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:: Visioni di cinema: The Shadow di Russell Mulcahy (1994)

28 ottobre 2025

L’Uomo Ombra (The Shadow), diretto da Russell Mulcahy nel 1994, è un film singolare che all’uscita non raggiunse un gran successo al botteghino, né tanto meno di critica, ma nel tempo si conquistò la fama di piccolo cult, entrando nel cuore di molti spettatori amanti del genere fantastico coniugato col noir.

Ambientato nella cupa e oscura New York degli anni ’30, The Shadow segue le avventure di Lamont Cranston (Alec Baldwin), sfaccendato e affascinante playboy di giorno e giustiziere mascherato di notte. Dopo anni in Tibet, era diventato in Oriente uno dei tanti Signori della guerra, tra oppio e battaglie, redento, sotto la guida di un monaco, aveva acquisito il potere di diventare invisibile — tranne la sua ombra, da qui il nome con cui veniva chiamato.

Tornato in America con i suoi nuovi poteri — invisibilità e controllo mentale — si mette dunque dalla parte del bene per combattere il crimine, e soprattutto per redimere sé stesso dalle colpe passate.

A questo punto è bene precisare che The Shadow affonda le radici in una delle figure più iconiche della cultura popopolare americana pre-supereroistica. Nato negli anni ’30 come voce misteriosa di un programma radiofonico (tra le cui voci ci fu per un periodo anche Orson Welles) e poi trasposto in pulp magazine e fumetti, The Shadow fu una delle prime incarnazioni dell’eroe mascherato tormentato, ispirando direttamente personaggi come Batman.

Quando Russell Mulcahy porta il personaggio sul grande schermo nel 1994, lo fa in un momento in cui Hollywood tenta di riscoprire gli archetipi del passato sulla scia del successo stratosferico dei due Batman di Tim Burton e del Dick Tracy di Warren Beatty (1990). Tuttavia, il film non si limita a un’operazione puramente nostalgica: tenta di costruire un immaginario a metà strada tra mito, noir e spiritualità orientale.

Un equilibrio molto difficile da raggiungere, ma il regista ha il buon gusto di non prendersi troppo sul serio, lasciando all’ironia — se non a sprazzi di vera comicità — campo libero. A questo proposito, come non citare la splendida interpretazione di Tim Curry? Sì, in un ruolo da caratterista, non da protagonista, ma straordinario.

Tornando alla trama, il nemico principale di The Shadow è Shiwan Khan (John Lone), ultimo discendente di Gengis Khan, intenzionato a soggiogare il mondo con un’arma nucleare rudimentale. Tra intrighi, misteri e atmosfere noir, The Shadow dovrà fermarlo, nascondendo però la sua vera identità anche alla donna che ama, Margo Lane (Penelope Ann Miller), che qualche potere telepatico possiede anche lei.

Buffa la scena al ristorante, dove ringrazia Cranston per il complimento sul vestito che indossa e lui si schermisce dicendo che non ha detto niente, ma solo l’ha pensato.

L’Uomo Ombra è un film che mescola azione pulp, atmosfere gotiche e suggestioni art déco; e sicuramente i vestiti splendidi — soprattutto del cattivo — sono uno dei punti forti del film. C’è una scena in cima all’Empire State Building dove un marinaio in libera uscita fa un commento vagamente omofobo sulle vesti di Shiwan Khan, e lui, infastidito, con la forza del pensiero costringe il malcapitato a buttarsi giù.

Il regista Russell Mulcahy, noto per il suo stile visivo forse anche eccessivamente barocco e visionario, già visto in uno dei suoi maggiori successi, Highlander, punta molto su un’estetica fortemente stilizzata: luci al neon, fumo, ombre e riflessi dominano la scena, evocando l’iconografia del cinema noir classico e del fumetto pulp.

E qui la fotografia di Stephen H. Burum riesce a rendere New York un palcoscenico irreale e onirico. Che gli scenari siano di cartone, che il trenino della metropolitana sopraelevata sia vistosamente un modellino, poco importa — anche grazie a quel “non prendersi troppo sul serio” di cui parlavamo prima.

Gli effetti speciali sono buffi, forse esagerati, ma non ridicoli: costruiti anche con un certo senso teatrale, che non ho trovato affatto fuori luogo. La regia predilige il movimento fluido e la composizione simmetrica, con effetti ottici che rimandano all’invisibilità del protagonista e al suo potere di confondere la percezione. Specchi, vetri, riflessi e dissolvenze creano una costante ambiguità visiva tra realtà e illusione.

Mulcahy non punta al realismo a tutti i costi, ma a un’estetica volutamente artificiale, fumettistica, dove la forma diventa sostanza — un approccio che oggi potremmo definire “meta-pulp”. E non si può non citare l’omaggio a La signora di Shanghai, nel finale tutto specchi. Ma le citazioni e gli omaggi sono numerosi: basta saperli cercare.

Alec Baldwin, ai tempi già famoso e con una significativa filmografia alle spalle, offre una performance carismatica, divertita e ambigua, incarnando un antieroe affascinante e tormentato, mentre John Lone dà spessore al villain con eleganza, ferocia e un tocco di spaesamento che lo rende, a suo modo, anche buffo. Penelope Ann Miller è semplicemente perfetta: dolce, bellissima e intelligente. Non una dark lady da film noir classico, ma una degna coprotagonista femminile, che a tratti ruba la scena al nostro eroe.

Ian McKellen, poi, come scienziato pazzo e daltonico, se la gioca con Tim Curry per bravura.

Forse non può essere definito un capolavoro, ma rimane un interessante esperimento visivo e uno dei primi tentativi degli anni ’90 di riportare sullo schermo gli eroi pre-comics. Apprezzato per la sua atmosfera retrò, la colonna sonora di Jerry Goldsmith e il fascino dark del suo protagonista, The Shadow resta un film che è piacevole vedere e rivedere, scoprendo sempre nuovi dettagli magari precedentemente sfuggiti.

Ah, mi raccomando: Il sole splende e il ghiaccio è sdrucciolevole. Non si sa mai servisse.

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