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:: Un’ intervista con Gianluca Giusti, “Sono fermo, mi muovo”, a cura di Elisa Costa

1 novembre 2016

giuntiCiao, Gianluca! Vorrei porti qualche domanda a proposito del tuo bel libro, “Sono fermo, mi muovo”. Sei pronto a cominciare?

Certo Elisa, grazie per l’opportunità.
Lasciami solo salutare e ringraziare i lettori che leggeranno questa intervista.

Parliamo innanzitutto del titolo: si dice che restare immobili troppo a lungo impedisca la crescita e il cambiamento, eppure le tue parole sembrano affermare che a volte è necessaria una sosta, laddove ne valga la pena. Secondo te la società odierna ha perso il senso della contemplazione?

In un mondo che è sempre più chino sugli smartphone e i tablet la contemplazione rischia di diventare un concetto utopico o da ricreare con una applicazione ma, a parte questo, dici una verità incontestabile. Il protagonista del libro, infatti, alterna soste e movimento per lasciare spazio alla riflessione riprendendosi a muovere poco dopo. Quel momento di riflessione serve proprio a creare i presupposti per cambiare ed adattarsi ad una società che a sua volta cambia a velocità pazzesche. Indipendentemente che cambi in meglio o in peggio, senza capacità di adattarsi e reagire, il rischio è di trovarsi troppo indietro. Il mondo del lavoro ne è un esempio classico. Per un giovane la speranza di trovare lavoro è direttamente proporzionale a quanta differenza può fare e il valore aggiunto che può dare per chi lo assume. O per il mercato, se decide di mettersi in proprio. Consiglierei, in particolare ai giovani, e anche ai meno giovani, di alzare ogni tanto gli occhi e chiedersi in che modo possono fare la differenza. Facendo questo è più probabile che il concetto di cambiamento diventi molto più incline ai nostri comportamenti che, per comodità o pigrizia, rimangono generalmente troppo standardizzati.

L’argomento principale dell’opera, lo si capisce fin dalle prime pagine, è l’amore smisurato che nutri nei confronti di Montecatini Terme. Ti propongo un piccolo gioco: se la tua città fosse un fiore, quale sarebbe?

Purtroppo il mio già scarno armamentario di buone qualità si è dimenticato d’inserire l’opzione: animo sublime. Io passo, ma rilancio per il lettore. Coloro che mi daranno il privilegio della lettura possono identificare il libro con un fiore, che per loro è quello ideale.
Il loro fiore sarà il mio fiore.

E se fosse una canzone?

Beh, qui mi dai il più bello degli assist per un goal all’incrocio dei pali.
Naturalmente la canzone del gruppo emergente Zocaffè che, con il suo ritmo trascinante, accompagna le immagini del booktrailer di “Sono fermo, mi muovo”.

E se invece ti imbattessi in un alieno proveniente da un’altra galassia e dovessi descrivergli Montecatini Terme con quattro semplici parole, quali useresti?

La Terra è qui!

Se ti venisse offerta la possibilità di diventare lo scrittore più famoso e apprezzato del mondo, ma per coglierla fossi costretto a lasciare la tua città… Cosa sceglieresti?

Non sono già famoso? Come dici? No? Ah scusa, per un attimo…
A parte gli scherzi, lascerei ma i buoni esempi aiutano come Sirio Maccioni. Montecatinese doc, è il titolare del super rinomato ristorante “Le Cirque”, di New York. Lui puoi giuraci che è famoso. Eppure il legame con la sua città, che poi è anche la mia, è rimasto immutato. Non è tanto la distanza ma come si vive la distanza.

Comunque non dimentichiamo che “Sono fermo, mi muovo” è anche un saggio d’attualità, nel quale esprimi la tua opinione circa problemi importanti. Ma che tipo di ascoltatore sei? Ti piace conoscere le idee di chi magari è in disaccordo con te, senza cercare di persuadere gli altri a ogni costo?

