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:: Mi manca il Novecento – Milan Kundera, il romanzo e la sua anima – a cura di Nicola Vacca

20 luglio 2023

Con la scomparsa di Milan Kundera si chiude un’epoca. Scrittori come lui non ne nasceranno più.

Un romanziere magistrale, un uomo straordinario e libero che ha rappresentato il suo tempo, quel Novecento con tutte le sue contraddizioni totalitarie di cui Kundera è stato pensatore critico e avversario spietato senza mai scendere a compromessi e soprattutto scontando sulla sua pelle senza mai rinunciare a un senso radicale di rivolta.

Kundera che ha dato al romanzo una nuova sapienza dando nuovamente vitalità a questo genere e alla sua spiccata forma di conoscenza.

Lo scrittore boemo decise di scomparire dalle scene letterarie nel 2013 dopo aver pubblicato La festa dell’insignificanza, che può considerarsi il suo testamento.

Sarà davvero difficile colmare la perdita della sua assenza. Come dicevamo, scrittori come lui non ne nascono più.

A Kundera dobbiamo molto: una nuova lettura dello spirito del romanzo.

Nel 1986 lo scrittore boemo dette alle stampe L’arte del romanzo, un libro che raccoglie sette saggi interessanti sulle sorti del romanzo europeo.

Un saggio che negli anni è diventato un libro di culto, parole imprescindibili per chi quotidianamente si occupa di scrittura.

«Mi diverte pensare che l’arte del romanzo sia venuta al mondo come l’eco della risata di Dio», scrive Kundera divertito nella sua analisi che ci porta a spasso nei capolavori e negli scrittori che hanno reso grande questo genere nella nostra decadente Europa.

Il romanzo è incompatibile con l’universo totalitario, lo spirito del romanzo è lo spirito di continuità: ogni opera è la risposta alle opere che l’hanno preceduta, ogni opera contiene tutta l’esperienza anteriore del romanzo.

L’arte del romanzo si contamina con la pratica del saggio filosofico e ne L’insostenibile leggerezza dell’essere, come in tutti gli altri suoi libri, Kundera riesce a fare speculazione sui moti più remoti dell’esistere, entra in profondità nell’agire umano, politico e sociale del proprio tempo, facendosi interprete inquieto di una contemporaneità dilaniata dalla ricerca del proprio destino.

«Un romanzo non è una confessione dell’autore, ma un’esplorazione di ciò che è la vita umana nella trappola che il mondo è diventato». Così scrive Kundera nel suo capolavoro L’insostenibile leggerezza dell’essere.

«Ogni romanzo, che lo si voglia o no, propone una risposta alla domanda: che cos’è l’esistenza umana, e dove sta la sua poesia?».

Milan Kundera a futura memoria resterà sempre cittadino geniale della patria del romanzo. Un grande spirito universale che possiede un mondo estetico unico. Un grande scrittore che è stato capace di scrutare le possibilità inesplorate che l’arte del romanzo offre. Anche per i tempi a venire.

L’intera opera romanzesca dell’autore boemo è inseparabile dalla sua riflessione sui Tempi Moderni e sul destino dell’Europa. Per rendersi conto di ciò basta leggere le pagine di L’arte del romanzo e Testamenti traditi, i due saggi in cui Kundera si interroga e discute sulle sorti del romanzo, partendo dalla considerazione alta che ha dei suoi maestri.

«Con costanza e fedeltà, il romanzo accompagna l’uomo dall’inizio dei Tempi Moderni. Esso, fin da allora, è pervaso dalla passione del conoscere, che l’ha spinto a scrutare la vita concreta dell’uomo e a proteggerla contro l’oblio dell’essere; che l’ha spinto a tenere il mondo della vita sotto una luce perpetua».

Kundera è stato tra i più geniali innovatori del romanzo del secondo Novecento.

Con lui davvero si chiude un’epoca.