:: Brisa di Paola Rambaldi (Edizioni del Gattaccio 2018)

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Brisa-COPERTINA-1-218x315Brisa non è sposata, sorride poco, ha un occhio di un colore e uno di un altro, una treccia lunga lunga, un accenno di baffi. Se passa la treccia su una foto vede il futuro di chi c’è nella foto. Come per quella delle nozze dell’amica Smamaréla: le raccomandò di tenere lontano suo marito dai fucili, ma lui non volle ascoltarla e morì in un incidente di caccia. Da allora Brisa non ha più voluto toccare le sue foto, come se avesse visto qualcos’altro che non vuole raccontare.
Neanche Grace Kelly sarà felice. L’ha visto in una foto.
Così dicono. Con Brisa non si sa mai. Con Brisa non si discute.
Siamo in un piccolo paese alle foci del Po, è il settembre del 1956. Per la festa patronale è arrivato il Luna Park, e ci sarà anche un concerto dei Cavedani di Gorino, gruppo del posto dove suonano anche Tunaia, fratello di Brisa, Primino e il Principe. Hanno un nuovo cantante, il surreale Eoppas, emulo e sosia di Elvis.
Di sera tardi sparisce Lucianino, figlio dodicenne di Smamaréla.
Sono in tanti al vecchio faro.
Primino  finisce in una buca da dove pare impossibile uscire.
Dimenticavamo: Brisa ama i fucili.

E finalmente esce Brisa di Paola Rambaldi! Ho seguito l’iter di questo libro quando era ancora in bozze e ci tengo molto. La Rambaldi è brava, molto brava, una vera scrittrice con un suo stile molto personale, e un amore per i luoghi e le persone della sua terra: l’Emilia-Romagna. Ha già scritto racconti, questo è il suo primo romanzo, che vi consiglio davvero di leggere. Spero nel passaparola perchè è un piccolo editore che la pubblica, quindi se avete modo di leggerlo parlatene con i vostri amici e conoscenti.

Ora con il permesso dell’autrice e della casa editrice vi lascio un estratto. Buona lettura.

Martedì, 2 ottobre 1956

Dove mi trovo?

Quando riprende i sensi, Primino sente male dappertutto. La testa gli scoppia, gli occhi incollati come ventose faticano ad aprirsi ed è oppresso dalla nausea. Quando le palpebre si scollano ha la vista sdoppiata.
Resta immobile girando appena gli occhi per capire dov’è: un posto umido e scuro illuminato a malapena da un ritaglio di cielo livido, con nuvole gonfie di pioggia che scivolano via veloci. Avverte una forte pressione alla cassa toracica e respira con cautela. Si augura che non ci sia niente di rotto. Senza cambiare posizione inclina la testa indietro e sui lati. Le orecchie fischiano e sembra che una punta di trapano gli lavori le tempie.

La luce di un fulmine gli toglie ogni dubbio. È sul fondo di una buca profonda due metri e mezzo e larga tre. Lavora per un’impresa di pompe funebri, di buche ne vede parecchie ed è abituato a misurarle a occhio; certo finora le ha sempre viste solo dall’alto e si è sempre chiesto cosa si provi a finirci dentro… l’ha sognato nei suoi peggiori incubi e adesso lo sa.

Per un attimo pensa che stiano per seppellirlo vivo, poi ragiona. È una fossa troppo grande per una sepoltura e non è certo stata scavata per lui. C’era già. Non che il pensiero sia di grande consolazione.
Qualcosa gli taglia la schiena. Punta indietro le braccia per sedersi. Sembra che il trapano alle tempie si sia fermato, ma le radici che spuntano dalle pareti melmose cominciano a spostarsi da destra a sinistra come in giostra.
Cazzo, mi gira la testa peggio che a una donna incinta!
Aspetta che la buca smetta di girargli attorno e allunga la mano per capire cosa l’ha punto. È un ricciolo di metallo arrugginito e a ben guardare nella buca ce ne sono parecchi. Devono essere gli scarti di un’officina. Un ritaglio di copertone sotto la schiena gli ha attutito la caduta. È tutto un dolore, ma almeno è vivo.
Di colpo ricorda com’è finito lì dentro e perché.

