Si chiamava Robert William Arthur Cook, ma gli amanti del noir lo ricorderanno come Derek Raymond, pseudonimo con cui firmava uno dopo l’altro i suoi capolavori: E morì a occhi aperti, Aprile è il più crudele dei mesi, Come vivono i morti, Il mio nome era Dora Suarez.
Derek Raymond è morto, ormai dal lontano 1994, ma resta uno dei grandi maestri del noir, difficilmente imitabile, difficilmente superabile, perché opera e vita in Derek Raymond si fondono ed acquistano una valenza liberatoria e a loro modo tragica.
Derek Raymond non si atteggiava ad anima dannata, era quello che scriveva, parlava di se stesso, in prima persona esponendosi sempre senza filtri, mediazioni, barriere e per questo arrivava al lettore con tutta la sua carica di violenza e disperazione e provocava ferite, faceva sanguinare, non faceva prigionieri.
Non ringrazierò mai abbastanza Marco Vicentini che con la sua Meridiano Zero ci ha permesso di leggere i suoi capolavori in traduzioni curate che danno a Derek Raymond il giusto posto che merita nella storia della letteratura permettendo anche a coloro che non conoscono l’inglese di immergersi nell’atmosfere tragiche e infette dei suoi libri.
Lo so andrò controcorrente, probabilmente Incubo di strada non verrà ricordato come uno dei suoi capolavori e molti critici si affanneranno a vederci limiti e difetti, ma a mio avviso merita un discorso a parte, merita di essere rivalutato e considerato per quello che è: la storia di un addio, il destrutturato lamento di un morente che con le fluide proiezioni di un incubo getta una luce di speranza e di amore in un mondo dominato dalla violenza, dalla tragica sopraffazione del più forte sul più debole, dall’impossibilità di trovare una strada che porti alla redenzione e alla salvezza.
Una vena insolitamente romantica e non pessimista pervade queste pagine e ci porta quasi agli antipodi di opere ben più tragiche come Aprile è il più crudele dei mesi o Il mio nome era Dora Suarez. Certo non dobbiamo aspettarci un happy end consolatorio o vincitori, ma pur restando nei canoni del noir c’è uno scardinamento del genere, un superamento dei suoi limiti. Vita e morte si intrecciano così fittamente, e in questo mi ha ricordato molto Hugues Pagan, da trovare un canale di congiunzione il sogno appunto o meglio l’incubo del titolo.
La trama è scarna, essenziale quasi astratta e priva di climax. Non c’è intensità crescente nè concatenamento di avvenimenti né catartica risoluzione e ricostituzione dell’equilibrio, anzi c’è un voluto esatto contrario, un tono smorzato e spoglio in cui gli sprazzi di cieca violenza sono le uniche note di colore in una tela dove se no emergono i toni onirici del nero e del grigio.
Incubo di strada è un’eccezione, un caso a sé peculiare e straordinario nella sua unicità, fu scritto nel 1988 per il mercato francese e inedito in Italia fino a ora. I bassifondi di Parigi sono lo scenario d’elezione, le strade sporche di pioggia e di corruzione morale e fisica più che gli interni crepuscolari rendono viva e vitale l’atmosfera di disgregazione e perdizione in cui si muovono i personaggi in cui solo il protagonista principale ed Elenya, la sua donna, emergono dando agli altri personaggi la consistenza di gnomi.
La trama dicevamo è destrutturata, a tratti incoerente, priva di consequenzialità, onirica appunto come un quadro surrealista dove non si rispettano distanze e proporzioni.
E’ la storia di un flic, Kleber appunto, un poliziotto invecchiato male e stanco di violenza che ha trovato la sua pace e la sua redenzione nell’amore per la sua donna Elenya, un ex prostituta polacca, bellissima come le donne angelicate del dolce stil novo, strappata dalla strada e dallo sfruttamento del suo protettore.
Kleber è un poliziotto che la strada non ha corrotto, che non è sceso a compromessi, che ha conservato la sua umanità e lo si nota con vivida chiarezza all’inizio del libro durante l’interrogatorio del giovane che ha ucciso la sua donna. Poi il suo carattere prende il sopravvento: la sua incapacità di lisciare i superiori lo spinge a gettare all’ortiche la sua carriera, a prendere a pugni un ispettore gesto che darà il via ad una vera e propria discesa agli inferi.
Prima sospeso dal servizio, poi sempre più coinvolto in affari illegali per proteggere Mark l’amico delinquente che arriverà a coinvolgerlo fino ad un tragico scontro a fuoco che innescherà una spirale di violenza e una guerra aperta con la malavita che vedendolo ormai solo e indifeso potrà attaccarlo senza pietà. Una bomba messa nella sua auto e diretta a lui farà morire accidentalmente Elenya e con lei ogni speranza di amore, di salvezza.
Da questo momento in poi la giustizia tenderà sempre più a confondersi con la vendetta fino all’atto finale, inevitabile, tragico e devastante in cui Kleber troverà la morte. Morte che non sarà altro che il proseguimento di un sogno, il ricongiungimento con Elenya in un altrove in cui la violenza e il male non avranno più ragione d’esistere.
Incubo di strada di Derek Raymond Meridiano Zero collana Meridianonero traduzione Marco Vicentini 2010, 159 pagine, brossura, Euro 13,00.
Derek Raymond era lo pseudonimo di Robert William Arthur Cook, nato a Londra nel 1931 e ivi morto, al ritorno da una peregrinazione durata una vita, nel 1994. Sottrattosi ben presto all’educazione borghese impartitagli dalla famiglia, ha iniziato a viaggiare vivendo, tra gli altri posti, in Marocco, in Turchia, in Italia, improvvisandosi nei lavori più improbabili: dal riciclaggio di auto in Spagna all’insegnamento dell’inglese a New York, dall’impiego come tassista alla carriera di trafficante di materiale pornografico. I suoi esordi nella carriera letteraria risalgono agli anni Sessanta, con opere chiaramente influenzate dall’esistenzialismo di Sartre. Un’influenza che riemergerà a partire dagli anni Ottanta nella sua serie noir della Factory a cui questo romanzo appartiene. L’opera di Raymond vive di assoluta originalità nel panorama dell’hard boiled internazionale.
Tag: Derek Raymond, Gialli thriller noir, Giulietta Iannone, Incubo di strada, Letteratura inglese, Marco Vicentini, Meridiano Zero
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