Figuriamoci! Io non sono un guru e ancor meno vado in giro alla ricerca di proseliti. Ascolto volentieri perché ho ancora tanto da imparare e quando ci sono le circostanze, posso tranquillamente cambiare opinione. Ma le circostanze devono esserci, date da fatti dimostrabili e ripetibili. Siamo prossimi a un referendum e ho la mia idea, al momento la parte opposta non è riuscita a convincermi ma non smetto certo di ascoltare. Vedi, saper stare zitti è un’arte, quasi quanto quella oratoria. Anzi, in alcune circostanze lo è anche di più, perché quando si parla per il solo gusto di voler dire qualcosa, la bischerata, detto alla toscana, è prossima a uscire dalla bocca.

Ciò che scrivi dimostra che possiedi un’intelligenza vivace, la capacità di formulare giudizi precisi e, soprattutto, la voglia di aiutare gli altri. Hai mai pensato di proporti per un impegno politico serio, al fine di migliorare il presente e il futuro della tua città? O forse è un’esperienza che hai già fatto?

Mai fatto e che mai farò. Servono capacità che sono consapevole di non avere quindi rischierei di fare danni. Il problema è quando, chi fa danni, ha iniziato pensando di avere le capacità o di utilizzare la politica per i propri interessi personali. Io do il mio contributo con l’esempio e il comportamento, pagando le tasse prima di tutto e agendo con educazione e senso civico. Contributo che ho cercato di dare con Sono fermo, mi muovo, parlando della nostra città in modo positivo esaltando le grandi potenzialità e bellezze che ha da sempre. Guarda caso, e sembra incredibile a dirsi, è stato praticamente ignorato dai politici della maggioranza della città. Ho fatto due presentazioni nello stabilimento principale delle terme e non è passato nessuno di loro, nemmeno per una presenza di circostanza. Potrei capirlo se avessi scritto qualcosa che parla male di Montecatini o per esaltarne le inefficienze, ma è tutto il contrario. La decadenza e le negatività sono bandite da questo libro. Io non cerco i guadagni, la gloria o le copertine patinate, sto solo cercando di dare una mano.

Veniamo ora al misterioso Wilson. Nel finale ci sveli una sorpresa a proposito di questo personaggio, ma per quasi tutta la durata della storia parli di lui come di un fantasma: ti è mai capitato di sentirti davvero inseguito da un’ombra? Un ricordo scomodo, una paura, o magari un rimorso?

Permettimi di ringraziare Silvia Motroni. Lei è il deus ex machina. Scoprirete leggendo perché Silvia è così importante per “Sono fermo, mi muovo” ma, oltre alla sua prefazione, c’è molto di più. Per esempio, che l’idea di creare Wilson è nata proprio da una sua critica, positiva, dopo aver letto la prima stesura. Il racconto, senza questo strampalato co-protagonista, risultava piatto e lei me lo ha fatto notare invitandomi a ravvivare, “in qualche modo”, la scena. Arrovellandomi ho pensato d’inserire questo personaggio che ha delle peculiarità: non lo vede nessuno eccetto me, non parla con nessuno e neanche con me ma, posso rassicurare i lettori che ravviva eccome, la scena. Ombre che m’inseguono no, ma che mi segue sì, ed è la mia. Sufficientemente spaventosa. La paura invece è un’altra faccenda, quella non mi lascia mai. Per il rimorso credo nessun essere umano ne sia privo. Il bello è che spesso sono rimorsi che non hanno ragion d’essere ma di sola auto creazione, giusto per farsi un po’ del male. Il mio rimorso è tra le pagine del libro, emerge potente in uno strano pomeriggio di giovedì, nella piazza principale.

In “Portrait of a Lady”, Henry James faceva dire a uno dei protagonisti che soltanto chi ha sofferto può vedere un fantasma. Come ti comporti davanti ai dolori della vita?

