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:: Visioni di cinema: Le ombre del pavone di Phillip Noyce (1987)

16 ottobre 2025

Le ombre del pavone, titolo originale: Echoes of Paradise (anche noto come Shadows of the Peacock) del regista australiano Phillip Noyce, è un film decisamente interessante, perso tra le varie commedie sentimentali con sfondo esotico tipiche degli anni Ottanta, in cui esotismo, ricerca di sé, e il viaggio come metafora della trasformazione interiore, avevano un certo appeal nelle aspettative di un pubblico ancora non del tutto assuefatto e anestetizzato dal turismo di massa.

Il film di Noyce si differenzia per alcune tematiche peculiari che arricchiscono una trama narrativa abbastanza abusata: una donna, Maria, interpretata da una intensa e credibile Wendy Hughes, prima perde il padre, poi scopre il tradimento del marito, un affermato politico locale, e la sua vita rispettabile e borghese cade in pezzi, perdendo i suoi punti di riferimento sente crollare il suo mondo interiore e le sue aspettative, e tutto questo è descritto con grande sensibilità e attenzione alle dinamiche e fragilità interiori della protagonista.

Un’amica più smaliziata, Judy (Peta Toppano), che sta partendo per la Thailandia, la invita ad andare con lei per interrompere il tran-tran familiare, e riprendersi in un luogo esotico lontano da tutto. Maria dopo qualche esitazione, (non ha mai lasciato soli i suoi figli piccoli) accetta e parte per Phuket, la più grande isola della Thailandia, (originariamente il set era ambientato a Bali, ma per una serie di vicissitudini, che portarono a diverse riscritture della sceneggiatura e scontri redazionali si scelse un luogo altrettanto esotico ma meno suggestivo e di nicchia).

Ad accoglierle trovano Terry (Rod Mullinar), proprietario del resort che le ospita, che, come un maestro di cerimonie, le porta a conoscere i segreti dell’isola e le presenta a Raka (John Lone), danzatore balinese, affascinante e misterioso di cui Maria subito si innamora, corrisposta. Questo amore è molto più che una semplice scappatella, o una vendetta per il tradimento subito dal marito (Steve Jacobs), ma è una sorta di iniziazione, anche spirituale, a un mondo altro, a una ricerca di sé più autentica e profonda dove non contano solo le aspettative degli altri.

Ma la passione, l’amore non basta, e dopo una serie di incomprensioni Maria sente di non appartenere a quel luogo, e neanche a Raka, e torna in Australia dal marito e dai bambini, pur essendo cambiato qualcosa nel suo animo e avendo acquistato una nuova consapevolezza.

L’esotismo non stereotipato, il rispetto per la cultura altra, la sacralità tutta orientale delle cerimonie e i riti, le combattute recriminazioni interiori sull’abbandono di ruoli e responsabilità, rendono il film non usufruibile come mero intrattenimento commerciale, ma avvicinano lo spettatore a qualcosa di più serio e profondo. Bellissime le scene di danza, i costumi, il trucco, per non parlare del paesaggio che da sfondo a un Paradiso dove la felicità sembra a portata di mano, seppure a misura di turista.

Forse una delle opere minori di Philip Noyce, ma ricca di un fascino sottile, che resta impresso nell’anima e arricchisce lo spettatore. Da riscoprire.