Una nota a margine, senza volere minare in alcun modo il diritto democratico dei cittadini di decidere questioni anche tecniche, che riguardano lo Stato, pensa che i cittadini siano sufficientemente informati e consapevoli, data la delicatezza e la difficoltà anche per esperti giuristi di comprendere la portata delle modifiche che si renderebbero effettive? Insomma secondo lei gli italiani sono pienamente consapevoli della responsabilità che comporta questa votazione, responsabilità verso noi stessi e i nostri figli e nipoti che erediteranno questa Nuova Costituzione?

I cittadini non sono affatto informati, anche se non sono pochi coloro che si sforzano di raccogliere informazioni e arrivare al voto in modo consapevole. La campagna referendarie doveva essere un momento di informazione e dibattito si è trasformata in una delle tante campagne elettorali, una campagna particolarmente accanita, con colpi bassi, e una violenza verbale che è difficile ritrovare in tempi recenti. Ci riporta a quella del 1948, ed effettivamente siamo davanti a una scelta che può cambiare in modo evidente le nostre vite. In peggio, decisamente, a mio parere. E la trasformazione della campagna referendaria in una corrida ha due ragioni: a) il premier stesso ha voluto indirizzare il referendum verso un plebiscito. Pro o contra. Così facendo ha ridotto lo spazio della discussione, cancellando quello dell’approfondimento. B) si tratta della prima vera occasione per farlo cadere. Perché rinunciare? Ovvero per legittimarlo. Ribadisco: perché rinunciare?

Le modifiche alla Costituzione sottoposte al Referendum del 4 dicembre sono modifiche approvate dalla maggioranza parlamentare, stilate da esperti di diritto, dopo un iter alquanto controverso e dibattuto. Insomma la legittimità del Referendum non è in discussione. Il ricorso presentato il 27 ottobre scorso dal presidente emerito della Consulta Valerio Onida contro la consultazione popolare del 4 dicembre è stato respinto. Quindi l’esito, giuridicamente sarà valido a tutti gli effetti. Un’ unica mia perplessità, come è stato possibile approvare l’Italicum, la nuova riforma elettorale unicamente per la Camera (non prendendo neanche minimamente più in considerazione il Senato), quasi come se la nuova Costituzione fosse stata già approvata? Non è un paradosso, soprattutto se vincesse il no e si andasse subito a nuove elezioni?

Contesto la legittimità della “riforma”: approvata da un Parlamento reso di fatto illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1/ 2014, con cui dichiarava incostituzionali alcuni pezzi, importanti, della legge elettorale “Italicum”. In secondo luogo è stata istruita manu militari dal governo, in sede referente, cacciando dalla Commissione Affari costituzionali i due senatori critici (Mineo e Chiti). Inoltre, comunque, è stata portata avanti dal Governo e non dal Parlamento, ed infine è stata approvata a colpi di fiducia, tagliole e così via. Quanto agli effetti, ove la riforma fosse approvata, sarebbero paralizzanti per il sistema politico italiano, essendo piena di incongruenze e rinvii a leggi e norme da approvare. Quanto agli esperti è persino ridicolo evocarli: tutti i costituzionalisti italiani, dico tutti tranne tre (Barbera, Ceccanti e Fusaro, non certo il Gotha del diritto costituzionale!) sono stati esclusi dalla discussione e sono ferocemente critici con la legge. E la stragrande maggioranza dei politologi, dei filosofi e sociologi politici, degli storici sono per il NO. Dove sono gli intellettuali per il SI?

« Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione. » (Piero Calamandrei, Discorso ai giovani tenuto alla Società Umanitaria, Milano, 26 gennaio 1955) Pensa che i giovani conoscano queste parole, la loro portata etica e morale?

I giovani e non solo i giovani ignorano persino che cosa sia la Costituzione Repubblicana. Su questa ignoranza si è costruito il progetto di devastazione della Carta costituzionale.

Lo Statuto Albertino non fu sufficiente a neutralizzare le derive autoritarie sorte durante il Fascismo. La Costituzione Italiana nacque con il chiaro intento di evitare che una tale pericolosa eventualità si ripetesse. Nello specifico, quale è il nucleo della nostra Costituzione che ha scongiurato per 68 anni questa possibilità, consentendoci di vivere in uno Stato, seppur con i suoi difetti, libero e democratico?

Il nocciolo è il pluripartitismo, e il bicameralismo. Quello che la “riforma” abbinata alla legge Italicum di fatto cancella. Se passasse il SI, un sì implementato dall’Italicum, ci avvieremmo da una democrazia liberale a uno Stato di oligarchie.

