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:: Visioni di cinema: Lussuria- seduzione e tradimento di Ang Lee (2007)

29 ottobre 2025

Premiato con il Leone d’oro alla 64ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2007 Lussuria- seduzione e tradimento (titolo originale Lust, Caution) di Ang Lee è un film decisamente atipico e per certi versi controverso del celebre regista taiwanese che con questo film bissò la conquista del Leone d’oro. Il primo lo vinse infatti per Brokeback Mountain, a suo modo controverso anche questo, se vogliamo per motivi opposti.

Se devo esprimere un parere spassionato sicuramente il mio suo film preferito resta La Tigre e il Dragone, e magari nei prossimi giorni tornerò a parlarne, ma anche Lussuria- seduzione e tradimento ha i suoi pregi sebbene ve lo dica subito le scene di nudo integrale e sesso esplicito e anche un po’ violento non è che mi abbiano fatto impazzire troppo, anche se ammetto nell’economia del film certo hanno un loro perché, anche solo per mettere a disagio lo spettatore, ovvero farlo vacillare dal suo piedistallo di confort e anche i critici più severi hanno notato che un certo impatto visivo e naturalistico ce l’hanno.

La commissione episcopale italiana lo giudica scabroso, ricorda che è vietato ai minori di tredici anni, e invita a fare somma attenzione nel caso lo programmino e ci siano bambini in giro (non credo ci capirebbero niente, ma meglio essere prudenti). Negli Stati Uniti ci sono andati più pesante vietandolo ai minori di 17 anni, in Cina continentale hanno addirittura tagliato le scene incriminate di circa 7 minuti e per un po’ hanno anche penalizzato l’attrice protagonista, ma si sa in Cina la censura è piuttosto restrittiva non solo per le scene di sesso, e Ang Lee è un cinese di Taiwan, con forti radici negli Stati Uniti e una possibilità di diffusione internazionale che gli ha permesso di seguire il suo estro creativo senza farsi influenzare troppo dalle limitazioni.

Bene detto questo torniamo al film e valutiamolo come opera artistica slegata da valutazioni troppo moralistiche, che forse faranno sorridere alcuni e indispettire altri, ma ripeto alcuni spettatori sensibili potrebbero rimanere turbati da alcune scene per cui ve lo segnalo.

Partendo dalla trama il film è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale in Cina, prima a Hong Kong poi a Shanghai. L’occupazione giapponese è feroce e i collaborazionisti sono oggetto di attentati da parte della resistenza cinese, argomento ancora non troppo trattato da cinema, televisione o letteratura, e questo film mi stavo dimenticando di dirlo è tratto proprio da un libro di Eileen Chang dall’omonimo titolo (edito in Italia da Rizzoli, a chi interessasse). E su Wikipedia addirittura ho letto che la storia è ispirata a persone realmente esistite. Ammetto il film può anche non piacere, ma se ha un pregio è quello di farvi conoscere Eileen Chang.  

Dunque, la giovane Wong Chia Chi (un incantevole Tang Wei) entra a far parte di un gruppo di attivisti che complotta per assassinare un importante collaborazionista cinese del governo fantaccio giapponese, Mr Yee (Tony Leung Chiu-wai). Per farlo utilizza le sue doti di attrice amatoriale e si trasforma nella sofisticata signora Mak, moglie di un ricco uomo d’affari, e usa il proprio fascino per sedurlo.

Ma succede l’imprevisto, questo amore diventa per entrambi reale in una spirale di ambiguità emotiva e morale.

Non cercate in questa recensione il finale, non ve lo svelerò, non solo per evitarvi uno spoiler forse non troppo gradito, ma soprattutto perché sebbene un finale netto ci sia, molto è lasciato alle riflessioni dello spettatore. Per alcuni alla fine si amano entrambi, per altri quella che ama è solo lei, per altri ancora il loro rapporto è troppo torbido e malato per poterlo definire amore. Io sono del primo partito ma ripeto ogni spettatore si farà la propria idea personale.