Per fortuna Wilson è solo un fantasma sui generis. Poi non fa paura ma l’esatto contrario. È elegante, stravagante, simpatico, istrionico, impiccione e tante altre cose, tutte anti paura. Definirlo fantasma è riduttivo. In realtà è molto di più di uno spirito inquieto e nel libro si capirà, alla fine, qual è il suo ruolo e il motivo per il quale mi si appiccia dietro sin dall’introduzione. Per venire alla tua domanda, l’esistenza purtroppo si porta spesso dietro tanti fantasmi creati da sensi di colpa oltre che dal dolore e sono presenze ben più scomode dell’innocuo Wilson. Mi piacerebbe poterti dare una risposta da eroe pallido del West e uscire alla grande da questa domanda, ma non sarei credibile, posso solo dare delle indicazioni di massima. Reagire al dolore è sempre una questione personale legata al momento e alle circostanze. Siamo piccoli di fronte al dolore ma può farci diventare grandi, se lo affrontiamo con rispetto e senza mai giudicare.

Ti ringrazio tanto per aver giocato con me e aver risposto alle mie domande! Buona fortuna per tutti i tuoi progetti, a presto!

Grazie a te Elisa, e a tutti i lettori.
Ciao a presto

:: L’età delle certezze fragili, Giorgia Primavera (Edizioni clandestine, 2016) a cura di Olimpia Petruzzella e Elisa Costa

23 ottobre 2016

unnamed2Recensione di L’età delle certezze fragili
(a cura di Olimpia Petruzzella)

Quello di Giorgia Primavera è un libro allo stesso tempo sacrilego e delicato, che affronta senza remore né censure la crisi di mezza età in una donna. Un argomento di solito poco trattato e, quando cioè avviene, affrontato in maniera banale e sommaria, in quanto la letteratura e il cinema preferiscono concentrarsi sulla crisi maschile, inseguendo una serie di stereotipi che vanno dal viagra all’amante giovane, dai tradimenti alle auto costose e così via.
Eppure parlare di donne e di donne mature non è – o non dovrebbe essere – un tabù. Raccontare con dovizia di particolari la menopausa (una parola di solito sussurrata come fosse una vergogna o una parolaccia e non una condizione normale a cui noi donne arriveremo a un certo punto della nostra vita), il calo del desiderio sessuale, le perdite di urina, dovrebbe essere ormai comune.
Invece lo stereotipo della donna perfetta, alla Angelina Jolie – che, gente, io ve lo dico, arriverà anche lei alla menopausa un giorno, eh! – fa di L’età delle certezze fragili un romanzo unico nel suo genere e in un certo senso innovativo. Non perché racconta la storia di una donna normale, forte e fragile, decisa e insicura, coraggiosa e codarda, insomma complessa e contradditoria come qualunque altro essere umano, ma perché lo fa mettendo nero su bianco in maniera impietosa i segni dell’età che avanza.
Viola, la protagonista, ha da poco passato i cinquanta, è in menopausa da due anni e da allora non ha più voglia di fare l’amore con il compagno. Così finge, e nel frattempo si scambia messaggi in chat con Aidan, un aitante sessantenne scozzese, che rappresenta la fantasia di una vita diversa, nuova, libera, lontana. Una vita diversa da quella che Viola ha adesso, alle prese con pazienti che riescono a malapena a pagarla e a cui deve fare sconti, e un uomo che non ama ma con cui vive perché le è stato accanto dopo il suicidio del marito, affetto da disturbo bipolare.
Insomma, una vita difficile, quella di Viola, la quale tuttavia cerca di non farsi imbruttire anche l’anima dall’età e cerca qualcosa di diverso, qualcosa che possa permetterle di vivere e non solo di sopravvivere. E Aidan tiene viva questa speranza. Almeno finché non scopre la verità su di lui…
Anche gli altri personaggi sono ritratti con sapienza, dai comprimari alle semplici comparse: tutti hanno uno spessore e una veridicità profondi, tanto da avere l’impressione che, se solo ci si recasse a Massa, potremmo incontrare i nostri eroi per strada, intenti alle loro faccende quotidiane.
Quotidiano che è essenziale in questo romanzo, perché è da qui che si parte per raccontare una storia che a tratti può sembrare quasi incredibile (ma capitano tutte a lei?) eppure sempre condita da un verismo schietto. Schietto come lo stile semplice, privo di fronzoli, che tiene il lettore letteralmente incollato alle pagine, a porsi domande sulla storia fino ad arrivare all’inaspettato epilogo.
Insomma, un romanzo assolutamente da non perdere, a prescindere dal se siate uomini o donne. Perché anche se affronta la crisi di mezza età da un punto di vista femminile, questo non è affatto un ‘libro per donne’.

