Prima di iniziare volevo dirti che… posso darti del tu?
certo.
Che casa tua assomiglia incredibilmente alla mia.
anche tu hai i muri colorati e la terrazza con vista sugli orti e sul murales di Rousseau?
Sì, ed ho perfino gli stessi dischi.
Non ci credo… anche Doughnut in Granny’s Greenhouse di The Bonzo Dog Doo Dah Band?
Sì.
Andremo d’accordo noi due, vai con le domande.
E’ uscito da qualche settimana il tuo ultimo romanzo, Le acrobazie mentali di Ivan Mostarda (Robin Edizioni), hai voglia di parlarmene?
Non troppa, basta che ti connetti al sito della casa editrice e puoi leggere la sinossi. Comunque dato che anche tu possiedi Doughnut in Granny’s Greenhouse, farò uno sforzo. Ivan Mostarda è un caleidoscopio. Un viaggio, in tutti i sensi. Se vuoi, un libro d’avventura classico con elementi surrealisti… per dirla semplice: ‘Un musicista di strada che suona pentole capovolte con bacchette cinesi, una ragazza dalle gambe perfette e dagli occhi grandissimi, un mercenario che scompare e riappare, un clochard che indossa un saio da penitente e che studia iscrizioni runiche, uno spregiudicato affarista egiziano, un albergatore turco che parla con la foto di Atatürk, una ricca occidentale che continua a mangiare senza sosta dal giorno del suo matrimonio. Sono solo alcuni dei personaggi che animano questo rocambolesco e surreale romanzo. Libro d’avventura, d’amore e d’amicizia, Le acrobazie mentali di Ivan Mostarda si sviluppa come un caleidoscopio coloratissimo: vichinghi, buskers, giornalisti falliti, chiromanti, la Monna Lisa, kamikaze improvvisati. Fra l’Emilia, Parigi, Istanbul, le coste del mar Rosso e la Maremma, una storia appassionante, allegra e commovente sulle tappe della vita.’… ho letto la sinossi… beh, sì, il libro parla essenzialmente di questo.
Verso la fine del libro c’è una specie di monologo che potrebbe essere letto come una glorificazione della figura del kamikaze, sei d’accordo? Volevi dare questo messaggio?
Glorificazione del kamikaze? Ma dai… davvero l’hai interpretata così? No, nessuna gloria, semplicemente la constatazione del perchè capitino certe cose. Ne glorificazione ne giustificazione, solo consapevolezza.
Ivan Mostarda è anche uno splendido omaggio a diversi luoghi. E’ frutto di esperienze personali?
Sì, Parigi e Istanbul, luoghi dove sono stato… in qualche modo anche Ferrara… suo malgrado.
Parliamo di Ferrara. Il romanzo che hai scritto illustrato dai disegni di Andrea Amaducci (Io ho un amico che si chiama Amaducci Andrea), Nero ferrarese (Edizioni La Carmelina) è arrivato alla ristampa in soli due mesi. Il genere noir funziona quindi.
Beh, non hai scoperto l’acqua calda… Nero ferrarese è andato in ristampa con una distribuzione locale (se escludi una o due librerie di Roma), non è stata una tiratura da milioni di copie, ma sì, sta andando benissimo Alla città piace quando si parla di lei, anche se viene dissacrata come abbiamo fatto io e Andrea. Nero ferrarese è un’interpretazione della città. Le istituzioni te la vogliono fare vedere ancora coi lustri degli Estensi e noi gliel’abbiamo fatta vedere attraverso gli occhi di uno sbirro anarchico, di vecchie che coltivano erba, con attentati, fascistelli e corse clandestine di auto. Ognuno vede la città come vuole e come sa fare e sognare.
Nei tuoi libri ricorrono diversi elementi: attentati, dissacrazione della pornografia, surrealismo, Storia. Sei d’accordo?
Ce ne sono anche molti altri: muse ispiratrici, comunismo, musica, erba, amicizia, amore, viaggi, divertimento, commozione…
Non te la stai tirando un po’ troppo?
Sì, forse sì.
Ost, il banchetto degli scarafaggi (Edizioni Melquìades) è un lavoro a cui sei particolarmente legato. Quali sono i motivi?
Perchè è marginale. Siamo seri, parlare della DDR, dei servizi segreti vietnamiti, di ex spie del patto di Varsavia e di un mondo che non esiste più è fuori moda, ammuffito, surreale. Un piccolo mondo antico pieno di piccole particolarità. E poi adoro le spy story, Graham Greene è geniale, immenso… Ost è un po’ un tributo a quel filone letterario.
