:: Un’intervista con Andrea Cotti a cura di Giulietta Iannone

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Benvenuto Andrea e grazie per aver accettato questa mia intervista. Come tradizione iniziamo con le presentazioni: parlaci un po’ di te, raccontati ai nostri lettori.

Buongiorno, in realtà quasi tutto di me è raccolto nella domanda successiva. Posso aggiungere che ho vissuto a Roma, alla Garbatella, per quasi quindici anni, che ho ancora una casa a Roma e che tifo Roma fin dal 1982 anche se sono nato a San Giovanni in Persiceto in provincia di Bologna. Ho un cagnone, un pastore maremmano, che si chiama Vic.

Sceneggiatore, editor, scrittore di romanzi per ragazzi, autore radiofonico e televisivo, una vita dedicata alla scrittura. Quando è nato il tuo amore per i libri? Ricordi il primo libro che hai letto da solo?

Il primo libro che ho letto da solo è stato “Ninja” di Eric Van Lustbader. Avevo sedici o diciassette anni, non sono stato un lettore precoce. Ma andatevi a cercare il romanzo, leggete la prima scena, e capirete perché da lì in poi non ho più smesso.

Raccontaci i tuoi esordi. Hai iniziato facendo mille lavori, come nella più pura tradizione o hai già da subito trovato occupazioni legate alla scrittura?

Non ho fatto mille lavori, ne ho fatto uno solo: il libraio. Per cinque anni ho gestito la mia libreria nella piazza principale di San Giovanni in Persiceto. Solo dopo ho fatto il salto, ho mollato la libreria e ho cercato di vivere con la scrittura.

C’è qualcuno che ti ha aiutato all’inizio della tua carriera anche solo con consigli, incoraggiamenti che ti va di ringraziare?

Le persone che mi hanno aiutato sono state tantissime, da Roberto Roversi, poeta, che lesse alcune mie cose da ragazzino, e anzichè stroncarmi mi incoraggiò. Giampiero Rigosi e Carlo Lucarelli quando mi hanno chiesto di lavorare assieme a loro alla fiction su Coliandro. E per finire Giancarlo De Cataldo che mi ha dato un paio di dritte fondamentali per Il Cinese.

Hai adattato crime fiction di successo tra cui la serie de L’ispettore Coliandro. Raccontaci qualche aneddoto buffo legato alla serie. E poi come è lavorare per la televisione?

Lavorare per la televisione è stimolante ma anche faticoso e stressante perchè devi rendere conto di ciò che scrivi a tantissime persone che a loro volta tentano di imporre una loro visione. Ci sono gli editor interni alla produzione, poi gli editor di rete, e il responsabile della fiction della rete stesse. Tutte persone che intervengono su quello che scrivi, e questo alla lunga può essere stancante.

Tranne che per Coliandro.

Nel senso che scrivere Coliandro è stata una delle cose più divertenti che io abbia mai fatto, anche perchè di solito le riunioni di sceneggiatura erano pranzi a casa di Carlo Lucarelli che proseguivano nel pomeriggio e diventano cene, mangiando, bevendo, a facendo a gara (proprio come avrebbe fatto Coliandro) a chi la sparava più grossa.

E ora parliamo finalmente del tuo nuovo libro L’impero di Mezzo, da poco uscito per Rizzoli, seguito de Il Cinese. Una storia di ricerca delle proprie origini, di legami familiari, di estraneità, di confronto tra culture ma anche di indagini. Come è nato il tuo interesse per il mondo cinse?

È nato da ragazzino, assieme alla mia passione per le arti marziali e a un primo viaggio in Cina nel 1990, quando avevo diciannove anni.

Raccontaci la tua Cina. Quando l’hai visitata cosa ti ha colpito di più?

La Cina di oggi è completamente, totalmente diversa da quella del 1990, e quello che più mi ha colpito sono queste megalopoli da più di venti milioni di abitanti: sterminate, spaventose, ma anche a modo loro affascinanti.

Un importante imprenditore italiano è morto precipitando dal diciassettesimo piano di un parcheggio a Wenzhou, così inizia la tua storia. Il rapporto Italia – Cina è molto più sfaccetattao e complesso di quanto si immagini, non parlo solo dei legami economici e commerciali, ma anche di quelli sociali e culturali. Come ti sei documentato?

Studiando tanto. Leggendo documenti, rapporti, articoli economici e socioeconomici. E poi, appunto, andando di persona a guardare le cose da vicino.

Parlaci del tuo personaggio principale il vicequestore Luca Wu. Come è nato?

Wu nasce dall’incontro con un importante sinologo italiano, Francesco Sisci, che ho incontrato su suggerimento di Giancarlo De Cataldo. È stato Sisci a regalarmi l’intuizione che il mio personaggio avrebbe dovuto essere sì un poliziotto, ma un poliziotto cinese nato in Italia.

E del personaggio della poliziotta cinese Yien Bao Yi cosa ci racconti?

La Yien è l’eccezione che conferma la regola. È una poliziotta cinese, e in Cina i poliziotti tendono a essere quasi degli automi per il modo in cui si attengono agli ordini ricevuti e svolgono i loro compiti. La Yien no. Anche lei è fedele a un sistema, e crede in quell’insieme di regole, ma a differnza degli altri è capace di pensare con la sua testa. E tra lei e Wu il rapporto avrà uno sviluppo interessante…

Sembrano perfetti per uno sceneggiato televisivo, non trovi?

Sembrano perfetti, sì. Non dico altro…

E l’interesse per le arti marziali? Era già vivo prima della stesura dei romanzi, immagino. Pratichi qualche tipo di arte marziale?

Sì, come dicevo sopra è stato l’interesse per le arti marziali a farmi avvicinare alla cultura cinese. Io ho praticato karate, e poi soprattutto Ving Tsun, la stessa arte marziale che pratica Wu.

Progetti per il futuro?

Prima di ogni altra cosa, scrivere il prossimo romanzo di Luca Wu. Chi è arrivato alla fine de L’Impero di Mezzo sa perchè…

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