Forse è il film più complesso di Ang Lee, e quello in cui ha osato di più, spingendo anche gli attori a fare un profondo lavoro su sé stessi e non si capisce dove recitano, e dove le reazioni sono naturali. Naturalmente le scene di sesso non sono pornografiche, è tutto frutto di recitazione ma la chimica tra i due attori è indubbia, e sguardi, silenzi, paure passano attraverso la postura dei corpi o dalla intonazione della voce e si trasmettono agli spettatori in sala. Io non l’ho visto al cinema, ne ho comprato il DVD così ho potuto vederlo sia doppiato che in lingua originale, e questo aiuta molto per notare queste sfumature.

La messa in scena è poi di un’eleganza impeccabile, le scenografie sono suntuose, forse anche troppo laccate, ogni dettaglio è carico sia di sensualità che di drammaticità. E l’ossatura di dramma politico resta in filigrana e arricchisce il film di un substrato idealistico e morale che invita alla riflessione e alla valutazione attenta, anche storica. Dove ci si può spingere per difendere un ideale anche in un contesto di guerra dove la violenza è diffusa? E soprattutto spesso i sentimenti sparigliano le carte e si inseriscono in dinamiche di manipolazione e di controllo, sfuggendo del tutto di mano.

Ang Lee studia questo, svela le maschere che spesso ci mettiamo e che cadono davanti alla comunione di due corpi che nell’intimità trovano una sincerità al di la delle loro singole volontà. Entrambi i personaggi sono imprigionati in una gabbia di solitudine, lui prigioniero del ruolo di potere che incarna, lei abbandonata dal padre senza legami affettivi forti, svela una grande fragilità emotiva e psicologica.  

Tang Wei è una rivelazione: vulnerabile e determinata, riesce a incarnare la metamorfosi di una donna che si perde nel ruolo che interpreta. Tony Leung, come sempre magnetico, dà vita a un uomo insieme crudele e fragile, vittima e carnefice. La loro chimica sullo schermo è palpabile e dolorosa, e fa da fulcro emotivo all’intero film. Da segnalare Joan Chen nel ruolo della moglie di Mr Yee.

Lussuria – Seduzione e tradimento è un film sofisticato, elegante, esteticamente impeccabile e per certi versi anche inquietante. Non concede facili emozioni, ma premia lo spettatore paziente con una storia densa di ambiguità e dolore. Un dignitoso esempio di sensualità, tutta orientale, e controllo, molto occidentale, che conferma, a mio avviso, Ang Lee come uno dei registi asiatici più versatili e coraggiosi della sua generazione.

:: Visioni di cinema: In the Mood for Love (2000) di Wong Kar-wai

23 ottobre 2025

Forse il capolavoro più celebrato di Wong Kar-wai, In the Mood for Love (titolo originale: Fa yeung nin wa), è un film che si può dire sia entrato nella storia del cinema come l’opera che più pericolosamente si è avvicinata a definire l’amore.

Non l’amore romantico, idealistico, sentimentale di un classico melò, ma l’amore vero, profondo, esclusivo, che fonde desiderio, passione, amicizia e comunione di anime affini.

Ispirato molto liberamente a un romanzo di Liu Yichang, Un incontro (edito in Italia da Einaudi), In the Mood for Love rasenta non solo la perfezione formale — tanto cara al regista, che ne fa una cifra distintiva del suo cinema — ma riesce anche a definire la natura sfuggente dell’amore con un’eleganza, una sensibilità e una precisione che disorientano. Induce a credere che uno stato di grazia investa il film come un vento leggero, che pone ogni scena, ogni suono, ogni stralcio di dialogo al posto giusto, al momento giusto, senza eccessi, senza cercare a tutti i costi il sublime o il meraviglioso.

