:: JOHANNE LYKKE HOLM: STREGA (NN editore) a cura di Fabio Orrico

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Mi chiedo se Johanne Lykke Holm (svedese, classe ’87), autrice esordiente di Strega conosca Suspiria, il cult horror diretto dal nostro Dario Argento nel 1977. Fatta salva la decisione di usare un vocabolo italiano per dare il titolo al suo libro, ci sono almeno un paio di sequenze in cui la pellicola argentiana sembra venire citata esplicitamente. Durante una delle scene più cupe e allucinate, la protagonista Rafaela vede “una ragazza sanguinante pendere dal soffitto” (il riferimento sarebbe in questo caso al primo omicidio messo in scena nel film) mentre qualche pagina prima si fa riferimento a un segreto e a un iris (e chi conosce Suspiria sa che questo fiore rappresenta una svolta nella decodifica dell’intreccio). Naturalmente la risposta alla domanda posta in apertura non toglie nulla alla malìa esercitata da questo romanzo così originale e inquietante. Johanne Lykke Holm, va detto, guarda a una tradizione ben precisa seppur sotterranea. Una tradizione così ben codificata da poter costituire un sottogenere e che potremmo definire sintetizzando al massimo Ragazze-chiuse-in-un’istituzione-concentrazionaria sia essa una scuola, un collegio, un educandato o, come nel nostro caso, un albergo. Nel libro di Holm sentiamo riverberare il grande modello di Mine-Haha di Franz Wedekind, da cui eredita suggestioni e senso dell’assurdo ma anche il Picnic ad Hanging Rock di Joan Lindsay poi filmato da Peter Weir e, spostandoci nei territori della celluloide aldilà del classico argentiano, arriviamo a lambire opere spurie come Innocence di Lucile Hadzihalilovic o Zombi child di Bertrand Bonello senza dimenticare il bellissimo remake di Suspiria firmato da Guadagnino.

Rafaela, diciannovenne, viene spedita dai genitori all’hotel Olimpyc per lavorare come cameriera durante la stagione invernale. Siamo sulle alpi, accanto all’albergo c’è un monastero gestito da suore e un paese, Strega appunto, che è necessario attraversare per raggiungere il posto di lavoro e che diventa teatro di sporadiche quanto enigmatiche uscite sociali di Rafaela e delle sue nove colleghe e coetanee. La trama è tutta qui, l’unico significativo punto di svolta si può rintracciare nella scomparsa di Cassie, una delle ragazze, e che darà origine a una sorta di depotenziata deriva gialla. Per il resto l’hotel Olimpyc si dimostra ben presto una variante della Fortezza Bastiani in cui le ragazze devono aspettare non meglio precisati ospiti e tenersi pronte per dimostrarsi servizievoli e professionali, pena il ricorso da parte delle figure dirigenziali (Rex, Costas e Toni, donne dal confine sessuale incerto fin dal nome) a pene corporali inflitte nella più assoluta indifferenza.

Il fascino e la solidità di Strega non stanno quindi in cosa si racconta ma in come lo si racconta. La prosa inventiva, densa, stratificata di Holm si muove a trecentosessanta gradi richiamando ogni possibile appiglio sensoriale, sceglie metafore incongrue e sincopate, crea sintesi impossibili. Nel mondo di Rafaela tutto è virtualmente possibile anche se, allo stesso tempo, tutto è mortalmente immobile. Una visita al bar del paese dà origine a un grappolo di incubi, una sorta di nastro trasportatore di immagini surreali che sembra riverberare il ricordo del cinema delle origini. Anche l’occorrenza più banale, l’esplorazione di un interno casalingo, può spalancare un immaginario goticheggiante: “C’era odore di tarmicida, di mattatoio. Non riuscivo a vedere dove conducesse la scala, ma osservando quel rosso sentivo il terrore crescere dentro di me, come quando si entra in una stanza e si ha la percezione che sia infestata da spiriti maligni. Seduti sulle sedie, i fantasmi bevono acqua dai bicchieri e aprono la frutta con le mani. Mi sporsi per guardare in alto, ma c’era soltanto un’opaca penombra”.

Difficile dire in che epoca sia ambientato Strega. Su questo Holm è volutamente reticente e punta a creare un luogo senza tempo, collocabile nell’arco degli ultimi due secoli mantenendo una grande coerenza interna, a tratti messa in discussione dall’uso di termini decisamente contemporanei (uno per tutti: femminicidio). L’autrice crea una sorta di fiaba gotica definitiva proprio perché svincolata dalle più urgenti esigenze di trama e percorsa da una costante sensazione di minaccia. Senza anticipare nulla (ma il concetto di spoiler applicato al romanzo di Holm è semplicemente ridicolo) vorrei dire che anche l’ultima parola dell’ultima riga dell’ultima pagina di Strega vibra di tensione e rilancia una suspense che non riposa su nulla di concreto e definibile e, forse proprio per questo, risulta quasi tattile. Un esordio straordinario.

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