Prova a rimettersi in piedi, sembra non essersi rotto niente, la testa ancora gira ma ce la fa. Sarà una parola uscirne, la buca è profonda e in alto non vede appigli a cui aggrapparsi.
Affonda mani e piedi nella parete di terra rovinandosi le unghie, ma non riesce a salire nemmeno di mezzo metro. Insiste, potrebbe farcela. Prova e riprova. Niente da fare. La terra si sgretola e ogni volta lo fa tornare giù come un piombo, facendo franare anche quella sotto le scarpe.
Nello sforzo lacera una manica della giacca.
Cazzo!
Il suo completo buono.
E ora cosa metterà ai prossimi funerali? Ma gli è improvvisamente chiaro che, se non trova subito una soluzione, il prossimo funerale sarà il suo.
Con quello che ha visto in quel garage, il matto non gliela farà certo passare liscia: ha già ucciso e non si farà scrupoli ad ammazzare ancora. E se avesse ammazzato anche lei?
No…
È una cosa talmente orribile che non riesce nemmeno a pensarla.
Se almeno arrivasse ad aggrapparsi alle sterpaglie che spuntano dal bordo della fossa, forse… e solleva le braccia per prendere le misure. La sfortuna di essere nati bassi.
Se fosse capitato al Principe che è alto invece… invece no, Primino ha sempre saltato più in alto del suo amico. Il Principe qui avrebbe ancor meno possibilità di riuscita, non è mai stato atletico. Tutta la sua abilità sta nel ricordare a memoria i titoli dei film americani.
Non sa perché, ma adesso gli viene da avercela anche con lui.
Si libera della giacca. Il suo completo nero ormai non ha più niente da perdere; se solo riuscisse ad aggrapparsi più in alto… ma sono anni che non salta.
Alle medie il salto in alto era il suo pezzo forte.
Che stupido aver lasciato perdere così.
Adesso occorrerebbe una bella rincorsa e la vecchia tecnica messa a punto a scuola; non è poi passato così tanto tempo, Primino ha appena diciannove anni.
Da quanti anni non salta?
Ha la testa talmente confusa che non riesce nemmeno a farci i conti, ma in terza media saltava quasi due metri.

Più passano i minuti e più l’enormità di quel che è successo lo rende cattivo. Cattivo per davvero. Nei film americani adesso scatterebbe la colonna sonora della vendetta.
Digrigna i denti, aggrotta la fronte, e arretra grugnendo fino alla parete opposta, schiacciando altri trucioli sotto le scarpe. Da lì si intravedono due finestre spalancate da cui svolazzano delle tendine rosa.
Costruire una casa così bella con panoramica sulla buca dei rottami. Quella povera famiglia deve essersi goduta ben poco. Una vista di merda, per una vita di merda.
Sa che da quelle finestre non si affaccerà più nessuno, ma il suo aguzzino non può vincere.
Non deve.

Ed è il suo ultimo pensiero prima di tentare il salto.

Paola Rambaldi, Originaria di Argenta (FE), attualmente vive a Castello di Serravalle (BO). Ha iniziato a scrivere racconti casualmente partecipando a concorsi letterari e vincendone una sessantina in quattro anni.
Ha pubblicato: Tredici storie di Adriatico (Edizioni del Gattaccio, 2014), Bassa e nera (Pontegobbo), La fudréra (REM) e decine di racconti in riviste e antologie (Elliot, Pendragon, MobyDick, Sperling & Kupfer, Laurum, Zona, Felici, Stampa alternativa, Echos, Edizioni della Sera e molti altri).
Scrive di cinema nella rubrica “La schermitrice” su Thriller Magazine e di libri su “Libroguerriero”.
Brisa è il suo primo romanzo.

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