Intervista a Giorgia Primavera
(a cura di Elisa Costa)

Ciao, Giorgia! Siamo qui per fare due chiacchiere a proposito del tuo ultimo romanzo, “L’età delle certezze fragili”. Cominciamo?

L’argomento principale del libro sono i cambiamenti: fisici, emotivi, mentali. Tu come hai vissuto e vivi i cambiamenti importanti? Ti infondono ansia oppure li consideri eccitanti?

Entrambe le cose. E poi dipende dal tipo di cambiamento che uno si trova ad affrontare. Sulle prime mi causano ansia, non lo nego, poi riesco a razionalizzare e vedere tutto in una prospettiva più ampia. Quando ho iniziato a scrivere L’età delle certezze fragili, ero rimasta colpita da un’indagine del Daily mail, che mostrava l’istogramma della felicità diviso in fasce d’età. La felicità, lungo l’arco di vita, si dispone a formare una curva che tocca il picco d’infelicità nel periodo che va dai 50 ai 54. Le spiegazioni sociologiche avanzate da alcuni per spiegare il fenomeno – come l’essere la generazione 50 – 54 cosiddetta “sandwich”, ovvero schiacciata da figli ancora in casa e dai genitori anziani – mi lasciavano perplessa. Possibile, mi chiedevo, che poi la curva della felicità riprendesse il volo dopo i 54? Che risposta davo io a quel senso di malessere che avvertivo forte, come altri miei coetanei? Mi sono pertanto chiesta se questo picco all’ingiù non fosse dovuto anche a una realtà rilevante del campionamento, ovvero la presenza delle donne di quella fascia di età, donne che stavano andando o erano già in menopausa.

La protagonista del racconto lavora come psicoterapeuta, però a un certo punto è proprio lei ad avere una sorta di crisi d’identità: credi sia possibile aiutare gli altri a stare meglio, se non ci si sente in pace con se stessi?

Più che crisi d’identità, Viola soffre di depressione con tratti bipolari. Ritengo che psicologi e psichiatri si ammalino al pari di altri e, come spesso accade, talvolta ne sono inconsapevoli. Per rispondere alla tua domanda, ritengo che i conflitti personali irrisolti non consentano di svolgere al meglio le professioni d’aiuto.

La storia ruota attorno a una donna, ma ci hai presentato anche diversi personaggi maschili interessanti. Per esempio, Ernesto è una figura che nonostante tutto ispira tenerezza, sei d’accordo?

Sì, Ernesto è uno sbruffone che si trova a fare i conti, forse più di Viola, con il crollo di un mondo di certezze nel quale si muoveva sicuro. E quindi è tenero, non c’è dubbio.

E invece Aidan? Il suo ruolo nei confronti di Viola è quello di un aiutante oppure di un antagonista? O magari entrambi?

Aidan ha entrambi i ruoli. È il cantico del cigno, l’illusione amorosa che ti aiuta ad andare avanti, ma che poi si trasforma in un incubo.

Veniamo ora a Rachele, la figlia della protagonista. Per caso questa ragazza rappresenta l’egoismo, e a volte la crudeltà, della giovinezza?

Sì, hai colto bene. Rachele rappresenta l’ego ipertrofico della giovinezza, che talvolta sorvola con leggerezza sul vissuto dei genitori o delle persone più anziane.

Viola ha una determinata opinione circa il concedersi qualche “ritocchino” chirurgico per migliorare il suo aspetto fisico. Tu che ne pensi? Ritieni che vedersi più belli allo specchio sia positivo per l’autostima, o rischi piuttosto di diventare un placebo?

Ad avere i soldi… Scherzi a parte, credo che ognuno debba sentirsi bene con se stesso. Certo, abbiamo visto molte attrici esagerare e trasformarsi in maschere grottesche. In quel caso un invecchiamento curato ma naturale è preferibile. Penso, ad esempio, a Isabella Rossellini. Insomma la via di mezzo è sempre la migliore. Ritocchino sì, disastro no!

