:: Recensione di “Oh…” di Philippe Djian (Voland, 2013) a cura di Giulietta Iannone

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ohIrène ne avrebbe fatto una malattia. Resto ancora un momento li fuori, appoggiata al muro di casa, tra il pallore del crepuscolo e l’odore di carta bruciata. Non ha mai smesso di andarlo a trovare, di mantenere un contatto, un legame fisico con lui, la cosa scatenava violente discussioni tra me e lei, soprattutto all’inizio, ma non per questo ha rinunciato a una sola delle sue maledette visite. Eppure sa Dio se manifestava rancore nei suoi confronti al pensiero di quello a cui ci aveva costrette, i conti da pagare, gli insulti, le fughe e così via, ma tornava a trovarlo ancora e ancora, rendendomi sempre più pazza di rabbia perché non la capivo e lei faticava a spiegarsi, restava volutamente sul vago. Non mi avrebbe mai perdonato di aver dato fuoco a quelle foto. La sento già accusarmi di aver ucciso quell’ uomo una seconda volta – sembra impossibile.

Protagonista di “Oh…” (“Oh…”, 2012) di Philippe Djian, edito da Voland e tradotto da Daniele Petruccioli, è Michèle, produttrice cinematografica parigina quasi cinquantenne, una donna forte, di successo; madre di Vincent, un ragazzo che lavora in un McDonald’s, fidanzato con Josie e in attesa di un figlio non suo; moglie divorziata di Richard, sceneggiatore senza fortuna, amareggiato dalla mancanza di talento della quale neanche si rende conto; figlia di Irène, caricatura patetica e grottesca della femme fatale, fidanzata di Ralf, un ragazzo molto più giovane di lei che intende addirittura sposare, contro il volere della figlia, e di un padre che da trent’anni è rinchiuso in prigione per aver massacrato un numero imprecisato di bambini, tanto da guadagnarsi il nome di mostro di Aquitania; amante di Robert, marito della sua migliore amica e socia nella casa di produzione, Anna. Un giorno il suo complicato mondo imperfetto va in mille pezzi per un’ aggressione: un uomo sconosciuto, con un passamontagna in testa entra nella sua casa e la violenta, davanti al suo gatto Marty. Da principio non lo riconosce, immagina le tesi più fantasiose, che sia uno sceneggiatore di cui ha respinto il lavoro, un uomo che vuole vendicarsi di qualche ipotetica ingiustizia subita, uno sconosciuto senza volto, nome, identità. Confida l’aggressione solo al suo ex marito, di cui subisce ancora il fascino, un po’ perché lo considera l’uomo migliore che abbia incontrato, un po’ per riconoscenza, per quello che ha fatto per lei, salvandola letteralmente dalle dolorose conseguenze degli atti di suo padre, di cui per un residuo senso di possesso, è quasi gelosa della sua nuova compagna, Helene, ragazza più giovane e bellissima. E intanto la vita continua e Michèle cerca di radunare i pezzi, cerca di aiutare il figlio, in questo periodo di crisi, i prezzi delle case a Parigi sono alti, la responsabilità di una moglie e di un figlio, sono forse più di quello che Vincent riesca a farsi carico, oltre al fatto che il vero padre del bambino è in prigione in Thailandia per motivi di droga e Josie cerca soldi da mandargli per farlo uscire di prigione e gli avvocati costano. E poi c’è sua madre e il folle desiderio di sposarsi, oltre al fatto che vuole che vada a trovare suo padre in carcere e come ultimo desiderio gli chiede di accordargli il suo perdono. E infine c’è Patrick, il suo vicino di casa, sposato con Rebecca, per cui prova una malsana attrazione, non ostante sia un bancario, forse anche insulso e qualunque. “Oh…” è questo e molto altro, un romanzo decisamente coraggioso e  forte, né consolatorio, né rassicurante, il tentativo di un uomo di guardare il mondo con gli occhi di una donna, un tentativo che ha risonanze interessanti, bizzarre. Un vertiginoso tentativo di sondare le profondità della psiche femminile, cosa significhi essere madre, il doppio ruolo di Anna e Michèle come madri di Vincent è raccontato con grande sensibilità, cosa significhi subire una violenza, cosa significhi essere figlia di un padre che non merita perdono, e di una madre che seppure con tutte le sue debolezze sa ancora farsi amare. Lo stile particolare Djian è il valore aggiunto che impreziosisce ogni pagina, e raggiunge vette estetiche di particolare intensità.

Philippe Djian Nato a Parigi nel 1949, Philippe Djian si impone negli anni ’80 come scrittore non conformista, considerato l’erede francese della beat generation. Autore di culto della scena letteraria francese, Djian è cresciuto a Parigi facendo ogni tipo di lavoro: portuale, magazziniere da Gallimard e anche giornalista.  37°2 le matin è il romanzo che lo ha reso celebre in tutto il mondo. Da questo libro il regista di J.J. Beineix ha tratto il film Betty Blue, candidato all’Oscar come miglior film straniero nel 1987. Molto apprezzato dalla critica, ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali tra cui il premio Jean Freustié 2009, e per “Oh…” il Prix Interallié 2012.

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