Secondo lei la spinta propulsiva di questa riforma costituzionale, in questi termini specifici, verso un monocameralismo se non effettivo, sicuramente strumentale (il Senato verrebbe ridotto, non sarebbe più eletto a suffragio universale diretto, non darebbe più la fiducia al Governo), è stata data dall’Unione europea? Che tra l’altro entra di diritto nel testo, dopo le eventuali modifiche apportate.

La Banca Centrale Europea, più che l’Unione, la Banca Morgan, e alle loro spalle la Trilateral, di Rockfeller e soci, sono coloro che hanno dettato si può dire la “riforma” nel suo insieme. E i dettagli si trovano nel “Piano di rinascita nazionale” di Licio Gelli. Mi aspetterei almeno un soprassalto di orgoglio patriottico, dalla cittadinanza, davanti al voto, che se ci fosse, non potrebbe che portare al NO.

La limitazione della sovranità popolare, sembra uno dei temi più sensibili del fronte del no. In che misura avverrebbe questa limitazione, quali sarebbero i veri ostacoli a detrimento della libertà e della democrazia?

Un Parlamento in cui formalmente ci sono due Camere, ma una, il Senato, di nominati dai Consigli Regionali, o comunque composta in modo grottesco da sindaci e consiglieri: non gli si dà lo stipendio, ma gli si regala l’immunità, che specie a quel livello della Pubblica Amministrazione, sarebbe strumento provvidenziale per gli inquisiti. L’altra Camera, quella dei Deputati, sarebbe arbitro della situazione, comprese le leggi più importanti, nelle quali in teoria il Senato dovrebbe dire la sua. Una Camera in cui, grazie all’Italicum, il partito che raggiunge una maggioranza di poco superiore al 20% si può accaparrare la maggioranza assoluta dei seggi. Una camera con i “capilista” bloccati, decisi dalle direzioni dei partiti politici. Inoltre si rende quasi impossibile la facoltà dei cittadini di proporre leggi di iniziativa popolare, e si usano degli accorgimenti per vanificare i referendum. Infine, si stabilisce una intollerabile discrasia tra enti territoriali (le Regioni, lasciando a quelle a Statuto speciale facoltà che alle altre vengono tolte), e si aprono prospettive di conteziosi infiniti davanti alla Suprema Corte. Un Parlamento siffatto eleggerebbe le alte cariche, dai membri della Corte stessa, al Presidente della Repubblica, per la cui elezioni addirittura basterebbe un pugno di “onorevoli” per votarlo, dato che si chiede non la maggioranza degli aventi diritti, ma dei presenti. Una cosa incredibile.

Il fatto che vinca il no, non impedirebbe a prescindere nuove modifiche alla Costituzione. Insomma meglio mantenere la Costituzione attuale, in cambio di una fatta male e non condivisa dal Paese. Ma da un punto di vista politico sarebbe la fine del governo Renzi (per sua stessa ammissione) e una possibile apertura a governi molto più estremisti e instabili. Molti ragionano più sulle conseguenze sull’immediato che sul lungo termine. Vuole mettere in guardia su questo atteggiamento?

In primo luogo in un Paese come l’Italia bisognoso di una serie infinita di “messe a punto” (dal riassetto idrogeologico alla tutela ambientale e paesaggistica, dalle misure antisismiche alla soluzione del problema di una intera generazione di precari negli atenei…), non vedo alcuna necessità di mettere mano alla Costituzione. L’Italia non funziona non a causa della nostra legge fondamentale, ma di un pessimo ceto politico, ignorante, inetto e spesso corrotto.

Junkers, Obama, l’ambasciatore americano John Phillips, e molti altri esponenti politici ed economici si sono pronunciati pubblicamente per il sì. In che misura una vittoria del sì favorirebbe le loro posizioni? Secondo lei sono sinceramente convinti che una vittoria del sì migliorerebbe le condizioni dell’Italia, e di riflesso anche del resto del consorzio internazionale?

Credo che la loro sia null’altro che la traduzione in termini politici dei diktat delle grandi centrali finanziarie. Trovo pazzesco non che costoro abbiano aperto bocca in merito, ma che le nostre autorità lo abbiano tollerato. Il fatto che è la Presidenza della Repubblica, dopo Scalfa è stata occupata o da personaggi mediocri o da uomini che hanno svolto un compito che loro non competeva, come Giorgio Napolitano, il vero regista dell’operazione “riforma”. Il quale, ritengo si sia spinto fino a recare dei veri e propri vulnus alla Costituzione.