Ma tant’è: tutto è esattamente come dovrebbe essere, senza cali di tensione, buchi narrativi o inverosimili sbilanciamenti dei sentimenti umani — contraddittori, evanescenti, indefinibili per natura.

La storia è ambientata a Hong Kong, negli anni ’60, e ruota attorno a due personaggi: Chow Mo-wan, interpretato da Tony Leung Chiu-wai, e Su Li-zhen, interpretata da Maggie Cheung. Chow, un giornalista, e Su, un’efficiente segretaria di una ditta di import-export, si trasferiscono entrambi nei loro nuovi appartamenti nello stesso stabile.

Iniziano a conoscersi casualmente, notando che i rispettivi coniugi sono spesso assenti. Chow è un uomo riservato, che nasconde le sue emozioni sotto una maschera compassata di calma e cortesia. È un uomo solo, intrappolato in un matrimonio ormai vuoto e segnato dalla delusione. La sua professione di giornalista e scrittore fa da sfondo alla sua ricerca interiore e al desiderio di esprimere sentimenti che non può manifestare apertamente. Il suo abbigliamento sempre elegante e i movimenti misurati riflettono il suo modo di controllare il dolore.

Su è una donna gentile e discreta, intrappolata in una vita matrimoniale altrettanto insoddisfacente. Il suo comportamento è contenuto, quasi fragile, e il suo modo di parlare e di muoversi è pieno di grazia ma anche di riserve. Come Chow, lotta contro la solitudine e la tristezza, e il loro rapporto diventa per lei una via di fuga dalle proprie sofferenze.

Ben presto, Chow e Su scoprono una dolorosa verità in comune: i loro coniugi sono impegnati in una relazione extraconiugale tra di loro. Entrambi provano un profondo senso di tradimento, amarezza e solitudine, ma non si lasciano andare alla rabbia o all’aggressività. Invece, si avvicinano lentamente, trovando conforto nella reciproca compagnia.

Nonostante l’attrazione crescente, entrambi si astengono dal tradire i propri coniugi, rimanendo fedeli ai propri valori e al senso di dignità personale. Il loro rapporto resta quindi sospeso tra amicizia, amore platonico e tensione emotiva. Alla fine, Chow lascia Hong Kong, mentre Su rimane sola: la loro relazione resta sospesa nel tempo, un ricordo malinconico di ciò che avrebbe potuto essere, ma non è stato.

È una storia semplice, senza colpi di scena, dove non succede praticamente nulla: tra una partita di mahjong, una giornata in ufficio, una corsa in taxi o una conversazione sussurrata sotto la pioggia. Senza bruschi cambi di prospettiva o drammi eclatanti, tutto è tenue, lieve, malinconico — ma non per questo meno doloroso.

Il forte sentimento che i protagonisti provano l’uno per l’altra è reale e profondo, ma trattenuto, represso, bloccato da norme sociali, senso del dovere e paura del giudizio altrui. È un amore sporcato di solitudine, scolorito dall’incapacità di comunicare apertamente, per pudore, timidezza, ritrosia, eccessiva educazione.

Il film si muove lento, come fumo denso in una stanza chiusa. Le pareti strette, i corridoi angusti, i vestiti aderenti — come gabbie — tutto parla di costrizione e desiderio non detto. E poi la musica, ciclica, struggente, che ritorna con il tema ricorrente di Yumeji’s Theme, o la voce di Nat King Cole che canta in spagnolo.

Con In the Mood for Love, Wong Kar-wai firma un’opera che ha ridefinito i canoni del cinema sentimentale, portando la narrazione dell’amore represso a un livello visivo e formale di straordinaria raffinatezza. Ma al di là del fascino estetico, sotto lo smalto della struggente perfezione stilistica, si muove un’anima universale e spontanea. Basti pensare che quasi non esisteva una sceneggiatura: il regista lasciava le scene alla libera improvvisazione degli attori. E tuttavia, tutto sembra perfetto, calcolato, meticolosamente studiato per trasmettere sentimenti, emozioni, felicità mancata.

