:: Un’intervista con Marilù Oliva a cura di Giulietta Iannone

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Benvenuta Marilù e grazie di avere accettato questa nuova intervista per Liberi di scrivere. Hai da poco pubblicato “Biancaneve nel Novecento” proposto da Maria Rosa Cutrufelli per l’edizione 2021 del Premio Strega, un romanzo molto particolare, anche doloroso se vogliamo, una storia doppiamente al femminile che unisce due generazioni di donne del Novecento. Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?

Mi ha spinto il desiderio di raccontare due (che poi diventano tre) donne nel Novecento e seguirle nel loro cammino – costruito come una fiaba – fin da quando sono piccole o giovani. Lili è una vittima della storia, Bianca incarna le bambine che hanno subito qualche maltrattamento per colpa di uno o più adulti presi dai propri guai e feriti dal passato. Convinte entrambe che la Storia sia distaccata e in mano soltanto ai potenti, si illudono che scorra lontana, invece una ci si tuffa dentro per scelta volontaria, la studia, la scova, l’affronta; l’altra ne viene fagocitata, viene rinchiusa nel lager di Buchenwald e lì indotta a prostituirsi nel famigerato bordello.

Bianca e Lili sono le protagoniste, a capitoli alternati raccontano le loro vicende personali. Bianca è una bambina poi ragazza del presente, Lili è una anziana signora nata nel 1919 in Francia da una famiglia contadina. Non potrebbero essere più diverse ma in fondo hanno qualcosa di simile, non è vero?

Sì, hanno in comune, inizialmente il fatto di essere travolte dal dolore (anche se si tratta di esperienze molto diverse), poi di cercare entrambe la luce. Ma hanno in comune anche lo stesso rapporto con la Storia, quella grande di cui parlavo sopra, con la S maiuscola: dapprima di completo disinteresse diventa poi un legame più profondo. Il loro viaggio verso la consapevolezza si compirà quando entrambe capiranno che la Storia ci appartiene e, con ogni nostra scelta e comportamento, possiamo – seppur talvolta solo in minima parte – influenzarla.

Lili ha un passato molto doloroso, per avere ospitato nella casa di suo marito una famiglia ebrea fa l’esperienza dei campi di concentramento nazisti. Bene o male questi campi di prigionia e di sterminio hanno inciso nell’anima del Novecento. Ho letto che nulla di cosa racconti è inventato (a parte il personaggio di Lili che un po’ racchiude l’esperienze di tanti sopravvissuti), ti sei basata su libri, testimonianze, documentari. Come ti sei avvicinata a questo doloroso passato? Come hai affrontato le radici del male del Novecento?

È da anni che leggo libri, saggi, vedo audiovisivi e porto avanti progetti nelle mie classi sullo sterminio, molto attenta alle parole di Primo Levi, quando nella Shemà dice: “Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore…”. Conservare la memoria tutela noi da un futuro pericoloso ed è un atto doveroso verso ciò che è stato. In questo senso, col mio romanzo, volevo dare un piccolissimo, infinitesimale contributo a ciò che gli ebrei chiamano Tiqqun ‘olam (in ebraico: תיקון עולם‎): un atto di riparazione nella speranza di un mondo migliore.

Nel tuo libro parli della tragica morte della principessa Mafalda di Savoia a Buchenwald, proprio Lili l’assiste nel Sonderbau, come ti sei documentata per questo episodio umanamente davvero terribile? un’atrocità nelle già tante atrocità, considerato che una volta ferita ne hanno causato scientemente la morte.

Ho letto diverse sue biografie e testi storici, tutti elencati nella Bibliografia finale. La sorte riservata a questa principessa che ogni giorno andava avanti retta solo dalla speranza di rivedere i suoi figli è molto triste, anche se a lei – almeno quando era in vita – in virtù del suo rango fu riservato un trattamento leggermente migliore rispetto a quello di molti altri prigionieri.

Dopo la morte della principessa a Lili viene fatta una proposta che cambierà per sempre la sua vita. Ce ne vuoi parlare?

Certo: viene proposto a Lili di prostituirsi nel Sonderbau, l’ “edificio speciale” che corrispondeva al bordello del campo di concentramento di Buchenwald. Ho scelto di raccontare questa realtà, rimasta tabù per anni, quando sono venuta a scoprire che Himmler, nel 1942, decise di istituire dei bordelli nei campi di concentramento nazisti, dove le ragazze venivano reclutate con l’inganno: si prometteva loro che dopo 6 mesi sarebbero state liberate, ma questa promessa non fu mai mantenuta. Anzi, spesso capitava che si ammalassero o venissero colpite da malattie veneree e finivano nella baracca degli esperimenti. Questa realtà, rimossa fin dopo la Liberazione perché ritenuta scomoda e inopportuna e divenuta solo più tardi oggetto di ricerca storica, ha attirato la mia attenzione sia perché riguardala storia delle donne nella Shoah, sia perché racconta l’inferno nell’inferno. Le ragazze costrette a prostituirsi finivano per essere vittime più volte: vittime del lager, degli aguzzini e dei prigionieri, dei pregiudizi, dei loro sensi di colpa. Il perdurare del disprezzo nei loro confronti anche nei decenni successivi è indicativo, le si considerava le sole responsabili del trattamento subito, come se davvero avessero avuto molta possibilità di scelta. E questo è uno dei motivi per cui si possono rinvenire così poche testimonianze dirette.

