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:: Profumi di Daniela Barone

14 dicembre 2025

Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l’aria che respiriamo penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente. Non c’è modo di opporvisi.’

Patrick Süskind

Il primo ricordo olfattivo è quello dei salumi e delle grosse provole di una botteghina di San Giovanni Rotondo vicino al Santuario di Padre Pio. Non avevo ancora compiuto tre anni ma l’urgenza del lungo viaggio fu dettata dalla malattia della mamma che vedeva nel frate la soluzione ai suoi problemi. In realtà le  fobie di mia madre avrebbero necessitato piuttosto di uno psichiatra ma papà aveva voluto accontentarla.  Quel viaggio si rivelò un fiasco: il fraticello con le stigmate fu duro con lei al punto di cacciarla dal confessionale, apprendendo che lei non partecipava mai alla messa domenicale per la sua salute cagionevole.

   Un altro odore vivido nella mia memoria è legato ai detersivi usati dalla mamma per pulire i pavimenti, in particolare quello penetrante dell’ammoniaca. A nulla servivano le mie rimostranze: per lei era un’azione imprescindibile usare quei detergenti che mi costringevano a trovare riparo nella mia stanzetta.

   Che dire però del profumo inebriante dei petali di rosa a maggio, quando lei comprava da una contadina quei fiori per farne uno sciroppo denso e soave? La casa era pervasa da quell’odore dolciastro ma soprattutto dalle sue chiacchiere allegre: non era facile rendere contenta la mamma, sempre assorta in chissà quali pensieri, talvolta addirittura incupita. Anche papà era coinvolto nelle operazioni di selezione dei petali e di bollitura del liquido rosa che gorgogliava nelle pentole: una vera festa per le orecchie e le narici.

   Della mia infanzia ricordo anche l’odore del sapone di Marsiglia che la bisnonna Giuditta adoperava per lavare montagne di bucato a casa nostra. Veniva da noi per dare  una mano alla mamma, perennemente e misteriosamente ammalata. Per tenermi occupata era sufficiente darmi una pezza o un fazzolettino che io insaponavo con energia nel tentativo d’imitarla, in piedi sopra uno sgabellino traballante che mi permetteva di arrivare al grande lavello di marmo.

   Il profumo che più mi ricorda mia madre  resta però quello del ragù domenicale. Ancora nel dormiveglia percepivo il buon odore del sugo che preparava diligentemente in pentole rigorosamente di terracotta. Non si staccava mai dai fornelli e disapprovava le vicine che, casalinghe come lei, si distraevano talvolta con altre faccende facendo attaccare i pezzetti di carne  al fondo delle pignatte.

   Quando ero ammalata, la mamma mi preparava un delizioso purè di patate che emanava l’odore del burro mescolato in abbondanza al composto. Ancora oggi, quando sono indisposta o malinconica, amo prepararmi questo cibo perché mi fa sentire  coccolata.

   A volte mi domando quali profumi evocherò ai miei figli e ai nipotini quando non sarò più con loro. Sicuramente  si ricorderanno del buon odore del mio pesto ma non riuscirò mai a competere con mia madre, maestra di ragù, frittelle di fiori di zucca e polpettoni.

   Pur trascurando la sua persona, forse per un voto, la mamma non sapeva però resistere alle eau de parfum: qualunque fragranza la conquistava, purché fresca e leggera; se ne metteva in gran quantità, incurante dei rimbrotti di papà. A me piaceva vederla contenta come una bambina, tanto rari erano i momenti gioiosi nella sua vita.

  Rimane poi impresso nella mia memoria l’odore penetrante del detergente che usavo per lavare Francesco, il mio primogenito. Che gioia è tuttora legata al ricordo dei primi bagnetti impacciati nel lavabo del bagno a poche settimane dalla sua nascita!

Le estati trascorse nella casa di montagna con i tre figli piccoli mi fanno tornare alla mente il profumo dell’erba appena tagliata, l’odore del letame delle mucche condotte ogni mattina al pascolo e quello dell’acqua un po’ stagnante delle vasche delle trote pescate con gran divertimento. A volte un pastore passava da casa nostra con un cestello di latte appena munto che facevo bollire per i miei bambini. Quest’odore  mi ricorda il latte che bevevo a colazione alle elementari e i dolori alla pancia che inevitabilmente mi affliggevano. Inutile far notare alla mamma che non digerivo questa bevanda: per lei era l’unico alimento che si poteva dare ad una figlia per colazione, punto e basta. 

   Nuove esperienze olfattive segnarono gli anni della maturità e il secondo matrimonio con Dave.  Lui era curiosamente uno chef, o almeno lo era stato quando viveva in Canada, e se ne faceva un gran vanto. Di lui i miei figli ricordano ogni tanto il profumo dei panzerotti domenicali ma null’altro: quasi nessun cibo potè allietare i nostri pasti, appesanti dai suoi grevi silenzi, o peggio ancora, dalle sue sfuriate.

   Dopo la morte della mamma papà venne a vivere da me. Malandato nei suoi novant’anni, invase la mia tranquilla vita di donna oramai sola con i miasmi dei suoi pannoloni. Non bastavano deodoranti, né finestre spalancate anche in pieno inverno, a dissipare quel fetore. Povero papà. Oggi in me prevale però il ricordo del profumo del suo dopobarba, quando negli suoi ultimi giorni lo radevo e cospargevo il suo viso emaciato di quella lozione odorosa e lenitiva.

   Mi piace infine ricordare l’ondata di profumi di spezie mai conosciute che mi accolse al mio arrivo in India lo scorso anno. La guida locale mi cinse di una corona aulente di fiori gialli, rossi e arancioni; percepii poi l’odore di cardamomo, cannella, vaniglia, e di chissà quali altri aromi indecifrabili. Fu un’esperienza intensa anche sentire gli effluvi vagamente sgradevoli emanati da elefanti e scimmiette onnipresenti e forse, da centinaia di indiani nel brulicare del traffico caotico di Delhi. Davanti al Taj Mahal odorai tanti fiori rigogliosi e immaginai l’imperatore Shah Jahan mentre deponeva delicati boccioli sulla tomba dell’amatissima sposa. I fiori sono soprattutto consolazione per noi viventi che amiamo portarli al cimitero dai nostri cari. Io metto spesso tulipani gialli sul loculo della  mamma, sapendo quanto amasse quel colore. Saranno gialli anche i pochi fiori che vorrò al mio funerale: gialli come la stanzetta di Van Gogh, come il mio piccolo sofà, come il sole sghembo che disegnavo nei quaderni di prima elementare.