:: L’orologio americano di Arthur Miller a cura di Giulietta Iannone

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indexL’orologio americano è un dramma in due atti, con struttura frammentaria, di Arthur Miller.
Apparentemente murales sociale dell’America degli anni ’30, è in realtà una lunga riflessione socioeconomica sul periodo della Grande Depressione. Miller analizza il meccanismo economico legato al “trust” ovvero alla fiducia, piedi d’argilla su cui si poggia l’intera economia. Il tema principale della piece è la descrizione della fine dell’ “innocenza” dell’America (simboleggiata dal ragazzo che ruba la bicicletta al protagonista): la fine del sogno americano.
Tecnicamente è una aspra satira sull’ immaterialità del denaro, sulla spietatezza delle regole dell’economia e nello stesso tempo un’amara riflessione politica sull’inconciliabilità tra utopia e realtà.
Miller fa anche una lucida analisi dei rapporti umani, dei legami familiari che caratterizzano la civiltà contrapposti al materialismo sfrenato che porta alla barbarie. Interessante è la sua analisi sulle cause  della crisi del ’29 che per Miller sono da ricercare in primo luogo in una generalizzata crisi morale che in un secondo tempo si riflettè sia  sulla sfera politica e infine su quella economica. La sua visione del ruolo della guerra principalmente della  “Seconda Guerra Mondiale” è pessimista ed è vista come uno strumento “capitalistico” di riequilibramento del mercato.
La sovrapproduzione accompagnata da una scarsità di moneta, perchè sottratta dai grandi capitalisti per le loro speculazioni, fà si che i magazzini siano pieni di merci che la gente comune, non avendo più soldi, non può comprare. Il conseguente crollo dei prezzi diventa il sintomo allarmante della frattura del ciclo produttivo causato principalmente dalla gestione irrazionale del sistema creditizio da parte delle banche. La fiducia cessa e il crollo del sistema del trust porta a una svalutazione dei titoli azionari, al fallimento delle aziende, alla disoccupazione, e senza stipendi, non circolando moneta,  il sistema è destinato alla paralisi.
Gli interessi sul credito e sul debito principalmente sono per Miller il grande nemico. I grandi capitali non investiti che creano interessi da capogiro sono di per sè un atto economicamente immorale per Miller, e vengono utilizzati dalle banche per speculazioni selvagge su oro, petrolio, costruzioni edilizie. Inoltre i  profitti gonfiati della Borsa ovvero la discrepanza tra “valore reale” e “valore nominale” di un bene poi sono il germe del crollo di Wall Street. La Seconda Guerra Mondiale fu il tragico tentativo quindi di azzerare i debiti e i crediti per fare una sorta di tabula rasa sulle cui ceneri ricostruire l’economia.
Tema caro a Miller è il discorso sul  reddito: un reddito che non consente risparmio è un reddito sterile che incoraggia il risparmiatore a buttarsi nelle maglie dell’usura per qualsiasi spesa imprevista. Il sistema debitorio dei prestiti, negli anni ’30 frequente soprattutto tra i piccoli proprietari terrieri, cuore pulsante dell’America, per ammodernare le attrezzature agricole ed essere competitivi sul mercato, è da Miller equiparato a veri atti di pirateria da parte delle banche che alla minima rata di rimborso non pagata espropriavano le terre. Il sovraindebitamento delle famiglie portò alla tragica crisi agraria che minò la produzione degli stessi beni di sussitenza ovvero i generi di prima necessità e la fame di milioni di persone fu la conseguenza più drammatica .
Le campagne si spopolarono e la gente si riversò nelle città causandone il crollo. Miller contrappone l’etica del “valore” all’etica del “profitto” e vede nella folla dei disoccuapati, nei negozi vuoti, nella gente buttata in strada con materassi, pentole e tegami, la conseguenza ovvia di tutti gli errori economici commessi. I ricchi divennero sempre più ricchi, facendo affari favolosi per quattro soldi, mentre le classi medie che sopravvivevano unicamente con il lavoro furono rovinate e messe sul lastrico.
Miller sostiene che il boom degli anni ’20 fu una gigantesca truffa organizzata dai grandi capitalisti per moltiplicare le loro ricchezze rapinando la gente. Gli avidi affaristi senza scrupoli furono i reali operatori che portarono al crollo dei mercati utilizzando le leggi liberiste del mercato al di là dell’etica del progresso comune e perseguendo utilisticamente  l’arricchimento personale.
Per quanto possa sembrare strano la religione non è esente da responsabilità in questo campo. L’etica protestante della ricchezza come segno della grazia divina e della predestinazione alla salvezza ha un ruolo fondamentale nell’incrementare la concentrazione dei capitali e fomenta l’antisemitismo poichè si contrappone all’etica ebraica che vede, ispirandosi a Quolet, con pessimismo il denaro e la ricchezza (frutto quasi sempre di ingiustizia e idolatria). Chi è veramente onesto difficilmente diventa ricco.
Queste due forze antitetiche serpeggiano segretamente nel mondo americano e fanno sì che si contrappongano capitalismo e socialismo, la destra e la sinistra, i democratici e i repubblicani, i ricchi e i poveri, la corrente di pensiero di stampo protestante e quella di stampo ebraico. L’etica ebraica vede nel denaro un bene/male per la sopravvivenza della comunità; una quantificazine di un concetto astratto che incarna tutti gli idoli ovvero ciò che si adora pur non esistendo. L’etica protestante dal canto suo, base del sistema democratico americano, esalta invece della comunità  l’individuo, la libertà.
Se la libertà non è bilanciata dalla giustizia sociale ben presto qualsiasi economia crolla“. Questa è la lezione che Miller impara dalla crisi del ’29. L’unico rimedio che può esistere è la forza della speranza ovvero la convinzione che la crisi avrà un termine, che in fondo al tunnel c’è sempre una luce.
La forza del sogno è per Miller una forza reale, che sostiene la gente “anima dell’America”. Il titolo, l’orologio americano, si riferisce al tempo e al grido silenzioso delle folle disperate, “fino a quando sopporteremo tutto questo?”
Chiude Robertson con la domanda: potrebbe succedere ancora un ’29? Miller non è consolante, nè consolatorio, e per lui la stupidità umana è senza limiti quindi non ritiene che la lezione serva di esempio alle nuove generazioni anche se con tutto se stesso spera che ciò non debba ripetersi di nuovo. Quando gli chiedono se fu Roosvelt e il “New Deal “a salvare l’ America, Miller scuote il capo e ricorda che fu la “fede” nel domani degli Americani a salvarli.
A questo punto sulla scena cade il buio e si chiude il sipario.

Source: libro preso in biblioteca.

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2 Risposte to “:: L’orologio americano di Arthur Miller a cura di Giulietta Iannone”

  1. :: Recensione di Mister Yod non può morire di Maria Antonietta Pinna (La Carmelina, 2012) « Liberi di scrivere Says:

    […] di un testo teatrale, recensendo o più che altro analizzando Morte di un commesso viaggiatore, e L’orologio americano . Poi sempre a scuola, potei analizzare i testi più classici del teatro dell’assurdo, testi di […]

  2. :: Il prezzo, Arthur Miller (Einaudi, 2015) | Liberi di scrivere Says:

    […] sembra una costante nel mio blog, ho avuto modo di parlare di Morte di un comemsso viaggiatore e L’orologio americano, anche se niente mi toglie la sensazione (piuttosto spiacevole) di vedere Miller seduto in seconda […]

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