La prostituzione femminile (esisteva anche quella maschile) è un tema che non viene spesso affrontato. Un’ulteriore umiliazione e violenza in realtà dove la violenza e la sofferenza erano la norma. Tu hai avuto il coraggio di affrontare questo tema molto spesso dimenticato. Già i sopravvissuti si sentivano in colpa per essere sopravvissuti, le donne vittime di prostituzione, lo erano ancora di più. Come Lili metabolizza questo dolore?

Questo è un tema molto delicato, che io ho cercato di risolvere anche attraverso le testimonianze di altri ex-detenuti che non avevano certo potuto spazzare via con un colpo di spugna tutto ciò che era stato. Un’esperienza come l’internamento lascia ferite profonde e non sempre queste si rimarginano, basti soffermarsi sugli sguardi di alcuni testimoni. Il tempo guarisce tutto? Non lo so, nel mio romanzo il tempo forse potrebbe lenire, ma cosa resta nei nostri abissi più profondi? Ho provato a immaginare come avrebbe potuto affrontare una nuova vita una ragazza annichilita fin nel profondo che, contro ogni sua previsione, aveva però trovato nel lager qualcosa di prezioso.

Bianca è una bambina di quattro anni nel 1980. Molto più vicina alla tua generazione, ti è stato più facile costruire il suo personaggio?

Mi è stato più facile per quanto riguarda soprattutto le atmosfere dell’epoca, che conosco bene.

Hai una grande sensibilità soprattutto quando racconti l’infanzia e l’adolescenza, sicuramente il tuo lavoro di insegnante ti ha dato gli strumenti per indagare e comprendere meglio queste psiche ancora in formazione. Ma oltre a questo c’è proprio una tua sensibilità particolare che ti spinge a comprendere il mondo dell’infanzia. Sei stata una bambina amata e felice?

Non tornerei mai all’età dell’infanzia, sono stata una bimba abbastanza infelice e ho subito diverse perdite (in questo mi riconosco in Bianca), ma soprattutto non ho provato in pieno il senso di protezione che ogni bambino dovrebbe ricevere. Cercando una via di fuga, mi sono rifugiata nel mondo dei libri e questo forse ha acuito la mia predisposizione alla fantasia e all’ascolto dell’altro. Credo che derivi tutto da qui. Ogni volta che parlo di un bimbo che subisce una sopraffazione, sento la mia piccola voce indignata.

Tornando a Lili, il personaggio che mi ha più colpito per la sua forza, la sua determinazione e il suo non farsi sopraffare dalla violenza fisica e psicologica subita. Come supera sentimenti negativi come l’odio e la vendetta?

Attraverso la solidarietà. Seppure tutti noi non possiamo sfuggire alla nostra solitudine, dobbiamo anche ricordarci che, pur con tutta la nostra forza (quando c’è) da soli non combiniamo nulla. Se Lili non avesse incontrato persone come Sophie o come Elio, probabilmente non ce l’avrebbe fatta.

Il tuo libro ha anche valore di testimonianza, per avvicinare i ragazzi a queste pagine oscure del Novecento. Tu non calchi mai la mano, non cerchi l’effetto, anzi con mano lieve lasci trasparire anche tocchi poetici. Come è stato accolto il tuo romanzo nelle scuole?

Molto bene, riscontro nei ragazzi e nelle ragazze di oggi una grande sensibilità verso il tema. Spesso mi rivolgono delle domande così interessanti e ricche di spunti di riflessione che ci penso anche nei giorni successivi.

Ringraziandoti per la tua disponibilità, come ultima domanda vorrei chiederti quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Mi sto dedicando a un progetto nuovo, ma per scaramanzia non ne parlo. Anche se è solo un gioco, la mia parte miscredente non crede a queste cose! Grazie, Giulietta, per le tue belle domande.

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Una Risposta to “:: Un’intervista con Marilù Oliva a cura di Giulietta Iannone”

  1. :: Un’intervista con Marilù Oliva a cura di Giulietta Iannone | Liberi di scrivere Says:

    […] che tu sia qui. Già abbiamo parlato del tuo bel romanzo in una scorsa intervista, ne ricordo il link per chi è interessato, per cui questa volta certo parleremo del libro ma anche dei tuoi progetti attuali e futuri. Per […]

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