
Grazie professore di questa nuova intervista che riprende quella che ci ha concesso nell’aprile del 2015 sulla crisi russo-ucraina. Lei non è un esperto di Europa Orientale, ma è un esperto delle dinamiche che portano a combattere le guerre, evitarle, perderle o vincerle. Suo del 1994 è un libro molto prezioso dal titolo Guerra e pace: due secoli di storia del pensiero politico (FrancoAngeli), che se vogliamo consiglierei ai nostri lettori e anticipa molte delle dinamiche che vediamo oggi. Una domanda breve e molto personale: come siamo arrivati secondo lei a questo punto in Ucraina? Ricordo che la cosiddetta guerra civile scoppiata nel 2014, è continuata fino a oggi senza una reale pacificazione o accordi definitivi, verte sul riconoscimento formale della sovranità delle regioni ucraine separatiste e filo russe di Donetsk e Luhansk che nel 2014 si sono autoproclamate Repubbliche indipendenti da Kiev.
E’ necessaria una premessa: il mondo occidentale, e in particolare gli Stati Uniti, vivono da tempo in una sorta di nirvana, che li culla in una sorta di incosciente indifferenza. Nulla di male nel non volersi interessare degli affari del mondo, ma soltanto se si è già rinunciato a sentirsi grandi potenze, a occuparsi di paesi lontani, come l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria, e via discorrendo. In altri termini, la gestione di una politica estera – di qualsiasi stato – richiede un impegno costante e continuativo. Bisogna occuparsene tutti i giorni, per così dire, e non svegliarsi dal torpore quando da qualche parte uno starnuto ci fa sobbalzare.
Questo non è un invito alla politica di potenza o alla continua ingerenza negli affari altrui. Significa piuttosto che la realtà è complessa, evolve in continuazione, può cambiare o modificare il proprio indirizzo. Capirlo servirebbe non tanto a evitare le guerre, ma a essere presenti a se stessi, ad avere la consapevolezza di quel che sta succedendo nel mondo. Certo, questo non era stato l’atteggiamento del presidente Trump, e il primo anno del governo di Biden si è rivelato non tanto diverso. Un esempio per tutti: l’abbandono dell’Afghanistan alle sue miserie è una delle pagine più indecenti della storia della politica estera americana.
Veniamo ora al punto di oggi – o meglio, di ieri perché la situazione dl Donbass era nota al mondo da un decennio – ma evolve in continuazione. Ma chi se ne era più preoccupato?
C’è una linea da nord a sud, che va dalla Lituania a Sebastopoli (tanto per ricordare il nome a cui Tolstoj intitolò i suoi straordinari Racconti di Sebastopol), sulle rive del mar nero, che segna quasi esattamente il senso della politica estera-occidentale della Russia, che è il sogno imperiale di Putin e e costeggia la Polonia, quella che un tempo si chiamava Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria. Quello era il confine tra i due mondi occidental-capitalistico e Russia comunista (con alcune appendici). Quello stesso confine strategico-politico oggi passa semplicemente attraverso due nuovi stati, uno che viene chiamato Bielorussia (e una volta era semplicemente una delle “repubbliche socialiste sovietiche”, e un altro come – guarda caso – l’Ukraina.
Il punto geografico- strategico (e non geopolitico, giacché quest’ultimo non esprime analisi e spiegazioni, ma “leggi” naturali che non esistono) riguarda i motivi che hanno portato l’URSS, in prima battuta, e la Federazione russa subito dopo,, ad arretrare di un paio di migliaia di km, verso est, quindi, formando un cuscinetto verso l’Europa dell’ovest molto più ampio di quanto non fosse quello che intercorreva ai tempi della guerra fredda.
Già… i tempi della guerra! È da quando finì, cioé nell’Ottantanove, che la storia ha subito una svolta (stavo per dire: uno scossone, un terremoto…): la seconda più grande potenza militare, oltre che ideologica e politica, del mondo che scompare dalle carte geografiche senza aver sparato un solo colpo di fucile! Lo stesso risultato che si ottiene con una grande guerra senza avere combattuto, ucciso, distrutto. Tra le conseguenze poco discusse e meno ancora analizzate, due avevano il primato: una per quanto riguarda gli Stati Uniti, l’altra per la Russia.
Gli Usa vinsero quella che si poteva considerare la guerra ideologica, ma persero il riconoscimento della loro supremazia da parte degli alleati. La Russia perse anche sul piano territoriale, perché diverse sue ex-repubbliche ottennero l’indipendenza. Gli Usa non seppero valutare la portata dell’evento – straordinario e unico nella storia delle relazioni internazionali – e continuarono la politica estera ingenua e inconsapevole (le guerre contro Afghanistan e Iraq, e poi l’intromissione nella guerra civile siriana sono state le vere “sconfitte” americane, con la perdita di immagine, oltre che potenza e di capacità militare, che mostrarono) senza accorgersi che gli stessi alleati avevano incominciato a perdere fiducia nel “fratello maggiore” decaduto…
Sintetizzo eventi che si sono sviluppati lentamente, ma i cui risultati appaiono oggi ben chiari. Capì tutto e quasi subito il nuovo “zar” di Russia, Vladimir Putin, che si accorse di trovarsi a capo di uno stato poverissimo (se non di risorse naturali), privo di una struttura industriale capace di dare lavoro a milioni di povere persone. Ma in cambio scoprì una miniera: il nazionalismo e l’espansionismo (non tanto lontano dai disegni hitleriani, a ben vedere) che avrebbero dovuto consentirgli di riconquistare le terre perdute. Di fronte a un Occidente che pensò, in modo tradizionalistico e meccanico, di spostare il cordone di sicurezza verso la Russia, come ai vecchi tempi (ma non c n’era più bisogno), Putin poté iniziare la sua “grande marcia”, che iniziava da una regione “dimenticata” come quella del mare di Azov, guarda caso vicino a Donetsk e Lugansk. La porta a sud veniva dunque chiusa fomentando il nazionalismo pro-russo, mentre la porta, ancora più importante e molto più grande, a ovest, era tenuta aperta dall’Ukraina, solleticata dall’idea di passare nella parte più ricca del pianeta.
