:: Un’intervista con Emiliano Reali a cura di Giulietta Iannone

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il-seme-della-speranzaBuongiorno Emiliano, benvenuto su Liberi di scrivere e grazie di aver accettato questa intervista. Scrittore, blogger, giornalista. Parlaci di te, che studi hai fatto, che ricordi hai della tua infanzia?

Ero un bambino sensibile e insicuro, alle elementari avevo creato un mondo di giochi con la mia amichetta Francesca, ci isolavamo per difenderci dalla brutalità. Poi con le scuole medie ci siamo separati ed è iniziato il bullismo vero e proprio, anni bui che vorrei non aver vissuto. Al liceo scientifico, scelto solo perché c’era mio fratello che speravo mi difendesse, la situazione peggiorò ulteriormente. Sorrido al pensiero di quello che diceva mio padre quando non volevo andare a scuola, “Da grande ti mancherà il periodo della scuola”. A me quegli anni non mancano assolutamente, piuttosto ringrazio che non ritornino. L’università fece in modo che finalmente allontanassi dalla parola istruzione la sensazione di acuta sofferenza che fino a quel momento aveva accompagnato il mio percorso di studi. Mi sono laureato in filosofia discutendo una tesi in storia delle religioni, precisamente sui riti terapeutici degli indiani Navajo, e alcuni degli amici trovati a Villa Mirafiori mi accompagnano ancora oggi.

Come ti sei avvicinato alla scrittura e come è nato il tuo amore per i libri?

Scrivevo per respirare, riempivo diari dove sfogavo le emozioni che non era possibile tenere a bada. Mai avrei pensato però di vivere con le parole, giocavo a pallavolo sperando di divenire un atleta professionista, amavo gli animali al punto da voler fare il veterinario. Poi però l’insicurezza mi frenò e decisi per una facoltà che avrei potuto frequentare a Roma. Trasferirmi a Perugia da solo, dove c’era veterinaria, mi terrorizzava. Mi iscrissi quindi a filosofia. Una volta laureato una mia amica mi fece leggere un racconto col quale partecipava ad un concorso, ne scrissi uno e vinci. Una scintilla si accese e di lì a poco diventò un incendio. Il fuoco delle parole mi brucia dentro, forse mi consumerà, ma non c’è modo di spegnerlo.
Discorso ben diverso riguarda la lettura. Fino al conseguimento della laurea non riuscivo a ritagliare del tempo per letture extra. Anche dopo la stesura del famoso racconto che cambiò la mia vita continuavo a non leggere. La mia migliore amica mi spinse ad aprirmi alla lettura dicendomi che ne avrei guadagnato sia come scrittore che come persona. Seguii il consiglio e mi dolsi per tutto il tempo perso. Oggi non potrei vivere senza leggere!

Sei un autore di romanzi e libri per ragazzi, che tipo di responsabilità implica scrivere per questi giovani lettori? Tu come ti regoli? Hai fatto studi specifici sull’età evolutiva?

E’ una cosa fantastica sapere che i ragazzi leggono i miei libri, è come giustamente dici anche una bella responsabilità, ma io lascio parlare il ragazzino in me e in questo modo spero di non sbagliare. La mia storia, il mio vissuto, mi hanno permesso di sviluppare una sensibilità particolare che fa sì che riesca a non dimenticare gli ultimi o quelli in difficoltà. La vita è stato il mio campo di studio, ne porto i segni e brandisco le consapevolezze conquistate. Scrivo per i ragazzi e imparo da loro, dalla loro schiettezza e dall’autenticità che li contraddistingue.

Il tuo fantasy Il seme della speranza (Watson, 2020) viene utilizzato nelle scuole come testo di lettura, una bella soddisfazione.

Sono molto felice di questo, una serie di scuole dislocate sul territorio nazionale lo hanno assegnato come testo di lettura estivo, altre lo utilizzeranno per progetti o laboratori l’anno prossimo. Per lo più nelle scuole medie e al biennio delle superiori, ma anche in alcune scuole elementari per i ragazzini che dalla quarta passano in quinta. E’ una lettura che può venir fatta a vari livelli, a seconda dell’utenza. Di certo il covid e la didattica a distanza non hanno agevolato la diffusione del mio libro, ma non sono riusciti a fermarlo!

Parlaci de Il seme della speranza, come è nata in te l’idea di scriverlo?

Sono cresciuto giocando a Dungeons & Dragons, quante volte ho sognato di essere il druido Zibetex o il mago Mercurius e di combattere contro banditi o creature mostruose per difendermi o salvare i più deboli. Quel mondo di fantasia e di magia è ben vivo in me e ho dovuto solamente aprire una porticina per consentire alle parole di uscire. Poi ho pensato di metterlo in comunicazione/contrapposizione con l’iper-razionalità e l’aridità che ahimè stanno rovinando il nostro pianeta ed è venuto fuori “Il seme della speranza”, un’opera dicotomica, dove però alla fine ci si accorge che ciò che apparentemente è distante in profondità è intimamente legato.

