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:: Le interviste di Lady Euphonica (usatele con cautela): Helena Cornell

14 novembre 2018

21Norwich, Mississippi. La prestigiosa cittadina universitaria si sta preparando ad affrontare un nuovo anno accademico, incurante della scia di macabri omicidi e sparizioni che sta affliggendo il Sud degli Stati Uniti.
Catherine O’Bryan, giovane studentessa della Ole Lady, ritornata alla città natale per lasciarsi alle spalle gli spiacevoli eventi del suo recente passato, si imbatte nello spavaldo Tristan, unico erede dell’antica famiglia Averhart, che dimostra da subito interesse per lei, tanto da infrangere ogni regola e divieto si fosse imposto pur di farsi notare. Oltre il sorriso sprezzante del ragazzo, però, si celano ferite molto più profonde di quelle che la sua pelle mostra con fin troppa assiduità. Nel suo sangue si nasconde l’ira di un predatore, una maledizione che nessun Averhart può sciogliere, nemmeno dopo secoli di sofferenza e molte vite spese in tributo.
Fiamme nella notte, riti sciamanici, cannibalismo, corpi che bruciano occultando agli Umani uno dei più grandi segreti della Storia, ma questa è solo routine per gli Averhart e gli altri Cacciatori.
Il nemico li attende nell’ombra, pronto a ucciderli non appena abbasseranno la guardia. I suoi occhi d’ambra non smetteranno mai di fissarli, fino a quando non li avrà eliminati. Tutti.
Solo la Morte potrà placare la sua terribile Vendetta.

Eccoci dunque a scambiare quattro chiacchiere con Helena Cornell, co-autrice, insieme a Julia Sienna, di “Death is not the Worst”, edito da Gainsworth Publishing.

Ciao Helena e grazie di aver accettato di rispondere alle nostre domande.

La prima riguarda lo pseudonimo: perché hai scelto di pubblicare con un nome diverso dal tuo? E perché hai scelto proprio Helena Cornell? Be’, a me il cognome fa pensare al grande Chris, ma è probabile che le ragioni siano da ricercare altrove!

Ciao Lady Euphonica, guarda ho scelto di pubblicare con uno pseudonimo perché sono una persona, anche se non si direbbe, abbastanza schiva. Helena perché non solo è il mio nome in lingua inglese, ma per la magnifica Helena Bonham Carter. Il cognome, in parte l’ho scelto per Chris Cornell, ovviamente, e perché richiama il nome delle “Cornelle”, adorando la montagna, e lo “sturm und drang”.
Questo nome mi sembrava un ottimo modo per unire diverse passioni in uno pseudonimo, quella per il cinema, la musica, i paesaggi da sublime e pittoresco. Il tutto usando un nome molto simile al mio. Sono distratta, mi sarei dimenticata di essere la tizia nello pseudonimo se scelto troppo lontano da quello originale. Non girarsi quando ti chiamano è parecchio brutto, non vi pare?

Veniamo poi al titolo del vostro romanzo: “Death is not the Worst”.

Viene in mente Platone. Ci sono altri riferimenti, più o meno espliciti? A cosa è dovuta la scelta dell’inglese?

Platone è la citazione corretta. I riferimenti sono per tanti tra cui la costante fame di vendetta, presente specialmente in opere come il “ Titus Andronicus”, una tra le più sanguinolente e “gore” del beneamato William Shakespeare. Ad alcuni protagonisti succedono cose ben peggiori della morte, esattamente come nel nostro romanzo. In inglese, be’, essendo io anglofila e Julia esterofila, vista l’ambientazione, abbiamo valutato che in inglese dava più il senso di ciò che volevamo comunicare. In italiano sembrava il titolo di una commedia alla Oscar Wilde, ma non era quella la sensazione che volevamo ottenere nel lettore.

Dovendo avventurarsi nelle definizioni, il vostro romanzo potrebbe rientrare nella categoria Young Adult Urban Fantasy. Come avete lavorato su questo genere, tanto amato quanto oggetto di discussioni?

Sono due categorie che preferirei lasciare divise. Il nostro è un Urban Fantasy che strizza l’occhio alla categoria New Adult, ma per una questione prettamente di nostra goliardia personale. Abbiamo voluto giocare con certi cliché: il ragazzo bello e ricco, la nuova arrivata, il cattivo bel tenebroso… ecco abbiamo preso questi brutti “archetipi”, tanto sfruttati e utilizzati, per creare qualcosa di realistico, di nuovo, un azzardo se vuoi. Ma, ragazzi, ha funzionato! In Italia il genere Urban Fantasy è poco pubblicato e anche conosciuto. Come molto meglio di me potrebbe spiegarti il mio caro amico e collega Luca Tarenzi, si fa una gran confusione su cosa sia davvero Urban Fantasy. Il Paranormal Romance, per esempio, non rientra in questa categoria. L’Urban Fantasy non solo porta i mostri nelle nostre città, ma li rende anche “umani”, donando loro una scelta. La mostruosità esteriore non coincide sempre con quella interiore.

