:: Recensione di Quando si spengono le luci di Erika Mann (Il Saggiatore, 2013) a cura di Giulietta Iannone

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quandoÈ piuttosto impegnativo chiamarsi Erika Mann, figlia prediletta dell’universalmente noto Thomas Mann, premio Nobel per la Letteratura nel 1929 e autore di opere come La montagna incantata, Morte a Venezia, I Buddenbrook. Come è altrettanto impegnativo essere un’intellettuale di origini ebraiche (da parte di madre) nella Germania nazista, scegliere l’esilio e abbracciare la letteratura militante come strumento di lotta politica, etica, filosofica, morale. Molti intellettuali tedeschi, artisti, scienziati, matematici lasciarono la Germania agli albori dell’era hitleriana e scelsero chi la Gran Bretagna, chi la Svezia come Bertolt Brecht, chi la Svizzera, o gli Stati Uniti come Thomas Mann stesso, come terra di rifugio e di esilio, prima che l’essere oppositori o anche solo ebrei diventasse un biglietto sicuro per i treni diretti verso i campi di sterminio o più sbrigative esecuzioni sul posto.
Anche la figlia di Mann scelse l’esilio e oltre a spingere suo padre ad opporsi alla dittatura nazista, fu lei stessa una strenua paladina di quell’intellighenzia che non aveva accettato la “barbarie” o si era prostituita al regime come il fratello Klaus accusa il poeta Gottfried Benn, durante uno scambio di punti di vista piuttosto vivaci. Troverete questo accenno nella postfazione di Agnese Grieco, Un nuovo tipo di scrittrice,  curatrice di Quando si spengono le luci (The Lights Go Down, 1940), per la prima volta proposto in italiano da Il Saggiatore, come numerosi altri spunti di riflessione e informazioni biografiche su Erika Mann e il periodo in cui visse.
Comunque non è solo impegnativo trovarsi ad essere l’erede morale di un genio della letteratura tedesca, e un’ intellettuale impegnata, in un certo senso combattere è anche necessario e inevitabile. Un intellettuale naturalmente non utilizza armi, la sua unica forza è il pensiero e Erika Mann scelse anche la forma del racconto per poterlo trasmettere a più persone possibili. Quando si spengono le luci è infatti una raccolta di racconti, l’ultimo dei quali da il titolo al libro, pubblicata in America da Farrar & Rinehart nel 1940, e solo nel 2005 in versione tedesca col titolo Wenn die Lichter ausgehen. E dobbiamo aspettare appunto il 2013 per leggerne l’edizione in lingua italiana grazie alla ricercatrice, scrittrice e drammaturga Agnese Grieco. Condizione bizzarra per un libro che ci riporta indietro nel tempo, quasi fotografando squarci di vita “reale” di personaggi anch’essi reali anche se filtrati dalla sensibilità artistica dell’autrice.
Paragoni col padre è ingeneroso farne, e li eviterò con cura,  tuttavia un respiro di epica drammaticità soffia sulle pagine dandogli vita. Con stile secco, tagliente, quasi corrosivo quando usa l’ironia per difendersi dalla disperazione di un mondo troppo sinistro e inquietante, Erika Mann ci tratteggia vite normali, personaggi normali, imprigionati in vicende dominate dal caos morale e materiale che caratterizzò la Germania ante guerra. Gente comune che si trova a fare i conti con la propria coscienza, a volte anestetizzata, a volte colpevolmente incapace di avvertire il baratro che si nasconde dietro l’accettazione di un regime inutilmente feroce, caparbiamente dispotico.
Lo straniero che si muove ne La nostra città, racconto introduttivo, sorta di prefazione, ci da il benvenuto in un viaggio didascalico nell’orrore, raggelante e raggelato proprio perché comune, rassegnato, privo di picchi di coscienza. Lo straniero attraversa una tipica città bavarese (che sarà scenario di tutti i dieci racconti) al crepuscolo, sentendo una voce lontana che scambia per il latrato di un cane. E’ la voce di Hitler che tutti i tedeschi sono obbligati ad ascoltare se non vogliono incorrere in spietate repressioni, controllati da una polizia che si aggira furtiva, che ascolta le delazioni di nemici e rivali, che impone scelte forse non condivise, ma inevitabili. Come le trombe del giorno del giudizio, della fine del mondo, la voce di Hitler pervade le coscienze dei tedeschi, alcuni vittime e alcuni complici, e ci apre le porte dell’abisso.
Così veniamo a conoscenza della storia di Peter e Marie, due giovani fidanzati che sognano di fare lei la maestra e lui l’avvocato, protagonisti di A causa di un deplorevole errore… I nomi sono cambiati, lo scenario è differente per non creare problemi ai protagonisti o a chi per loro ne ha raccontato la storia a Erika Mann, (in appendice la curatrice spiega le ragioni che hanno spinto l’autrice a scegliere alcune storie invece che altre e che il titolo originale era appunto Fatti, prima di scegliere il più poetico Quando si spengono le luci) ma appunto la consapevolezza che fosse una storia realmente accaduta mi ha accompagnato durante tutta la lettura assieme all’ammirazione per lo stile della Mann. E’ una storia tragica la loro, e la tragedia è tanto più dolorosa quanto appunto comune, quotidiana. Non sono ebrei né comunisti Peter e Marie, non sono oppositori politici, né eroici paladini di cause nobili o pericolose. Forse hanno qualche dubbio, almeno Marie li ha, ma sono due semplici ragazzi che si troveranno a vivere una vicenda che l’assurdo che la sovrasta rende ancora più tragica.
In Checks and Balances è il sospetto un sentimento sporco e paralizzante il vero protagonista. Un commerciante dalla faccia onesta e pulita, anche se i suoi tratti vagamente semiti gli hanno causato qualche guaio, decide di falsificare i libri contabili della sua drogheria che gestisce per dichiarare una cifra sufficiente a non fargli chiudere il negozio, ma non ha calcolato la reazione della moglie. E di nuovo l’assurdo e il grottesco entra prepotentemente in scena con il suo amaro sapore di fiele.
In Herr Huber proprietario di fabbrica è lo sforzo bellico analizzato sotto la lente di ingrandimento, con le sue contraddizioni e quel grottesco nome di “angeli della pace” dato alle armi. Materiali scadenti, ritmi di lavoro sfiancanti, Herr Huber ha seri dubbi che tutto questo possa portare a qualcosa di buono e mentre si confida con la segretaria e anzi le dichiara il suo amore, riceve la notizia che lei per metà è ebrea. “Tragica” fatalità che stempera i suoi sogni d’amore. E intanto l’ubbidienza sembra la sola legge che governa le coscienze.
In Giustizia è ciò che serve alla nostra causa, un professore universitario di diritto penale guida moralmente la sua aula in un atto di “sabotaggio” che porta a deridere con pungente sarcasmo e ironia l’azione di due SA venute ad arruolare studenti da mandare nella Prussia dell’Est.
In A ricordo di un eroe tutto inizia con una direttiva del capo della polizia municipale di arrestare gli ebrei di sesso maschile, di nazionalità tedesca, benestanti, non in età avanzata, che occupano una posizione rilevante nella società.
Il sesto racconto intitolato Un contadino fugge in città narra le peripezie di un giovane contadino che lascia la campagna per trasferirsi in città, che dista solo quattro ore di treno ma che per lui è un mondo sconosciuto, sullo sfondo della Germania trasformata nel Terzo Reich. Fa parte del fenomeno denominato “esodo dalle campagne” e intanto sente dentro di sé la sensazione di stare fuggendo.
In Compagni di sventura il contadino del racconto precedente si trova in cella con l’accusa di aver dato da mangiare mangime pregiato alle sue galline.
In L’ultimo viaggio Max Murks, giovane marinaio, parte per il suo viaggio verso NewYork e la madre lo prega di portarle un poco di caffé tostato, perché lì in città non se ne trova più. Ma il giorno in cui Max avrebbe dovuto tornare a casa per Natale si presenta un suo amico alla porta.
In Su indicazione medica il dottor Scherbach si trova a dirigere l’ospedale della città e si vede sostituite le suore che prima lavoravano da infermiere, con infermiere di provata fede nazista.
Infine nell’ultimo racconto, che dà il titolo alla raccolta, il membro del partito Hans Gottfried Eberhardt, redattore culturale presso “Der Anzeiger”, decide quasi per scherzo di correggere gli errori grammaticali, trentatrè gravi errori stilistici e grammaticali, di un discorso del Fuhrer del quale doveva scrivere la trionfale introduzione, chiudendo così per sempre la seppur modesta carriera di giornalista. Per sei anni aveva scritto quello che voleva il regime e passato sotto silenzio ciò che al regime non piaceva. E ora invece il visto d’ingresso per lui e la sua famiglia per gli Stati Uniti diventa l’unica cosa importante.

