:: Recensione di Jack Reacher – La prova decisiva di Lee Child (Longanesi, 2012) a cura di Giulietta Iannone

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Jack Reacher – La prova decisiva (One shot, 2005), tradotto da Adria Tissoni, nono episodio della serie di Jack Reacher, ideata dall’autore britannico Lee Child, è una riedizione voluta da Longanesi, che l’aveva pubblicato per la prima volta nel 2008 con il titolo La prova decisiva, in occasione dell’uscita dell’omonimo film di Christopher McQuarrie con Tom Cruise nei panni del protagonista. Premetto che non avendo visto il film eviterò qualsiasi parallelismo tra romanzo e opera cinematografica. Come tutti i libri di Lee Child che fino ad oggi ho letto questo romanzo merita di essere letto,  soprattutto se amate i thriller in cui predomina l’azione. Jack Reacher è un personaggio tipicamente americano, il cui spirito si nutre di molte figure iconiche del vecchio west, se non addirittura andando indietro nel tempo, e cambiando continente, possiamo trovare anche delle somiglianze con la figura del ronin dell’antico Giappone. L’eroe solitario, il guerriero senza macchia e senza paura, che vaga di villaggio in villaggio, senza una casa, una famiglia, senza addirittura a volte un nome, ma rigorosamente testimone di un codice morale in cui giustizia, lealtà e libertà si uniscono e diventano un tutt’uno, è da sempre una figura cardine di quella parte più anarchica e libera, alle radici stesse del mito della frontiera, di cui Child si appropria rielaborandola e proiettandola nel suo personaggio. Jack Reacher è un ex militare, ma una specie particolare di militare, un maggiore della polizia militare, che ha avuto modo di indagare sui crimini commessi all’interno dell’esercito e già per questo un paria, ben prima della sua scelta di lasciare tutto e vagare per l’America, senza un conto corrente, un indirizzo email, una casa a cui tornare, diventando un invisibile insomma, che a malapena la previdenza sociale può stabilire che è vivo. Le parti in cui vaga in autobus, vedendo scorrere la provincia americana più profonda fuori dal finestrino, anche se brevi sono capaci di creare l’atmosfera e il giusto scenario in cui si svolgono le sue avventure. Non rifugge la violenza, pur non essendo un violento. Si limita a difendersi in un modo in cui la violenza è diffusa, le armi sono facilmente ottenibili, il più forte schiaccia il più debole senza alcuna pietà. Scusatemi sto divagando, questo non è un saggio su Jack Reacher, torno al romanzo.  Allora tutto inizia nel garage di un palazzo, in una piccola cittadina di provincia. Un cecchino spara sulla folla e uccide cinque persone: quattro uomini e una donna. Apparentemente senza motivo. La polizia ferma nel giro di poche ore James Barr: un reduce, disoccupato, con problemi di insonnia, senza una assicurazione medica. Le prove portano a lui, senza ombra di dubbio, così lampanti che sembrano costruite. James Barr si chiude in un ostinato mutismo e solo con il suo primo avvocato difensore fa il nome di Jack Reacher prima di essere selvaggiamente picchiato in carcere da una banda di latinos a cui aveva mancato di rispetto. Ormai in coma, con l’onta di colpevole marchiata a fuoco, giace in un letto d’ospedale e solo la sorella lo crede innocente e cerca un altro avvocato difensore e lo trova in Helen Rodin, una preparata e ambiziosa avvocatessa alle prime armi, la figlia stessa del pubblico ministero a cui è affidato il caso. Trovare Jack Reacher diventa imperativo. Ma naturalmente nessuno ci riesce, sarà lui stesso a farsi vivo dopo aver visto in tv un servizio in cui si fa il nome di James Barr. E Jack Reacher con James Barr ha un conto in sospeso. Lo sa colpevole di un altro crimine simile, crimine per cui non l’aveva potuto perseguire per intrallazzi politico- militari. Scoprire la verità sarà per Jack Reacher l’unica via d’uscita. Azione dunque, un’ indagine che porta in direzioni diverse dalle premesse, l’intuito di Jack Reacher, il bel personaggio di Helen Rodin, sono questi gli elementi centrali di questo romanzo. Se l’inizio con l’attuazione dell’attentato è un po’ convenzionale, non lasciatevi scoraggiare appena entra in scena Jack Reacher l’azione accelera in un susseguirsi di cambi di prospettiva. Scritto in terza persona, tipo di scrittura che Child predilige quando vuole dare più spazio alla suspense, Jack Reacher – La prova decisiva è uno di quei romanzi che si leggono in poche ore, senza annoiarsi. Le possibili aperture del finale le avevo naturalmente intuite già dall’inizio, Child utilizza infatti una soluzione non certamente innovativa ma di sicuro effetto che unita alla bravura nel delineare cattivi credibili e simili a dei congiurati rendono il romanzo un thriller pienamente riuscito.

Lee Child è nato a Coventry, in Inghilterra, nel 1954. Dopo aver lavorato per vent’anni come autore di programmi televisivi, nel 1997 ha deciso di dedicarsi alla narrativa: il suo primo libro Zona pericolosa è stato salutato da un notevole successo di pubblico e critica, e lo stesso è accaduto per gli altri romanzi d’azione incentrati sulla figura di Jack Reacher, personaggio definito dal suo autore come «un vero duro, un ex militare addestrato a pensare e ad agire con assoluta rapidità e determinazione, ma anche dotato di un profondo senso dell’onore e della giustizia». Da La prova decisiva è stato tratto il film con Tom Cruise nei panni di Jack Reacher. Lee Child vive negli Stati Uniti dal 1998.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Tommaso dell’Ufficio Stampa Longanesi.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

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4 Risposte to “:: Recensione di Jack Reacher – La prova decisiva di Lee Child (Longanesi, 2012) a cura di Giulietta Iannone”

  1. lesitaliens Says:

    Ma come si fa ad essere così stronzi da mettere Tom Cruise in copertina? Sono quelle cose che ti fanno cancellare un libro. La sola idea di doverlo leggere pensando alla faccia del nano Cruise nel ruolo del protagonista, me ne fa passare la voglia.

    • liberdiscrivere Says:

      Non avendo visto il film non posso dare giudizi, seppur devo ammettere che il mio Jack Reacher molto si discosta dal “personaggio” Cruise e non solo per questioni di altezza o di corporatura. Ogni lettore penso si faccia una propria idea dei personaggi che più ama e probabilmente se avessero detto a me di scegliere un attore capace di impersonarlo con tutta probabilità non so se ci sarei riuscita. Sulla idea della copertina, be’ è una pratica diffusa, forse non condivisibile, e certo alienerà dal libro tutti coloro che non sopportano Cruise. Sai che puoi fare. Toglila, sotto è di un bel blue navy, il libro è bello e Jack è sempre lo stesso.

  2. lesitaliens Says:

    Sai cos’è Giulietta, è che per fini commerciali tolgono al lettore la principale magia del libro, quella di potersi creare i propri personaggi e i propri luoghi. Io non ho mai letto Child, né ho visto il film, ma, solo per aver visto la copertina, non riuscirò più a levarmi dalla testa quella faccetta da bambino primo della classe di Cruise. Secondo me è una violenza bella e buona. Sulla copertina di un libro non bisognerebbe mai mettere la fotografia di una faccia.

    • liberdiscrivere Says:

      Concordo Enrico. Comunque se non consoci Lee Child ti consiglio “Il nemico” a mio avviso il più bello e poi “Destinazione inferno” e “Colpo secco”. Troverai in Jack Reacher un bel personaggio, davvero.

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