Se fosse incaricato, insieme a un gruppo di esperti, di proporre modifiche all’attuale Costituzione, quali sarebbero? Una virata verso il monocameralismo, che sembra la tendenza maggioritaria del modello europeo, secondo lei è applicabile a un paese come l’Italia? Sia per motivi storici, che contingenti, penso soprattutto alle infiltrazioni mafiose.

Sono per il bicameralismo, in modo assoluto, ma con una netta distinzione di compiti e funzioni tra le due camere: una di legiferare, l’altra di controllare, detta all’ingrosso. E sono per il sistema elettorale proporzionale “puro”, con le preferenze: il solo che salvaguardia il cosiddetto “potere dell’elettore”.

La sua lezione alla Scuola Popolare Antonio Gramsci si è intitolata: “Dalla democrazia Alla post-democrazia. Costituzione, Stato sociale e nuove oligarchie”. In cui ha parlato della destrutturazione dello Stato liberal-democratico, di cui la riforma costituzionale associata all’Italicum, è secondo lei l’ultimo atto, frutto di un processo molto più ampio di soppressione della democrazia. E’ possibile fermarlo questo processo, in che modo?

Oggi abbiamo la possibilità di fermare la deriva, dicendo il nostro NO al referendum. Questo è il primo passo, dal quale poi ripartire con una legge elettorale democratica, il ripristino delle Province (sì, sono a favore delle Province), e una serie di atti in grado di restituire fiducia e cancellare la disgregazione sociale prodotta dai governi degli ultimi 25 anni circa. Ne cito un paio: l’abolizione della Legge Gelmini del dicembre 2010, di “riforma” dell’Università, che ha gettato nel caos un sistema che con difetti e limiti non era certo tra i peggiori del mondo, anzi… Un secondo atto “rivoluzionario”, ossia di restaurazione di un corretto sistema di democrazia liberale, è una legge sulla Rai, che la mantenga pubblica, ma la sottragga al controllo governativo e dei partiti politici in generale. Sarebbero passi decisivi per invertire la rotta e salvare non solo la democrazia, ma il Paese.

Grazie della disponibilità, il suo intervento è sicuramente stato prezioso.

:: Referendum costituzionale 2016: le ragioni del sì e del no, a cura di Daniela DiStefano

28 settembre 2016

mn

Per il Sì o per il No, l’Italia si prepara ad una svolta. Ma gli italiani saranno preparati a ciò?

Fissato l’appuntamento per il quattro dicembre, gli italiani sono chiamati a presentarsi alle urne muniti di coscienza. Naturalmente, parliamo del Referendum sulla Riforma costituzionale, l’argomento, il cruccio, la questione del momento. Non è compito di queste righe spiegare sommariamente o dettagliatamente la Riforma della nostra Carta Fondamentale, però qualche riflessione può nascere leggendo alcuni saggi pubblicati nei mesi scorsi. Si cimentano in essi le menti più avvezze del nostro panorama costituzionale. Nel volume “Loro DIRANNO, noi DICIAMO. Vademecum sulle riforme istituzionali” (Laterza), Gustavo Zagrebelsky (presidente onorario di “Libertà e Giustizia” nonché professore emerito nell’Università di Torino) e Francesco Pallante prendono in contropiede i fautori del Sì, affermando come:

Nella confusione, una cosa è chiara: l’accentramento a favore dello Stato a danno delle Regioni e, nello Stato, a favore dell’esecutivo a danno dei cittadini e della loro rappresentanza parlamentare.

Per i due dotti, La Costituzione è un patto solenne che unisce un popolo sovrano mentre questa riforma non unisce ma divide, non è altro che la codificazione della perdita di sovranità.
Entrando più a fondo, si evince come il dimagrimento del Senato propugnato nella revisione non porterebbe gli effetti auspicati di una riduzione dei costi in favore di un bicameralismo non più illogicamente paritario. Insomma, che senso avrebbe la “supervisione” del Senato quando sarebbe già nota l’esistenza di una maggioranza alla Camera, in grado comunque d’imporre la propria scelta? Conterebbe  in definitiva solo ciò che accade alla Camera, dove permarrebbero 630 deputati, mentre il Senato da 315 scenderebbe a 95 (più cinque senatori nominati per sette anni dal Presidente della Repubblica).
Poco chiara anche la dinamica sulla composizione del Senato.
I Consigli regionali dovrebbero mandare in Senato i consiglieri più votati o gli elettori  esprimerebbero due voti (uno per il Consiglio regionale, l’altro per il Senato)?
E’ chiaro che solo nel secondo caso si può parlare di una indicazione popolare.
Veniamo all’altro spinoso, odioso, oggetto del contendere: l’Italicum.

