
“La vita è preziosa”
Rouge (1987), diretto da Stanley Kwan, basato sull’omonimo romanzo di Lilian Lee, scrittrice e sceneggiatrice famosa, tra l’altro, per aver scritto il romanzo Addio mia concubina, è un film di culto appartenente alla Second Wave della cosiddetta “Hong Kong New Wave”.
Nonostante sia acclamato da più parti come un capolavoro, e abbia avuto riscontri sia di pubblico che di critica (Anita Mui la protagonista ha vinto per la parte l’Hong Kong Film Award e il Golden Horse taiwanese), non credo esista una versione restaurata e doppiata in italiano, esiste solo la versione in lingua originale con al massimo i sottotitoli in inglese.
Prodotto da Jackie Chan, al tempo pensava di fare un film di cassetta invece si trovò un piccolo film d’autore che paradossalmente circolò più all’estero nei festival, nelle rassegne nei club d’essai, che in Cina, che dopo il passaggio di Hong Kong alla Cina continentale mise forte il vincolo della censura soprattutto per il fatto che i personaggi fanno largo uso di oppio.
Star indiscusse del film sono Leslie Cheung e la già citata Anita Mui, icone tragiche del cinema e della musica hongkonghese dei tardi anni ’80, amati, se non venerati, da uno stuolo di fan che ne conserva la memoria fino a oggi.
Il film è un melodramma struggente con ampie venature di sovrannaturale. Cercherò di evitare gli spoiler, perlomeno quello finale, anche se lo spoiler principale è che Anita Mui, per buona parte del film, è un fantasma che dopo cinquant’anni torna sulla terra per cercare l’uomo che amava, Chan, interpretato appunto da Leslie Cheung.
Fleur, questo era il suo nome, era infatti una prostituta d’alto bordo che, per opposizione della ricca famiglia di lui, non aveva potuto sposare il suo amato. Separati dalle convenzioni sociali decidono così di suicidarsi con resina d’oppio per restare almeno nell’aldilà sempre insieme.
Ma qualcosa va storto, e il fantasma di Fleur, un fantasma cinese in carne ed ossa, si reca nella redazione di un giornale per mettere un’inserzione per persona scomparsa. Incontra così un simpatico giornalista che dopo il primo sgomento quando si accorge che lei è un fantasma (iconica la scena del bus, che si ricollega a tante leggende metropolitane) decide, assieme alla sua fidanzata, di aiutarla.
Il film è essenzialmente al servizio di Anita Mui, la cui recitazione senza sbavature rende il personaggio emotivamente profondo e commovente. E’ un film più triste e malinconico che spaventoso, attimi di vera paura non ce ne sono. Fleur è un fantasma gentile, pallido ed emaciato, al massimo si sbava il trucco o non sopporta la luce del sole, e si interroga se l’amore eterno esiste con ogni sguardo, con ogni gesto, con un’espressione così straziata e delusa, che lascia un eco profonda nello spettatore.
Ma è soprattutto l’Hong Kong degli anni Trenta che non c’è più: Fleur perde le coordinate anche geografiche, non ritrova le strade, gli edifici, i locali, i mercati, i teatri. Tutto è cambiato, è estraneo e respingente. Non solo non trova l’uomo che amava, ma fatica a ritrovare anche i luoghi in cui era stata in vita provocandole uno spaesamento che l’interpretazione di Anita Mui rende memorabile.
Elegante, profondo, commovente, Rouge è un film per chi ama le storie d’amore che tentano di sopravvivere al tempo, alla morte, alla memoria, non aspettatevi un lieto fine classico, ma in fondo un lieto fine c’è, carico di pathos, drammatico e romantico allo stesso tempo. Per la sua ricchezza evocativa un film moderno ancora oggi.
