Nel film di Wong Kar-wai i costumi non sono semplicemente abiti da indossare: diventano strumenti narrativi, veicoli di stati d’animo, tempo e identità. Dietro la splendida estetica visiva, la sartoria — curata da William Chang — svolge un ruolo cruciale nell’evocare l’epoca, il contesto e il conflitto interiore dei personaggi.

Su Li-zhen (Maggie Cheung) indossa praticamente solo cheongsam per tutta la durata del film. Il cheongsam è un abito tradizionale cinese a colletto alto, aderente, spesso con spacco laterale. Nel film è reinterpretato con gusto moderno: tagli precisi, tessuti ricchi, fantasie vistose. Tony Leung Chiu-wai porta invece completi sartoriali classici, giacche monopetto, cravatte strette, colori sobri — grigi, marrone, oliva tenue. I dettagli sartoriali sono curati: revers stretti, pantaloni con risvolto, cravatte eleganti. La sobrietà del suo abbigliamento riflette il suo ruolo sociale, il suo self-control, la mascolinità formale dell’epoca.

La luce in In the Mood for Love non illumina: scolpisce, nasconde, suggerisce, evoca. È una delle componenti più raffinate del linguaggio di Wong Kar-wai, che lavora in simbiosi con la fotografia di Christopher Doyle (e in parte di Mark Lee Ping-bin) per costruire un mondo emotivo fatto di chiaroscuri, riflessi e ombre dense come segreti.

La pioggia in In the Mood for Love è più che un elemento atmosferico: è una figura poetica ricorrente, una presenza simbolica che amplifica la tensione emotiva e riflette lo stato d’animo dei protagonisti. In un film dove il desiderio non esplode mai, ma resta sospeso nell’aria, la pioggia è una delle poche cose che scorrono davvero. È come se proteggesse i personaggi dalla realtà, offrendo loro un luogo sospeso, dove possono sfiorarsi senza dover agire. Un rifugio poetico, non una via d’uscita.

Nel mondo ovattato e malinconico di In the Mood for Love, anche la cucina e il cibo hanno un ruolo profondo — non solo realistico o “di scena”, ma narrativo, psicologico, culturale. Wong Kar-wai li usa per parlare di routine, desiderio, assenza. Nel silenzio emotivo che avvolge i protagonisti, il cibo diventa comunicazione muta, una forma rituale che scandisce il tempo e riflette ciò che manca.

Il film è ambientato nella Hong Kong degli anni ’60, in palazzine condivise dove la cucina è spesso uno spazio comune, caotico, popolare. Eppure, Su Li-zhen scende ogni sera a prendere il noodle take-away. Non cucina solo per sé. Anche Chow Mo-wan mangia spesso da solo, fuori o nell’ufficio di redazione.

È attraverso la cucina che i due intuiscono il tradimento dei rispettivi partner: “Tu ordini come mio marito… e tu come mia moglie.” Il cibo diventa una prova, un indizio, una traccia — come una briciola che conduce a una verità più grande.

E poi, come in un ultimo respiro, il film si sposta lontano, nel silenzio millenario del tempio di Angkor Wat, in Cambogia. Anni dopo, Chow, ormai solo, sussurra il suo segreto in una cavità del muro di pietra e lo sigilla con il fango, secondo un’antica usanza. Nessuno lo ascolta, nessuno lo saprà mai.

È il gesto più intimo del film: non una dichiarazione, ma una sepoltura. L’amore che non ha potuto vivere diventa memoria custodita nella pietra, segreto consegnato al tempo. E in quell’eco lontana, che il vento disperde tra le rovine, In the Mood for Love trova la sua forma più pura: la promessa di un sentimento eterno, perché mai consumato, mai concluso, mai dimenticato.

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