:: Wajib – Invito al matrimonio di Annemarie Jacir a cura di Giulietta Iannone

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Wajib

Un padre e un figlio si incontrano e si confrontano nel nuovo film di Annemarie Jacir, Wajib – Invito al matrimonio, primo suo film in programmazione nelle sale italiane. Due generazioni, due percorsi di vita, due mondi se vogliamo differenti e anche conflittuali, che trovano nei sentimenti e nell’amore che lega padre e figlio l’unico terreno in cui ciò che divide si appiana, scompare quasi. La scena finale è molto catartica e piena di pace e di speranza, la stessa che sembra consegnarci questo film interamente ambientato a Nazareth, ai giorni nostri.
Un film palestinese, una produzione palestinese e internazionale, vincitore di numerosi premi, e sebbene non eravamo in molti nella sala, terminata la proiezione, ho sentito solo voci di apprezzamento.
Ma andiamo con ordine. Protagonisti di questa pellicola sono il padre Abu Shadi (Mohammad Bakri) e il figlio Shadi (Saleh Bakri), padre e figlio anche nella vita, due uomini che si trovano uniti da una tradizione antica e radicata nei territori palestinesi, consegnare personalmente di casa in casa gli inviti al matrimonio (tradizionale) di Amal (Maria Zreik), rispettivamente figlia e sorella dei protagonisti.
A bordo di una vecchia Volvo percorrono in lungo e in largo una Nazareth ben poco turistica o agiografica (immondizia non raccolta, teli di plastica variopinti e di poco prezzo per nascondere ciò che gli ospiti non devono vedere, due soldati israeliani (e due soldatesse armate) a accennare (molto discretamente) il clima di occupazione militare presente).
Il Natale è vicino, si percepisce anche solo velatamente. Cristiani e musulmani convivono in pace, intrecciano relazioni di amicizia e di buon vicinato, si accolgono nelle loro case, non lussuose ma dignitose e accoglienti. Le strade sono antiche e moderne, caotiche e silenziose, i contrasti sono sfumati e ci portano in questa antichissima città da spettatori (ospiti). Non ci sono segni visibili di bombardamenti o rovine, l’oppressione e solo accennata, sfumata nei discorsi, che padre e figlio intrecciano sul cammino.
Solo quando il padre vuole invitare al matrimonio un israeliano, (percepito dal figlio come un pericolo), i toni si alzano e lo scontro verbale, ma sempre educato e rispettoso, ci porta alla consapevolezza di una sorta di frattura tra i due.
Il padre rappresenta il passato: è un vecchio professore, colto e nello stesso tempo convenzionale (anche nella scelta della musica da suonare al matrimonio), non immune da un certo fatalismo, e coraggio, e resistenza. Ha scelto di restare, di confrontarsi con una realtà che non accetta completamente, ma sopporta.
Il figlio è una proiezione del nuovo: ritorna dall’ estero, vive in Italia, presumibilmente a Roma dove fa l’architetto, (la diaspora palestinese è un tema importante del film amaramente sottolineato dalle parole di un personaggio che dice che per tornare a Nazareth serve un passaporto europeo), ha una relazione non regolamentata (non vuole rovinare l’amore con il matrimonio), conquista la libertà di portare i capelli lunghi raccolti in uno chignon e di vestirsi con pantaloni rossi e una camicia rosa.
A unirli un abbandono, quello della moglie e madre dei protagonisti, fuggita negli Stati Uniti con un uomo poi diventato il suo nuovo marito (la cui malattia mette in forse la partecipazione di questa donna al matrimonio).
Ecco in breve i tratti salienti di questo film dotato di una sceneggiatura calibrata nei dialoghi. E’ quasi tutto parlato, la lunga conversazione tra padre e figlio è l’ossatura della trama. Gli incontri sono fuggevoli e non danno adito a ritorni, sono tappe, di una sorta di pellegrinaggio che ci porta nel cuore di una città bene o male normale. Le crisi esistenziali dei personaggi non scadono mai in toni eccessivamente drammatici. L’umorismo è sfumato, i toni da commedia controllati. Si sorride, anche se in alcuni punti amaramente.
Wajib – Invito al matrimonio di Annemarie Jacir è un film molto bello, che consiglio, nella misura in cui volete vedere l’altro, con occhi imparziali, il suo spessore umano, le sue fragilità, la sua forza. Un matrimonio è un’ occasione di pace e di felicità, una pausa nello scorrere caotico e noioso della quotidianità. In questo film è un’ occasione di incontro tra più generazioni. Si discute, magari si resta arroccati nelle proprie posizioni e nei propri punti di vista, ma alla fine c’è tempo per sedersi in terrazza e sorseggiare un caffè o fumarsi una sigaretta. Uniti dalla consapevolezza che ci sono cose più importanti che avere torto o ragione.

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