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:: Un’ intervista con Andrea D’Angelo

29 settembre 2016

lisbBenvenuto Andrea su Liberi di scrivere e grazie di aver accettato questa intervista. Parlaci di te, raccontati ai nostri lettori.

Grazie a te per questo spazio, Giulia. La prima cosa che mi viene in mente al momento, se devo descrivermi, è “ho 28 anni”. Sarà che li ho compiuti da poco o sarà che mi sembrano essere trascorsi molto in fretta. In qualche modo sembrano darmi la misura di tante cose passate, alcune davvero, altre per finta.
L’impennata veloce del tempo è sicuramente venuta a 20 anni, quando mi sono trasferito in Germania per la prima volta. A pensarci adesso vedo un ragazzino che si lanciava nel vuoto. Quella caduta però non la cambierei per niente al mondo. È stata un passo cruciale verso l’età adulta, come persona e come scrittore. Mi ha permesso di imparare il tedesco che è oggi la mia principale lingua di lavoro, e di conoscere il mondo accademico di Berlino che ha un approccio alla letteratura completamente diverso dall’università italiana. Con questo non intendo sempre migliore, anzi vado molto fiero della preparazione che mi ha dato L’Orientale di Napoli. Senza di questa non avrei mai potuto affrontare il percorso che ho fatto. Ho un legame molto forte sia con Napoli, sia con Berlino. Principalmente fra Napoli e Berlino si muove infatti il mio primo romanzo L’inafferrabile estetica delle scelte azzardate. Poi però quando ho finito i miei studi alla Freie il bisogno di nuovi stimoli mi ha portato a Lisbona.

Si parla tanto in Italia di fuga di cervelli, tu lasciasti l’Italia per la Germania in tempi non sospetti già una decina di anni fa. Cosa ti ha spinto a partire?

Ammetto che la mia decisione di partire per la Germania sia stata più motivata dal desiderio che dalla necessità. Inizialmente il mio progetto era quello di specializzarmi in lingua e cultura giapponese in Germania. Poi però la passione per la letteratura ha prevalso e ho scelto di continuare sulla strada delle letterature comparate. Forse la vera spinta è venuta molto prima, quando a 18 anni sapevo di voler studiare il giapponese e, leggendo L’insostenibile leggerezza dell’essere, Kundera mi ha convinto ad abbinarlo al tedesco. C’è un passaggio in cui scrive che il tedesco è una lingua di parole pesanti, nel senso che le parole del tedesco sono piene di significato.
Lo scontro con la realtà del lavoro è venuto dopo, quando inevitabilmente ho dovuto constatare che di spazio per gli umanisti in Italia ce n’è veramente poco.

Come ti sei trovato al tuo arrivo? Hai trovato subito casa, lavoro, la gente come ti ha accolto?

La Germania all’epoca mi ha accolto, ma a modo suo – non certo a braccia aperte, ma più con un’espressione di “mi raccomando, non sporcare”. La ricerca del lavoro è stata forse la cosa più facile da affrontare. Ce n’è tanto e soprattutto se si parla bene il tedesco si ha un accesso privilegiato in confronto ai tanti che arrivano senza parlarlo e che spesso non lo imparano per niente, nemmeno dopo anni.
Al contrario trovare casa a Berlino può essere un inferno, specialmente nel contesto delle case condivise. Ma con gli anni almeno per me è diventato più facile, grazie a una buona cerchia di amici. Ci siamo aiutati l’un l’altro. Di tedeschi in questa cerchia ce ne sono pochi, malgrado in Germania abbia cominciato a sentirmi culturalmente molto integrato. Paradossalmente questa integrazione si è rivelata maggiormente in altri contesti, conoscendo tedeschi in Portogallo per esempio. E come se il trovarci tutti in una terra straniera abbia colmato quella distanza culturale dettata dalle etichette del tedesco e dell’italiano che in Germania non riuscivamo a colmare.

Cosa consiglieresti ai ragazzi che volessero seguire le tue orme. Studiare le lingue? Leggere libri nella lingua del paese dove si vuole andare a vivere? Imparare gli usi e costumi del posto?