Erika Mann (Monaco di Baviera, 1905 – Zurigo 1969), saggista, performer, scrittrice e giornalista, figlia primogenita di Thomas Mann e Katja Pringsheim, abbandona la Germania del Terzo Reich nel 1933 assieme al fratello Klaus, scegliendo la via dell’esilio che la porterà in Svizzera, Inghilterra e Stati Uniti. Corrispondente per radio e giornali inglesi e americani, autrice di fortunati libri per l’infanzia, reporter di guerra, conferenziera di successo, curatrice del lascito letterario del padre e del fratello, Erika Mann attraversa anni cruciali all’insegna di un instancabile impegno intellettuale. Tra le pubblicazioni in italiano, Caro Mago. Lettere e risposte 1922-1969 (il Saggiatore 1990), che raccoglie la corrispondenza con il padre.

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2 Risposte to “:: Recensione di Quando si spengono le luci di Erika Mann (Il Saggiatore, 2013) a cura di Giulietta Iannone”

  1. wolfghost Says:

    Caspita! Complimenti davvero per la pluri-recensione! Splendida! 😉 Unico neo: recensioni così ti tolgono poi la curiosità di leggere i corrispondenti libri 😀
    Ovviamente scherzo… ma non sulla tua bravura 😉

    http://www.wolfghost.com

    • liberdiscrivere Says:

      Eh no, non dire così 😀 , cmq grazie. E’ un po’ più lunga e strutturata del solito, ma anche il libro non è un libro comune. Cmq merita di essere letto. E’ una testimonianza preziosa di un periodo storico neanche troppo lontano, un monito anche per il presente. Erika Mann è certo una scrittrice migliore di me. Di questo ne sono sicura. Cmq è bello sentirsi apprezzata, ed essere utile. Grazie della visita, adesso vengo a trovarti io. [ohi, non è una minaccia]

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