Di cosa parla? Sottende un messaggio universale?

In principio fu Spyria, l’immortale, piena dell’amore necessario a generare ogni essere vivente, che creò l’universo. La divina genitrice diede origine a due mondi paralleli, lontani e diversi tra loro, seppure intimamente legati: quello degli Spiriti e delle Divinità, dove l’armonia e l’incanto regnano sovrani, e il pianeta Terra. Lo sfruttamento degli individui e della natura su quest’ultimo ruppe il fragile equilibrio di connessione tra i due, quindi Eres viene mandato sul Pianeta Terra per cercare di porre fine alla scelleratezza dell’essere umano.
Il seme della speranza” è un Fantasy moderno, un libro che mette in comunicazione e in contrapposizione gli aspetti più puliti dell’animo umano con la bramosia di potere e di denaro. Da un lato il rispetto per la natura, per l’individuo come entità viva e pulsante, dall’altro l’arroganza e il delirio d’onnipotenza e l’arrivare a considerare le persone solo come strumenti, oggetti per perseguire i propri fini.

Sei un autore italiano tradotto all’estero la tua raccolta di racconti Sul ciglio del dirupo è uscita in America col titolo “On the edge”. Raccontaci come è andata. Con che editore americano pubblichi?

Essere invitato a presentare un tuo libro alla NY University, all’Ambasciata Italiana di Washington o all’Opera House di Willmingotn sono esperienze che non si dimenticano. Giorni fantastici che mi hanno riempito di soddisfazione, questa però è arrivata dopo, inizialmente ero solo spaventato all’idea di presentarmi a una platea e interagire in una lingua diversa dall’italiano. Ricordo che il giorno della prima presentazione in America dissi al mio editore che non ce la facevo, doveva dire alle persone intervenute che mi ero sentito male e che l’evento era annullato. Lei però (DeBooks) mi tranquillizzò e tutto andò per il meglio. Ogni tanto riguardo il video della mia presentazione che la NY University ha pubblicato su YouTube e ho un brivido. Spero di tornarci presto, magari con un nuovo libro tradotto!

Come è nato il tuo interesse per i racconti?

Il racconto non è altro che una storia breve, se ne fruisce in modo diverso dal romanzo, in tempi diversi, nei ritagli. Sai che lo inizi e lo finirai, non resterai appeso alla lettura, non rimarrai deluso perché la pausa pranzo terminerà senza che tu abbia risolto i tuoi dubbi. Mi piacciono i racconti, nei momenti frenetici sono perfetti per riempire piccoli vuoti, ho adorato quelli di Edmund White, che ho avuto la fortuna di conoscere, e apprezzo il lavoro svolto da Racconti Edizioni, casa editrice che ha il merito di puntare su una forma narrativa per lo più bistrattata. Quando mi trovo a scrivere racconti sto molto attento alla cura e alla definizione di ogni dettaglio, sono piccole perle che devi cercare di lucidare alla perfezione.

Collabori con la pagina Cultura de Il Mattino e sull’HuffPost curi la rubrica “Nel giardino delle parole“. Come giudichi il giornalismo culturale italiano? C’è spazio per i giovani?

E’ un settore spinoso e altamente competitivo dove è davvero difficile farsi largo e riuscire a fare in modo che il proprio nome si ritagli un piccolo spazio accanto ai soliti noti. Ho dato vita alla mia rubrica sull’HuffPost nel dicembre del 2017, il 22 dicembre, giorno del compleanno di mia madre, e ho iniziato a collaborare con Il Mattino a ottobre 2018. A che punto sono? Solo all’inizio!

Il tuo sito è http://www.emilianoreali.it, hai un canale diretto con i tuoi giovani lettori? Ricevi molta posta?

Sono in contatto coi lettori, giovani e meno giovani, attraverso i canali social (Facebook, Instagram, Twitter) e devo dire che le loro lettere, i loro commenti, i post dove mi taggano mi riempiono davvero di riconoscenza per questo lavoro splendido che ho la fortuna di fare. Ultimamente mi stanno sommergendo di loro foto con “Il seme della speranza” e io li chiamo affettuosamente i miei semini.

Cosa stai leggendo in questi giorni, quali sono i tuoi libri sul comodino?

Leggo “Fiori senza destino” (Sem) di Francesca Maccani e “L’educazione come vita” di Georg Simmel, opera curata da Alessandra Peluso per Mimesis edizioni. Poi sul comodino mi aspettano “Biografia della fame” (Voland) di Amélie Nothomb, “Lamento di Portnoy” (Einaudi) di Philip Roth e “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” (Guanda) di Luis Sepulveda.

Bene, penso sia tutto, chiuderei questa bella intervista con un’ultima domanda: mi piacerebbe conoscere i tuoi progetti futuri di scrittura.

Ho due nuovi romanzi pronti, devo trovare un nuovo agente e la casa editrice giusta per loro!

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