Ai ragazzi che volessero seguire un percorso come il mio consiglierei di immergersi completamente, per non rischiare di sentirsi sempre inevitabilmente dei pesci fuor d’acqua. Questo comprende imparare la lingua del posto e studiarne la cultura, per farla lentamente propria.
Chiaramente in tutto questo la letteratura è un accesso privilegiato, l’espressione diretta di una cultura che cerca di spiegarsi a parole.

Ora vivi a Lisbona, una città piuttosto insolita come meta di migrazione. Descrivicela? Come ti trovi? Cosa ami, cosa ti piace meno di questa tua nuova città?

A Lisbona sono finito per caso. Una mattina a colazione a Napoli, un’amica mi ha detto che sarebbe stata un bel posto dove andare. E allora mi sono messo a cercare lavoro e qualche giorno dopo ero già lì.
Ho riscoperto poi in Lisbona, a piccoli passi, una città in grande fermento. È un grande cantiere. È in piena fase di restauro, da cima a fondo. Inoltra la nuova ondata di immigrazione europea comincia a farsi sentire molto e questo è sempre positivo, come tutte le immigrazioni, perché crea confronto.
Di Lisbona amo la luce, i palazzi, le strade e tutta la sua cultura da scoprire, nella musica, nella storia e nel suo essere mezza modernissima e mezza attardata in una lentezza antiquata.
Non me ne piace la burocrazia e a volte l’atteggiamento disfattista che i portoghesi si lasciano sfuggire.

Come è la vita culturale a Lisbona. Ci sono tante librerie, fiere del libro, incontri, presentazioni, case editrici?

Lisbona è culturalmente molto viva. Si può dire che tutti i mesi ci sia qualche grande evento culturale, come il festival delle lingue o della letteratura. Ci sono alcune delle librerie più vecchie d’Europa. I portoghesi leggono molto, anche se non lo danno a vedere. Conoscono tutti la storia del Portogallo e della sua letteratura a menadito e passano il tempo ad accusarsi di non saperne abbastanza.
Ammetto di non essermi riuscito ancora a fare un’idea molto chiara dell’aria che tira. Mi sembra che al momento a farla da padrone nella produzione cultura portoghese sia una nuova elaborazione del passato coloniale.

Lisbona è una tappa di passaggio o pensi che tra una ventina d’anni sarai ancora lì?

Sinceramente non lo so. Per il momento sento di doverla scoprire ancora e che ha ancora molto da darmi. E poi non me ne andrei mai prima di aver imparato bene il portoghese.

Oltre che viaggiatore sei anche scrittore. Stai scrivendo un libro sulla tua esperienza, vero? Ce ne vuoi parlare?

La scoperta del Portogallo ha portato con sé tanti spunti di riflessione. È una realtà composita che si configura in maniera ben distante dall’immaginario collettivo del Paese della crisi acuta. Tutti schiavi in Portogallo è un romanzo a puntate che per ora si può leggere sul mio blog Penelope a pretesto e che si incentra ironicamente proprio su questo assunto generalizzante e semplicistico. Marta, la sua protagonista, è un personaggio dai sentimenti semplici e dai pensieri complessi. Analizza il Portogallo con un occhio attento e si lascia stupire dalle contraddizioni tra ciò che si dice e che quindi necessariamente si aspetta e la realtà fattuale. Si sente per esempio in dovere di odiare il suo lavoro, che non corrisponde affatto ai sogni che voleva realizzare una volta, però non ci riesce davvero. E il suo Portogallo si trasforma lentamente in un posto dove tutto è possibile e che intenzionalmente cerca di insegnarle qualcosa.

Grazie del tuo tempo, ci diamo appuntamento appena l’hai pubblicato.

Grazie a te.

Nota: potete leggere i primi capitoli del romanzo qui

:: Un’intervista con Bettina Müller Renzoni, traduttrice e scout letterario a cura di Giulietta Iannone

2 febbraio 2015

Bettina-Balkon-Ebnat-2Ciao Bettina, benvenuta su Liberi di scrivere e grazie per avere accettato questa mia intervista. Sei il primo scout letterario freelance che intervisto. Inoltre tu operi in un settore molto specifico, facendo da tramite tra Italia e Germania, facendo appunto conoscere gli autori italiani in Germania, e viceversa penso. Collabori in stretto contatto con Agenzie letterarie, Editori, autori. In cosa consiste esattamente il tuo lavoro, in cosa differisce maggiormente da un scout classico, alle dipendenze di una grande Agenzia Letteraria?