Credi che le signore di una certa età possano essere addirittura più vivaci e intraprendenti delle ragazzine, come fa Carolina?

Sì, penso proprio di sì in alcuni casi. Dipende però da tanti fattori: il vissuto precedente, magari la comparsa di un nuovo amore o anche l’assunzione di ormoni. Però, a mio avviso, non è la regola.

Adesso vorrei porti un paio di domande delicate, e spero vivamente che tu non ti offenda! La prima riguarda il tuo rapporto con Viola: ho notato che siete più o meno coetanee… C’è qualcosa di autobiografico nel romanzo?

Ahi, me lo aspettavo. Con il mio editore avevamo concordato il tema (la menopausa) e, di conseguenza, mi sono informata com’era doveroso, frequentando a lungo gruppi Facebook dedicati al tema. Sono rimasta sorpresa da quanto le donne soffrissero in silenzio, per caldane e altri disturbi, e non volessero esternare i loro problemi ai familiari. Ad esempio era quasi tabù il calo del desiderio avvertito dalla maggioranza, anche per il timore di perdere il marito. Però, questo è certo, non è il mio vissuto. Se avessi dovuto scrivere la mia storia, sarebbe stata ben altra, visto che ho sofferto di endometriosi con dolori lancinanti per decenni e ho sempre dichiarato che avrei stappato una bottiglia di champagne una volta passato il Rubicone. Ma è diverso. Io ero malata e la menopausa rappresenta la cura elettiva per l’endometriosi, tanto che alcune pazienti vengono mandate in menopausa chimica per qualche mese anche a trent’anni. L’autobiografia è invece presente, come spesso accade, in aspetti minori, nelle intercapedini del testo. Si dice spesso “scrivi di ciò che conosci” (o altrimenti informati bene!). Dunque, quando si è reso necessario, ho narrato la morte dei miei genitori, fondendola, entrambi vittime di tumore al polmone. È stata la parte più difficile da scrivere: ricordare i deliri di mio padre sotto morfina e l’agonia infinita di mia madre dietro a un paravento.

E infine, come ti aspetti che il pubblico reagisca al tuo libro? É una storia particolare e immagino che gli stessi elementi che la rendono unica possano lasciare perplessi i lettori più tradizionalisti. Ti sei sentita coraggiosa a descrivere con tanto realismo la vicenda di Viola?

Molti tabù accreditati dal veterofemminismo stanno crollando, per fortuna. Mi piace molto l’outing schietto della cantante Fiordaliso: «Non ho più voglia di fare sesso e non sono mai stata più felice». E invece l’idea che la menopausa sia l’inizio di una nuova vita erotica, più intensa e piena di quella che l’ha preceduta, è appannaggio di numerose femministe storiche, a partire da Erica Jong con Fear of dying alla scrittrice nicaraguense Gioconda Belli con L’intenso calore della luna fino addirittura ai chick lit, l’ultimo di Helen Fielding, l’autrice de Il diario di Bridget Jones, con il suo nuovo Un amore di ragazzo. Tutti questi libri equiparano la menopausa a una nuova era, fatta di chirurgia plastica, toy boy a volontà e sessualità esplosiva. È davvero così? Mah! Io preferisco Fiordaliso.

Ti ringrazio infinitamente per il tempo e l’attenzione, e ti auguro che “L’età delle certezze fragili” ottenga il successo che merita!

Grazie 🙂

:: Intervista a Monica Gatto, a cura di Elisa Costa

5 settembre 2016

unnamedCiao, Monica! Innanzitutto ti faccio tantissimi complimenti per essere riuscita a scrivere un libro così bello a soli sedici anni! Ora vorrei porti qualche domanda a proposito di Mezzanima. Iniziamo?

Parliamo subito del rapporto che unisce i protagonisti: Arian e Robin sono una la metà dell’altro, un’anima divisa in due. Secondo te, nella realtà può esistere un legame simile? Credi nell’anima gemella?

Ciao! Grazie mille, per i complimenti e per le domande 🙂 I protagonisti, in effetti, sono uniti da un legame più unico che raro. Spero che un legame simile possa esistere davvero, secondo me non è impossibile, anche se molto difficile da creare. E credo nell’anima gemella, anche se non me la immagino perfetta. Sia Arian che Robin hanno i loro difetti e le loro debolezze, anche se quando sono insieme passano in secondo piano.

