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:: Rubaiyyat, Umar Khayyam, (Newton Compton, 1973) a cura di Laura M.

17 marzo 2014

ritrattoQuesta traduzione delle Quartine (Rubayyat) di Umar Khayyam fu la prima traduzione in lingua italiana condotta direttamente dal testo originale in lingua persiana. Ne è autore, Francesco Gabrieli,  uno dei massimi studiosi italiani e del mondo della civiltà araba e del mondo mediorientale.

V Rubayyat

Giacché nessuno dà garanzia del domani,
allieta oggi tu codesto cuore malato d’amore.
Bevi il vino alla luce della luna, o Luna, ché la luna
molte volte ancora spunterà, e noi non troverà più.

Khayyam fu  innanzi tutto un uomo di scienza, profondo conoscitore d’Astronomia, Matematica, Filosofia e Teologia, dal carattere difficile e complesso.  La sua vocazione di poeta  fu sempre da lui stesso messa in secondo piano per pudore e reverenza e perciò anche in Occidente giunsero prima i suoi testi di Algebra e Matematica.  Esponente di una civiltà antichissima e colta piena di finezze espressive e nobiltà di sentire, Khayyām ci presenta un essere musulmani, vero autentico, non inquinato dalla vanità di credersi giusti quando bene o male tutti abbiamo difetti e commettiamo errori.

I Rubaiyyat

Benché io non abbia mai infilato la gemma
dell’obbedienza a Te,
benché mai abbia io deterso dal volto la polvere
del peccato,
con tutto ciò non dispero della generosità Tua,
poiché mai , l’Uno, io l’ ho chiamato “Due”.

La poesia di Khayyām è piena di perle di saggezza che si rivelano e si scoprono leggendo i suoi versi con attenzione e senza fretta. Non dimentichiamoci che era un saggio studioso di matematica e filosofia che si dilettava  nella scrittura di poesie, e da profondo conoscitore del Corano cercava di esprimere la sua condizione di uomo peccatore di fronte all’assoluto, al Dio unico che nella sua perfezione incute timore, ma per la sua bontà e mansuetudine ci invita a scegliere sempre il meglio nella vita anche quando si è deboli e facilmente pieni della “polvere del peccato”.

VII Rubayyat

Amico non muovere più rimproveri agli ebbri;
se Dio mi da di pentirmi, a Lui mi pentirò.
Tu non farti illusioni (di virtù) perché non bevi
vino,
chè cento cose commetti, rispetto a cui il ber
vino non è che una ragazzata.

Di queste tre Rubayyat (I, V, VII) colpisce la delicatezza e insieme la forza del suo sentire. La sensazione che l’uomo sia davvero poca cosa con tutti i suoi difetti, le sue mancanze, il suo “cuore malato”  ma il bene non manca. C’è l’amicizia, la generosità, la fede tutte armi potentissime contro il male.