Con questa leggere elettorale, la lista che “arriva prima” alle elezioni ottenendo almeno il 40% dei voti conquista 340 seggi, cioè il 54% dei 630 seggi alla Camera.  Se nessuna lista raggiunge il 40% si svolge un secondo turno di ballottaggio. La lista che vince il ballottaggio conquista 340 seggi. Un premio di maggioranza così configurato è incostituzionale. Accedono alla ripartizione dei seggi solo le liste che abbiano ottenuto almeno il 3% dei voti. Non è invece prevista alcuna soglia minima per il ballottaggio. Questo significa che se si presentassero alle elezioni decine di partiti  e tutti prendessero pochissimi voti, con il 3,01% si accederebbe al ballottaggio e, in caso di vittoria al secondo turno, si avrebbero 340 seggi!

Assurdo? Possibile. Persino la legge Acerbo, ai tempi del fascismo, prescriveva che per accedere al premio di maggioranza si dovesse conseguire come minimo il 25% dei voti… .
Parlando di fascismo, c’è il pericolo di una involuzione autoritaria?
Il quadro non è catastrofico ma preoccupante, c’è il rischio di una “democrazia d’investitura” dell’uomo solo al comando, tanto più in quanto i partiti si sono trasformati in appendici di vertici personalistici. Altra materia aspra di lotte è quella che riguarda gli Enti locali.
Spicca l’abolizione delle Province, al loro posto emergono “gli enti di area vasta”. Il rischio è che al posto di una Provincia avremo una pluralità di “enti di area vasta”, ciascuno dotato dei propri vertici e di una propria struttura amministrativa.

Forse, sarebbe stato più razionale accorpare le Province esistenti e aumentarne le competenze, a scapito della miriade di enti oggi esistenti.

Concludendo, Zagrebelsky ritiene che l’accoppiata Italicum-revisione costituzionale  evidenzi come il vero obiettivo delle riforme sia lo spostamento dell’asse istituzionale a favore del Governo: una specie di autarchia elettiva. Edito da Laterza è anche il saggio di Gaetano Azzariti – ordinario di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma La Sapienza – “Contro il revisionismo costituzionale”.
Un titolo eloquente, quest’ultimo,  che fornisce indicazioni preziose pure sul concetto di divieto di mandato imperativo: limite benefico,  garanzia, difesa della sovranità dell’organo.

Viviamo un tempo infinito. Una transizione costituzionale che non ha mai termine e che passa da una << grande riforma>> all’altra. C’è bisogno di una << rivoluzione culturale>>.

La revisione costituzionale – per Azzariti –   deve diventare strumento di << manutenzione>>  dei valori costituzionali nelle mutate condizioni storiche. Valerio Onida (presidente emerito della Corte costituzionale) e Gaetano Quagliarello (ex ministro delle Riforme costituzionali del governo Letta) spiegano, in un libro edito da Rubbettino, “Perché è saggio dire No. La vera storia di una riforma che “ha cambiato verso”. Per questi esperti di colore politico differente,

le Costituzioni, quando sono valide, come la nostra certamente è, esprimono non ciò che è mutevole ma ciò che è destinato a durare nel tempo. Il che non significa che la Carta Fondamentale sia intangibile anche nella sua seconda parte, ma la revisione dev’essere frutto di condivisione.

In materia costituzionale il “meglio qualcosa di niente” non esiste. Ciò che è malfatto produce danni. Porre una sorta di questione di fiducia sul governo è un fatto che svilisce la Costituzione stessa.
Fin qui, i fautori del No alla Riforma, a favore invece della revisione costituzionale si sono pronunciati, tra gli altri, Luciano Violante e Marcello Pera. Giovanni Guzzetta,  un costituzionalista, è autore, invece,  di un saggio dal titolo:  “Italia, si cambia. Identikit della riforma costituzionale” (Rubbettino).
Il saggio compie un ampio giro storico, risalendo fino a De Gasperi, per approdare alla conclusione che per settant’anni si è vissuti nella provvisorietà, eccezione, emergenza, senza mai pervenire ad una duratura stabilizzazione.

E la Costituzione è stata di volta in volta reliquia intoccabile o feticcio da abbattere. Oggi, i cittadini possono decidere sul futuro della Repubblica transitoria.

Più o meno questi i punti emersi nel conflitto delle idee sulla revisione della Costituzione. Tocca all’elettore l’ultima parola, e far zittire una delle due parti in sfida. Chiunque vinca, sappia che perderà di fronte alla montante sfiducia che circonda la Politica e i politici oggi. Si griderà al tradimento della carta Fondamentale, se prevale il Sì. Si condanneranno i gufi dello status quo, se prevale il No.
E l’Italia intanto va indietro per sorpassare il domani.