
Per chi ha più o meno la mia età ed è appassionato di calcio, il nome di Helmut Duckadam evoca molti ricordi. Ci fa tornare, in particolare, alla calda serata del 7 maggio 1986, quando il Barcellona e la Steaua Bucarest scesero in campo a Siviglia per giocarsi la finale dell’allora Coppa dei Campioni. Duckadam era il portiere della squadra romena e questo libro racconta la sua storia o, meglio ancora, la sua parabola. Nato nel 1959 in un paesino della Transilvania ai confini con l’Ungheria, Helmut cresce in campagna, mentre la Romania, con il passare degli anni, diventa sempre più povera. Alla guida della nazione c’è il Conducator Nicolae Ceaușescu, feroce dittatore che governa con l’aiuto della Securitate, la temuta polizia segreta. Uno dei suoi due figli, Valentin, è il vero presidente della Steaua e segue sempre la squadra. Pochi giorni prima della finale di Siviglia, avviene il tristemente noto disastro di Chernobyl: una violenta esplosione si verifica all’interno di una centrale nucleare ucraina. La catastrofe porta la data del 26 aprile 1986, ma la notizia è comunicata in Romania solo sei giorni dopo, per non turbare i festeggiamenti del Primo maggio nei paesi comunisti. In quest’atmosfera la Steaua si reca in Spagna, dov’è destinata, secondo tutti, a subire una sonora sconfitta. Prima della gara l’allenatore romeno Ienei tiene alla squadra un discorso improntato più sulla psicologia che sulla tattica e le sue parole sembrano funzionare perché, dopo 120 minuti di gioco, il punteggio è ancora di 0-0. Si va dunque alla cosiddetta “lotteria dei rigori” e qui nasce la leggenda di Duckadam, che ne para 4 su 4 e trascina la Steaua alla conquista della Coppa, diventando l’Eroul de la Sevilla, l’eroe di Siviglia. Questa favola s’interrompe, però, quasi subito, perché, dopo quella partita, il portiere sembra svanire dalla faccia della terra. Cominciano a fioccare leggende metropolitane, la più ricorrente delle quali racconta che la Securitate gli avrebbe spezzato le mani con una sbarra di ferro. Helmut, in realtà, è malato da tempo, già da prima della finale. La dittatura di Ceaușescu, intanto, si avvia rapidamente alla fine a seguito dell’abbattimento del Muro di Berlino. Così il “nostro” portiere prova a rifarsi una vita negli Stati Uniti con la propria famiglia, ma resiste poco e torna, da solo, in Romania, dove si barcamena fra piccoli lavoretti.
Il 2 dicembre 2024 Helmut ci ha lasciati. Guy Chiappaventi, autore di questo romanzo, ha pensato di raccontare la straordinaria esistenza di un uomo “normale”, salito alle luci della ribalta per una manciata di minuti e poi tornato nell’oblio. Dall’altare alla polvere, insomma. La narrazione degli eventi è vista dalla prospettiva di Duckadam, come se fosse lui a parlare. La sua vicenda personale si affianca a quella della Romania di Ceaușescu, una nazione povera che la sera del 7 maggio 1986 si è stretta attorno a una squadra per ritrovare un po’ di orgoglio. Consiglio a tutti, anche a chi non sia propriamente appassionato di calcio, la lettura di questo gioiellino, pubblicato da Bibliotheka Edizioni e impreziosito da alcune pregevoli illustrazioni di Emanuele Palucci.
Guy Chiappaventi, giornalista, inviato del tg La7.
Dopo aver raccontato la suburra di Roma, la mafia e la ‘ndrangheta, due guerre in Medio Oriente, terremoti, tsunami e alluvioni, negli ultimi anni ha seguito la cronaca a Milano.
Ha vinto il premio Ilaria Alpi, il Premiolino e il premio Goffredo Parise.
Ha pubblicato sette libri, incrociando spesso il calcio con la cronaca: il primo, Pistole e palloni sulla Lazio anni Settanta, ha avuto otto edizioni in quindici anni e ha ispirato la serie Sky Grande e maledetta.
