Il romanzo “Death is not the Worst” lascia presagire un sequel. È già in cantiere? Cosa puoi anticiparci?

Sì ha un seguito, uno solo, è una dilogia. Il romanzo è già in cantiere e posso dirti che ne vedrete delle belle. Faremo di tutto per dare a questa storia che ci ha viste unite, il degno finale che aspettano i nostri lettori. Vi anticipo che ci saranno molti colpi di scena e che ci faremo perdonare il cliffhanger del primo libro.

Recentemente sei stata ospite al Lucca Comics & Games insieme a Julia Sienna e a Sara Benatti (in arte Aislinn, autrice, sempre per Gainsworth Publishing, di “Né a Dio né al Diavolo”). Il tuo intervento, in particolare, verteva sull’analisi psicanalitica del mostro vittoriano. Puoi riassumerci i punti salienti?

Grazie di questa domanda. Inizierò con una provocazione bella e buona.
I mostri vittoriani, ma ma più precisamente i mostri gotici e le loro influenze letterarie, altro non sono che un branco di sfigati.
Sono persone frustrate, incapaci di vivere le loro vite senza paturnie, o catastrofi dovute principalmente dal fatto di vivere in una società che non si occupava dei suoi malati di mente, ma che li lasciava soli a sé stessi, quando non li rinchiudeva nei manicomi, autentici e spaventosi lager.
Le categorie analizzate nella conferenza sono essenzialmente tre: il narcisista psicopatico, il figlio rifiutato e il Doppelgänger.
Di solito lo svolgimento dei romanzi di fine settecento di questo genere era basato su canovacci che parlavano sempre di misteri da deus ex machina, cattivissimi senza una motivazione valida che volevano sposare la protagonista, eroine narcolettiche ed eroi factotum che salvavano la situazione senza sapere come. Senza contare che l’elemento sovrannaturale era sempre tenuto soffuso, al minimo, quasi come se si rischiasse di scombussolare troppo la mentalità dell’epoca.
Uno dei pochi cattivi interessanti del romanzo gotico puro è Ambrosio di The Monk, personaggio del romanzo di Matthew Gregory Lewis. Monaco bellissimo e molto devoto che cade “ vittima” delle macchinazioni del demonio che lo sedurrà, portandolo a diventare un assassino, stupratore e ad avere rapporti incestuosi, in una spirale di violenza e devianza psicologica mai vista prima. Il protagonista così finisce, da bravo narcisista psicopatico, a non avere alcuna colpa per le nefandezze che compirà.
Prendiamo Dorian Gray. La sua cattiveria diventa estrema perché non era lui a subire le conseguenze fisiche di ciò che metteva in atto ma era il dipinto. Egli è l’incarnazione dello psicopatico narcisista poiché rifiuta ogni responsabilità collegata alle sue azioni.
Come per il serial killer Ted Bundy, di bell’aspetto, piacevole, simpatico con tutti, tranne che con le sue vittime di cui faceva scempio in maniera orribile.
Ambrosio, Dorian e Ted hanno tratti sadici sessuali molto simili, se analizzati nello specifico.
Ogni cosa, nella vita di Dorian, gli ha sempre urlato che l’unica sua dote fosse la bellezza, così ha venduto l’anima per ottenere questa immortalità, rimanendo solo con quella, una scia di sangue e un suicidio finale annunciato.
Passiamo alla categoria del figlio rifiutato: Frankenstein.
Ho preso a esempio le due figure letterarie che secondo me hanno avuto maggiore peso nella sua creazione: Caliban della Tempesta, (si torna sempre a Shakespeare) e al magnifico canto disperato sulla privazione di libertà che è il Satana di Milton. Caliban (che altri non è che la fusione di Jago di Othello e Aronne dal Tito Andronico) e Satana hanno in comune l’essere sibillini, non agire per mano loro, schiavi di un padre padrone che non li ha mai accettati per la loro natura, rendendoli schiavi dei loro desideri e bisogni. Sappiamo che Milton parlava per metafora della sua delusione politica, ma, rimanendo alla pura psicologia, qui si parla di figli rifiutati. Il serial killer del nostro tempo che meglio incarna questo spirito è Charles Manson: lui ha persuaso i suoi seguaci a fare cose terribili, a causa della sua visione distorta della realtà, ma altro non era che un bambino solo, abusato e reietto. La società crea i mostri, difficilmente essi lo fanno da soli, questo mi preme molto ricordarlo.
Per quanto riguarda il Doppelgänger, di solito si tratta di un individuo castrato a livello sociale e familiare: educazione religiosa, codici morali e sociali opprimenti, abusi ecc. ecc. Il massimo esempio di un mostro del genere lo troviamo ne “Lo strano caso del Dr Jeckyll e Mr Hyde” che è stato ispirato da un’opera precedente di James Hogg, “The private memories of a Justified Sinner”, il cui protagonista è Rober Wringhim, cresciuto da una madre calvinista molto bigotta e senza un vero padre. Porta infatti il nome del pastore che l’ha educato, non certo del laird che l’ha messo al mondo (il padre di Robert, dopo aver deciso di non riconoscerlo, gli preferirà sempre il fratello George). A un certo punto, dopo che il suo padre putativo l’ha investito nel ruolo di prescelto per guidare le masse di peccatori verso la luce di Dio, spunta nella sua vita Gil-Martin, uno spirito maligno, un mostro, talvolta descritto come un demonio, che pare essere responsabile di delitti terribili, tra cui l’uccisione del tanto invidiato fratello.
La cosa affascinante di questo libro è che non capiamo nemmeno nel finale se Gil-Martin sia stato o meno artefice di tali crimini o se sia Robert il vero serial killer.
Il Dr Jeckyll invece è un medico rispettabilissimo, ma stanco di doversi castrare nella società vittoriana, tanto perbenista quanto ipocrita. In realtà la sua storia e quella del suo affascinante doppio, quella sorta di folletto piccolo e ritorto che è Mr Hyde (che diventa più grande ogni volta che il buon dottore prende la pozione) ci viene raccontata dal protagonista Gabriel John Utterson, notaio, occhio vigile e vittoriano che indagherà sulla natura del mostro, fino alla sua fine.
Robert e il Dottr Jeckyll sono entrambi due suicidi, spaventati dall’Es che smuoveva il loro doppio “malvagio”
Il dottore però, tra i due, è quello ad avere la razionalità per comprendere il fenomeno, mentre il povero Robert altri non è che la vittima designata.
Due serial killer da prendere in considerazione, Ed Gein (ispiratore di masterpiece come Psycho o di opere gore come “Non aprite quella porta”), figlio di una madre castrante e bigotta che aveva imposto a lui e al fratello un’educazione morigerata e violenta al tempo stesso. Era considerato un po’ un bambinone innocuo, ma, dopo la morte della madre, iniziò a depredare cimiteri e a uccidere donne per creare un vestito in pelle umana che l’avrebbe trasformato in qualcos’altro, una donna, forse.
Il secondo che analizzerò brevemente è Ed Kemper, anche lui cresciuto in un ambiente soffocante. La madre non era bigotta ma una virago che l’ha portato a odiare tutto il genere femminile. Kemper viveva una doppia vita, a contatto anche con le forze dell’ordine, a cui sembrava solo un simpatico chiacchierone da bar, mentre sfogava le sue pulsioni decapitando studentesse.
Sto lavorando a un progetto carino sull’argomento e presto spero di poter dirvi di più. Ma come potete vedere i serial killer non sono così diversi dai mostri gotici e vittoriani.