Il mio lavoro principale è la traduzione. Lo scouting è piuttosto un’attività collaterale. Va detto subito che questo tipo di scouting è molto diffuso tra i traduttori. Case editrici mi incaricano con schede di lettura. E nel contatto con l’editor capita facilmente che mi scappa un: «Ho appena letto un bel romanzo che potrebbe fare per voi!» E l’editor: «Davvero? Dimmi!» Va detto poi che le case editrici più grandi hanno delle collaborazioni fisse con scout e/o agenzie letterarie. E quindi, anche se l’editor risponde: «Davvero? Dimmi!», il canale preferenziale per la scelta di nuovi titoli sarà quello dello scout ufficiale. Io suggerisco un titolo e basta. Se l’editore tedesco è interessato, dovrà acquisire i diritti presso l’editore italiano. Io non c’entro nulla con la compravendita e non ci guadagno nulla. Il mio obiettivo è la traduzione. Perché allora lo faccio? Intanto per consolidare il contatto con gli editor, e anche un po’ a mo’ di palestra: per misurarmi con ciò che cerca il mercato (ho azzeccato con il mio suggerimento o quello che a me sembra un capolavoro non interessa nessuno?) e per allenare la mia capacità di sintetizzare in modo efficace perché un romanzo secondo me sarebbe valido e dovrebbe essere tradotto.

Vivi ormai da anni in Italia. Dove operi e qual è la tua sede principale?

Casa e bottega, come tipico per i traduttori  … non abbiamo i soldi per pagare l’affitto di un ufficio 😉 Due anni fa mi sono “messa insieme” con una collega e amica tedesca. Io in Italia, lei in Germania: per motivi di sinergia facciamo lo scouting insieme. E in futuro magari anche delle traduzioni a quattro mani (ne abbiamo appena consegnato la prima). Ma non possiamo certo seguire i libri italiani a 360° per cui abbiamo deciso di mettere il focus per il momento sulla letteratura per ragazzi.

Hai studiato Ubersetzung & Scouting presso l’Università di Zurigo. Non credo ci sia un percorso di studi in Italia, ma neanche in Germania, per chi volesse intraprendere la tua professione. Considerata la tua esperienza, quali studi, corsi post universitari, consiglieresti a un giovane che volesse seguire le tue orme?

In realtà, Übersetzung & Scouting [traduzione & scouting] è solo la descrizione che ho dato alla mia attività professionale sulla pagina Facebook. Io ho una classica laurea umanistica, indirizzo letteratura francese e letterature comparate, alle università di Zurigo e Losanna. Con una tesi sulla poesia contemporanea (Yves Bonnefoy). Questa laurea non mi è mai servita neanche per mezzo secondo. Ho fatto poi un sacco di lavori, sia in Svizzera che in Italia, ho insegnato, ho gestito il segretariato di un’azienda italiana che costruiva pozzi d’acqua in Gabon, ho organizzato congressi di medicina assicurativa a livello europeo, ho diretto la redazione di una rivista medico-legale, ho lavorato in una casa editrice, sono stata project manager di una collana di gialli per ragazzi – e nessuno ha mai chiesto di vedere la mia laurea. Considero molto importante la formazione continua, lo scambio, il confronto su libri e testi con colleghi, workshop e seminari con docenti traduttori professionisti (non professori universitari!), ma ritengo molto più importante frequentare assiduamente le librerie che le aule universitarie.

Veniamo alle doti necessarie per intraprendere la tua professione. Innanzitutto, penso sia necessario conoscere le lingue, per lo meno quelle coinvolte nel proprio campo d’azione; poi conoscere le leggi riguardanti il diritto d’autore e la contrattualistica. Bisogna avere anche doti artistiche, e creative, amare la letteratura, innanzitutto, fiuto per lo scovare il libro giusto da proporre al momento giusto, all’editore giusto. Bisogna avere infine anche doti caratteriali specifiche come determinazione, comunicativa, onestà, intuito. Cosa ho dimenticato? Cos’altro è indispensabile?