Tra le altre cose, il tuo libro parla di magia. Se potessi scegliere, quale potere speciale ti piacerebbe avere, e perché?

È una domanda difficile. Però credo di avere dato ai vari personaggi alcuni dei poteri che mi piacerebbe avere. I protagonisti sono a stretto contatto con il Buio, che è l’elemento che preferisco in assoluto.

Veniamo ora all’antagonista: che cosa rappresenta per te la Regina? Un incubo, una paura, un ostacolo da superare?

La Regina è tutte questo messo insieme: è un incubo e in alcune occasioni sembra insormontabile, ma è anche una paura che va sconfitta e un ostacolo che deve essere superato a tutti i costi.

Tra i comprimari troviamo diversi personaggi interessanti, uno fra tutti il giovane Ren: in un certo senso è come se lui fosse la mente, la ragionevolezza e l’intelligenza, laddove invece Arian e Robin sono il cuore, il sentimento e l’istinto. Sei d’accordo con quest’affermazione?

In un certo senso sì. Ren è l’amico e la guida. I due protagonisti si ritrovano improvvisamente in un mondo che non conoscono, in cui si muovono ancora a fatica. L’amicizia di Ren, oltre che a guidarli, li aiuta a sentirsi parte di quello che è il loro “ambiente”. E in un certo senso, in effetti, Ren è anche il freno all’impulsività dei protagonisti, che a volte potrebbe metterli in difficoltà, nonostante penso che l’intelligenza e la strategia accomunino tutti e tre.

Nel romanzo sono molto spesso le donne a possedere un carattere forte e deciso: pensiamo a Marine, alla Regina, alla stessa Arian… Nella tua vita c’è una “grande” donna cui vorresti assomigliare?

Sinceramente non ho una “grande” donna in particolare, direi forse di più che ho tanti piccoli pezzi di “grandi” donne che mi piacerebbe avere, per poi essere solo me stessa.

Nel corso della loro avventura, i due protagonisti incappano in molti pericoli e in situazioni spiacevoli, eppure riescono sempre a trovare una speranza nella reciproca compagnia. Quanto è importante per te l’amicizia?

Secondo me l’amicizia è molto importante. Ci sono amicizie diverse, alcune durano qualche giorno, altre invece vivono per anni. Sono convinta che, poi, ci siano amicizie uniche che rimangono tutta la vita e che ci completano. Penso che l’anima gemella consista un po’ anche in tutto questo, in fondo.

Arian e Robin sono dei ragazzini, ma le loro esperienze di vita li hanno costretti a crescere in fretta. Secondo te, qual è il momento in cui si smette di essere bambini?

Secondo me si smette di essere bambini quando non si prova più la forza per emozionarsi davanti alle cose e le si subisce e basta. Credo che sia molto brutto smettere di emozionarsi. Arian e Robin crescono, nel corso del loro viaggio, imparano e con le loro scelte si costruiscono col passare del tempo, ma non smettono mai di stupirsi, di arrabbiarsi, di avere paura e di provare tante altre emozioni. Secondo me, quindi, si può crescere sempre senza smettere di essere bambini.

Sinceramente, se un mattino ti capitasse di svegliarti e ritrovarti nel Regno, come reagiresti?

Per i primi due o tre minuti rimarrei ferma e mi convincerei di essere impazzita. Nei cinque minuti successivi credo che rischierei l’infarto almeno un paio di volte e sinceramente non so quante cose potrebbero passarmi per la testa. Credo che in fondo ne sarei felice, anche se probabilmente mi verrebbe voglia di tagliarmi le mani per alcuni degli effetti collaterali del Regno.

Un’ultima domanda prima di salutarci: come è cambiata la tua vita da quando Mezzanima è stato pubblicato?