Oltre che scrittrice, sei anche editor, un lavoro talvolta misconosciuto o frainteso. Puoi raccontarci cosa fa un editor? Quale percorso è opportuno intraprendere per avvicinarsi a questa professione?

Io lo faccio per la casa editrice, ho avuto brutte esperienze con i privati. L’editor è una sorta di impietoso critico: vede quali sono gli errori in una trama, dove il racconto non fila. È colui che analizza le falle nel character building e mostra con un impietoso specchio gli errori dello scrittore, siano essi buchi di trama o deus ex machina, dopo che il suo lavoro è passato già dal correttore di bozze e dal copy editor. Avvicinarsi al mestiere di editor non è facile: bisogna leggere molto, studiare le trame, capire cosa ci piace e cosa no nelle opere altrui e perché. Purtroppo, ci vuole anche una sorta di talento naturale, ma che va nutrito con lo studio e la costanza.

L’ultima domanda è la cifra della rubrica!

Se “Death is not the Worst” diventasse un film e tu potessi scegliere gli interpreti, chi vorresti nei ruoli principali?

Questa domanda mi piace moltissimo! Ovviamente ho già la lista pronta. Per Xander vorrei Woody Harrelson, per Julius Samuel, L Jackson. Per il malvagio William, Tom Hiddleston, mentre la sensuale e latina Reina la vedrei bene interpretata da Salma Hayek. Tristan potrebbe essere Bill Skarsgård e la sua innamorata, Cat, Madison Davemport.

“Death is not the Worst”, Helena Cornell e Julia Sienna, Gainsworth Publishing http://www.gainsworthpublishing.com/index.html#

Se volete incontrare Helena Cornell, Julia Sienna, Aislinn e Luca Tarenzi, potete farlo alla Libreria Cultora di Milano, il 23 novembre, alle ore 18, in occasione di una tappa della loro “Urban Witches on Tour”.