A me piace uno con un nome simile, Greene Graham. Come sta andando Il requiem di Valle Secca (Tracce), il tuo primo romanzo?
Piccolo caro Requiem… bene, è andato bene… c’è bisogno di fiabe ecologiche di questi tempi, e anche di lieto fine… il mio primo romanzo ha queste caratteristiche. Spero… credo. In ogni modo preferisco definirla fiaba ecologica piuttosto che cyberpunk come è stato sempre etichettato in questi due anni. Ancora oggi non ho capito cosa sia il cyberpunk.
Non posso aiutarti, non lo so nemmeno io… stai scrivendo?
Scrivo continuamente, altrimenti muoio, mi appassisco. Mi tengo libero. Sto scrivendo una storia d’amore e nel mentre aspetto un responso per quattro inediti, due miei, uno scritto a quattro mani con l’amico Enrico Astolfi e uno a otto mani con il collettivo Alba Cienfuegos.
Bene, mi piacciono i ragazzi che si danno da fare… cosa ne pensi del panorama letterario italiano?
Credo ci sia la brutta abitudine a persistere con i soliti autori triti e ritriti e, soprattutto, la brutta abitudine di investire sui giovani (quando si investe) che non hanno molto da dire oltre a quante eiaculazioni hanno avuto o com’è stato ostico sballarsi al rave… insomma gli editori abituano il pubblico ad una serie di storielle che vanno dal patetico bisogno di parlare di sé alla morbosità di un’erezione e di un tacco a spillo sulle palle… è un po’ triste. La cultura in Italia sta rimpicciolendosi, è sotto assedio, ma i comandanti invece di farci resistere con dignità preferiscono darci in pasto al nemico a suon di buffonate e libri per la maggior parte scadenti.
Vuoi fare un esempio?
No. Chi vuol intendere intenda. Non voglio fare di tutta un’erba un fascio, Ci sono moltissimi scrittori semi sconosciuti o sconosciuti che scrivono benissimo, ed è questo il problema. I creativi, i fantasiosi, chi riesce ad andare un po’ più in là delle sciocche storielle autobiografiche, generalmente esce con piccoli editori, spesso bravi editori, ma che vengono schiacciati dai grandi generali e spesso i generali non hanno molta fantasia a scegliere i propri uomini… è un giro vizioso, ma si resiste.
Ti sento combattivo.
Ci provo, se non combatto mi sparo.
Problema di soldi? Se vuoi posso darti una mano.
Lascia perdere.
Ok. come non detto. Tornando al discorso della “resistenza”… beh, c’è qualche tecnica per resistere? Pensi ci sarà una vittoria finale di quelli che tu definisci gli assediati?
Nella realtà il primo mondo vince sempre. Il primo mondo, nel mondo della cultura, è rappresentato da tutti quegli omini pavidi che hanno il potere di decidere i gusti narrativi del lettore. L’unica tecnica è quella di rendere migliore possibile il nostro mondo dei sogni. Io credo che sia un dovere di ogni scrittore quello di dare ai propri lettori, se anche fossero solo due, il meglio del proprio mondo mentale. La tecnica è dargli narrativa popolare che io definisco di qualità, rispetto alle storielle autobiografiche di cui parlavo prima o a romanzetti fatti in serie buoni solo per l’attesa dal dottore. Resistere è dargli qualcosa che tutti possano leggere, senza sforzo ma mettendogli dentro la storia, le annotazioni, la geografia, luoghi sognati e luoghi reali. Se mentre lo fai sogni, allora devi essere in grado di far sognare anche i tuoi lettori.
Sembra una missione.
Sembra di fare la Rivoluzione d’Ottobre. Ma senza tutta questa contorsione di parole ticchettate su tasti, libri studiati, frasi strampalate, veglie, ore a fissare un muro, lettere scarabocchiate su vecchi quaderni, sarei morto da un pezzo.
… Senti, prima di andare, hai mica un po’ di tabacco da offrirmi?
Tieni.
grazie… aloha.
aloha e prego.
Me ne vado mentre nella stanza risuona il delirante intro di I’m The Urban Spaceman, primo brano di Doughnut in Granny’s Greenhouse di The Bonzo Dog Doo Dah Band.

