Il controverso referendum indipendentista nelle regioni russofone dell’Ucraina orientale di Donetsk e Lugansk è stato un vero plebiscito (anche se dall’Occidente considerato finanziato dal Cremlino). Per quanto riguarda l’integrità territoriale dell’Ucraina il riconoscimento di Donetsk e Lugansk, come è stato richiesto dalla Duma a Putin (1), sarebbe un atto che rientra negli interessi di Mosca? Secondo lei perché Putin attende, cerca di frenare magari l’ala più interventista pronta a fare precipitare la situazione? Ricordiamo che quelle aree sono aree di guerra e la gente muore sul serio.
Penso che Putin stia semplicemente giocando con il topo. Sulla base di un progetto che proietta Putin alla presidenza fino al 2036 (secondo la sua più recente modifica costituzionale) con l’intenzione di ricostituire la consistenza territoriale dell’impero zarista, o meglio, di quello sovietico, Putin ha iniziato da alcuni anni a sbocconcellare i margini che contornano i vecchi confini: dapprima la Crimea, poi l’Ukraina. Non ci si sbaglierà proprio a prevedere che la prossima mossa riguarderà la Bielorussia (del resto ancora, o già, o russificata)… La Russia è lo stato più esteso al mondo; alla fine dell’operazione-riconquista, un po’ come fu la progressiva conquista da parte degli Stati Uniti di territori sempre più vasti (Texas, California, eccetera) e lo sarà ancora di più, ma verosimilmente non diventerà per questo più ricca o più democratica. Al contrario, le difficoltà per Putin aumenteranno perché, per loro fortuna, le nuove generazioni sono libere dall’indottrinamento del passato. La popolazione è piuttosto scarsa; l’industria e le industrie sono arretrate; la spesa militare è al di là di ogni ragionevole criterio strategico; il prodotto nazionale lordo è basso e quel che lo nutre sono comunque solo materie prime, petrolio e gas, che sono stati forniti dalla natura e non dall’ingegno locale.
Il presidente americano Joe Biden continua a dire che Putin sta per attaccare e invadere l’Ucraina. Ma anche nel caso avesse informazioni certe su questo attacco imminente perché darne notizia pubblicamente così alla popolazione aumentando il panico e la confusione. Questa strategia ha una funzione di deterrenza?
Risponderei semplicemente che Biden è indeciso, incerto, e impreparato. Continua a seguire e inseguire le mosse di Putin, ma è chi fa il gioco che vince il braccio di ferro della dissuasione reciproca (posso informare che il primo libro, nel 1971 – 53 anni fa! – si intitolava proprio La politica della dissuasione). Ora il principio basilare, necessario ma non sufficiente, di una strategia di dissuasione è la credibilità: non bastano grandi minacce, bisogna che l’avversario le creda realistiche, cosicché attraverso un altro marchingegno, l’escalation, il gioco continui con rilanci sempre pericolosi, fino al momento in cui entrambe le parti si accorgono che di quel passo si rischia davvero l’Armageddon.
A chi conviene in realtà questa guerra, personalmente direi suicida? Se si arrivasse a uno scontro aperto tra USA e NATO e Russia, la Cina non starebbe a guardare e il rischio di un Armageddon atomico sarebbe reale.
La Cina di adesso starebbe certamente a guardare: non ha nulla da perdere se gli Usa vengono scornati o se la Russia deve arretrar anche di un solo passo. La Cina non è disinteressata o neutra, ma si sta consolidando – aggiungerei anche peggiorando. La sua leadership è sempre più autoritaria, illiberale e vorace, ma calma, lucida e riflessiva.
E poi infine le chiedo che prospettive ci sono per la risoluzione pacifica della crisi russo-ucraina? Può essere ancora risolta solo da accordi diplomatici che mettano tutti d’accordo su prezzo del gas e materie prime?
Sì, può essere risolta così, ma l’Occidente – essendo stato battuto sul tempo (ecco il perché della mia premessa iniziale) – dovrà pagare dei prezzi, in parte inevitabili, altri scontati, per quanto riguarda il ritocco dei confini territoriali russi. Alla peggio, le zone russificate dovranno essere abbandonate a se stesse. Gli Usa e l’Unione europea non andrebbero mai a combattere per Donetsk.
Torino, 23 febbraio 2022
Nota (1): Due giorni fa Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato i decreti che riconoscono la sovranità delle repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk.
Tag: crisi russo ucraina, Europa, Geopolitica, Giulietta Iannone, Joe Biden, Luigi Bonanate, Relazioni internazionali, Russia, Ucraina, USA, Vladimir Putin
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