La mia professione è la traduzione, come spiegato sopra. Per lo scouting devo frequentare assiduamente le librerie. Mi muovo tra ciò che viene pubblicato in Italia e ciò che viene letto in Germania. A parte la passione per la lettura, devo essere affascinata anche dal mercato editoriale e librario, cercare di individuare le tendenze, visitare le fiere del settore (Bologna, Torino, Francoforte, Londra, Parigi o altre a seconda della lingua di lavoro). Rifletto molto sui libri che leggo: perché mi piace/non mi piace? Potrebbe piacere ai lettori tedeschi? Perché sì/no? Invece la contrattualistica non è fondamentale per chi fa scouting freelance come me. Sarebbe importante se fossi agente letterario.

L’importanza di un sito dove presentare il proprio lavoro Quanto aiuta nella tua professione?

Ho un sito, ma non ho mai tempo di aggiornarlo. Secondo la mia esperienza gli editor nelle case editrici contattano i traduttori prevalentemente in base a conoscenze personali e/o precedenti lavori (vedi sopra, importanza di frequentare fiere del libro), non vanno a spulciare siti web. Diverso è la situazione nella saggistica dove conta tantissimo la competenza specifica e settoriale. Il proprio sito può essere invece un ottimo biglietto da visita, una vetrina che dà una veloce panoramica sui libri/autori che ho tradotto. Basterebbe aggiornarlo…

L’importanza di frequentare Fiere letterarie, come La Fiera del libro di Francoforte, o quella di Torino, Milano, Mantova. Che tipo di incontri si possono fare, solo ufficiali incontri di affari, o anche più colloquiali e informali?

Frequentare le fiere è fondamentale. Intanto passando tra gli stand mi aggiorno sulle novità di ogni editore e posso capire le tendenze che segue, se ha creato una nuova collana o chiusa un’altra, quali autori italiani pubblica. Parlando poi direttamente con gli editori allo stand mi informo su come un libro viene recepito in Germania, come vende, che recensioni ha ricevuto. Inoltre in fiera cerco il contatto diretto con editor di case editrici che mi interessano; sia in appuntamenti formali che in incontri informali.

Come procede il tuo lavoro. Sono le case editrici a rivolgersi a te sono gli scrittori a proporti i loro romanzi?

Sono le case editrici che mi contattano per una traduzione oppure per incaricarmi con una scheda di lettura. Una volta stabilito un contatto, divento anche proattiva e propongo all’editor un titolo che piace a me. Ma vale anche al contrario: se ho letto un libro che mi piace tanto, cerco di individuare un editore tedesco che potrebbe essere interessato e lo contatto. La probabilità che acquisisca i diritti per quel libro, è piuttosto bassa.* Succede invece spesso che tramite quel contatto creato dallo scouting l’editor mi chiami dopo per una traduzione o una scheda di lettura.

Attualmente il mercato tedesco che tipo di romanzi italiani preferisce? Thriller, storici, testi poetici?

Come detto, il mio scouting si concentra sulla letteratura per ragazzi. Inoltre, la mia collega e io abbiamo – per fortuna J – gusti simili, per esempio non amiamo il fantasy. Il genere del fantasy funziona in Germania come in Italia, trova il suo pubblico un po’ ovunque. Per il resto, gli editori tedeschi cercano storie accattivanti, una scrittura efficace e curata, con protagonisti forti, di carattere. Storie radicate in una realtà ben delineata. Un problema nella letteratura per ragazzi sono i libri illustrati perché spesso la storia piace all’editore tedesco, ma le illustrazioni no. I bambini tedeschi hanno gusti estetici diversi, sono abituati a un altro tipo di illustrazione e hanno un altro sapere enciclopedico rispetto agli italiani della stessa età.

* Per vari motivi. Uno è quello citato sopra, cioè la casa editrice ha un contratto di collaborazione con uno scout professionista o un’agenzia letteraria che costituisce il canale preferenziale per nuovi titoli. Un altro è che il mercato editoriale tedesco negli ultimi anni non fa a cazzotti per i libri italiani e tra gli editor sono rimasti pochi che sanno leggere l’italiano. Ciò significa che la decisione di acquistare i diritti per un romanzo italiano si deve basare esclusivamente su schede di lettura e valutazioni esterne. Ci vuole quindi molto più forza di persuasione per convincere l’editore.