Dopo la pubblicazione di Mezzanima non è che la mia vita sia cambiata tanto, se non per la grande soddisfazione di avere il “mio” libro in mano. Poi ci sono stati tanti eventi, tra le presentazioni in libreria e biblioteca. Ma credo che la cosa che mi ha emozionato di più, e che continua a farlo, sia leggere le opinioni delle persone. Ad esempio, adoro leggere le recensioni, nonostante abbia sempre un’ansia pazzesca quando me le trovo davanti.

Ti ringrazio tantissimo per la disponibilità e ti auguro tanta fortuna per tutti i tuoi progetti.

Alla prossima!

:: Un’ intervista con Homobruno, a cura di Elisa Costa

27 luglio 2016

indexCiao, Homobruno. Prima di parlare di “Basta poco”, vorrei farti una domanda generica: hai mai preso spunto dalla realtà per creare i personaggi e le situazioni dei tuoi racconti? Magari dal tuo passato o dal tuo presente?

Ovviamente sì. Passato, presente e futuro.

Veniamo ai personaggi del libro: chi è il tuo preferito? E perché?

È Chiara. Mi piace tutto di lei. Chiara è una bella donna, intelligente, forte, indipendente e con una mente completamente sgombra da superstizioni.

E invece quello che ti piace di meno?

Mi verrebbe facile nominare Manuel, ma dico Christian. Christian attraversa il libro con una sua idea che pian piano gli si concretizza nella testa ma, una volta che ha ottenuto questo dono dal destino, invece di continuare a cercare, per motivi contingenti alla trama, si ferma.

Ti è mai capitato di avere un’ossessione, un chiodo fisso come il “basta poco” del protagonista?

Le ho inventate io le ossessioni. Da quella di Madame Bovary passando per quella di Marcel per Albertine fino a quella del Dj per le playlist. Compreso un baule pieno di altre ossessioni che ho gettato in fondo al mare.

La protagonista femminile, Chiara, è una veterinaria: c’è un motivo particolare per cui hai scelto proprio questa professione?

Chiara che di professione fa la veterinaria esiste veramente. È una persona in carne e ossa che però io non ho mai visto, neanche in foto, né lei conosce me. Prima di terminare la scaletta di “Basta poco” andai a trovare un mio amico e lui per la prima volta mi parlò di Chiara. Dalle sue parole capii subito che lei sarebbe stata il personaggio femminile del libro.

Un altro personaggio è un regista in erba. Ti piace il cinema? Quale genere preferisci?

Io metto il cinema e la letteratura sullo stesso piano. Per i miei gusti queste due forme d’espressione devono essere in grado di intrattenere. Amo il cinema americano, quello in ci sono con le Forze Speciali, la Casa Bianca, il Presidente, la CIA, l’NSA, un po’ meno l’FBI.

Ti piacerebbe se da uno dei tuoi romanzi venisse tratto un film?

Certo. Collaborare alla sceneggiatura tratta da un mio libro è un obiettivo.

Se il romanzo in questione fosse “Basta poco”, quali attori sceglieresti per impersonare i protagonisti?

Chiara : Maggie Gyllenhaal – François (Dj) : Colin Farrel – Manuel : Ralph Fiennes –

Christian : Joaquin Phoenix – Bob : Jake Gyllenhaal – L’Oracolo : Anthony Hopkins.

Al momento stai lavorando a qualche altro progetto editoriale? Puoi anticiparci qualcosa?

Ho finito di scrivere “Domino”, per il momento lo sto correggendo. Il romanzo parla di un uomo che per tutta una serie di circostanze, attraverso le quattro stagioni, si troverà a confrontarsi con quattro donne.

Adesso una domanda un po’ strana! Alcuni autori riescono a concentrarsi solo se si trovano in un luogo preciso: anche tu hai una “tana” dove rinchiuderti quando vuoi scrivere?

La mia casa è piccola e gonfia di oggetti. Non ho un posto romantico dove comporre, uso il tavolo della cucina dove io e mia moglie mangiamo. La mia tana è la notte.

Un’ultima cosa: sinceramente, ti piacerebbe essere il protagonista di un romanzo di Homobruno?

Lo sono già stato con “Basta poco” e lo sarò in futuro con i prossimi libri.

Grazie mille per l’attenzione e la gentilezza!

Grazie a te.