
Shadow of China (“China Shadow”) del regista giapponese Mitsuo Yanagimachi è un film del 1989 decisamente anomalo, e sottovalutato, sia nella produzione del regista, noto più per produzioni più intimiste, e attento all’interiorità di personaggi minimi e poco addentro con le dinamiche del potere, sia per la filmografia dei tardi anni Ottanta legata al passaggio della Cina da colonia britannica al ritorno alla madrepatria, e sia ai fatti di Tienanmen e alle rivolte studentesche atte a richiedere al governo centrale cinese più libertà e democrazia. Tratto dal romanzo giapponese di Masaaki Nishiki, Snake Head, piuttosto irreperibile e di difficile consultazione, narra la storia partendo dal 1976, anno della morte di Mao e l’arresto della Banda dei Quattro, e focalizza l’attenzione su due personaggi Wu Chang (interpretato da un carismatico e sensibile John Lone) e Moo-Ling sua compagna (interpretata da una deliziosa e sofferta Vivian Wu), due ex guardie rosse (portano la fascia nera al braccio in segno di lutto) che scelgono l’esilio a Hong Kong per sfuggire ai tumulti legati alle repressioni rivolte verso le Guardie rosse. Arrivati a Hong Kong con altri rifugiati politici, le loro strade si separano: Moo Ling diventa una celebre cantante di Club e Wu Chang, nel frattempo conosciuto come Henry Wong, per porre una distanza dal suo passato, un importante banchiere la cui ricchezza resta di origini dubbie e sconosciute. La storia riprende quando Henry Wong cerca di organizzare, tramite il suo consulente finanziario Burke, l’acquisizione dell’importante quotidiano in lingua cinese Wah Min Daily di proprietà dell’anziano signore della droga Lee Hok Chow. Avendo capito che la sua grande ricchezza può essere utilizzata come strumento politico, e che i Media possono costruire l’opinione pubblica nella formazione della Nuova Cina. Come strumento destabilizzante entra in gioco il giornalista giapponese Akira alla ricerca di informazioni su Kazuo Obayashi, un giapponese ex Guardia rossa, che poi si scopre essere lo stesso Henry Wong. La trama è davvero complessa e intricata, e non voglio spoilerare troppo della trama per coloro che non hanno ancora visto il film (segnalo che ci sono diversi rimontaggi a secondo del pubblico di destinazione) sospetto ci sia una versione estesa a cui non ho avuto ancora accesso che segnala scene tagliate, o rimontate, ma per le versioni che ho visto il materiale è degno di nota e ricco di spunti di analisi non banali, anche se è possibile che i tagli siano dovuti a un edulcorazione dei temi troppo caldi per rendere il film più commerciale e libero dai vincoli della censura. In conclusione, devo dire che è un film davvero notevole, non premiato al botteghino all’epoca, soprattutto per la sua visione innovatrice e futuristica, e può giovare vederlo oggi, col senno di poi, soprattutto dopo gli sviluppi che ha preso la storia. L’interpretazione di John Lone soprattutto si segnala come sofferta e partecipata, e frutto di un’analisi attenta del capitalismo postcoloniale, con un’attenta disanima dell’origine delle ricchezze e dei suoi legami con la criminalità o perlomeno con pratiche poco etiche. Nel finale, molto evocativo si attua la parabola morale del protagonista che decide di tornare nella Cina Continentale per continuare la lotta verso una nuova Cina, frutto dei suoi sogni anche di gioventù. Da rivalutare.
























