:: Un’intervista con Guillaume Zeller, autore di “La Baraque des prêtres, Dachau, 1938-1945”

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9Guillaume Zeller, giornalista e caporedattore di DirectMatin.fr, è l’autore di “La Baraque des prêtres, Dachau, 1938-1945“, di Éditions Tallandier, ancora inedito in Italia (N.d.i. nel 2016 è stato pubblicato in Italia da Piemme con il titolo di Block 262830, tradotto da Maria Moresco).
Ha gentilmente accettato la nostra intervsita e ci parlerà del suo libro. “La Baraque des prêtres, Dachau, 1938-1945” racconta una storia forse sconosciuta a molti, perduta tra le migliaia di storie di deportazione successe durante il corso della Seconda Guerra Mondiale. I 579 preti, religiosi e seminaristi cattolici, alla venuta del Reich e nell’Europa occupata, furono incarcerati dai nazisti nel campo di concentramento di Dachau (vicino Monaco) tra il 1938 e il 1945. Alcuni sono sopravvissuti, altri sono morti, tanto che il campo di concentramento di Dachau può essere considerato il più grande cimitero di preti cattolici del mondo. Le loro storie di sofferenza, di fede, d’eroismo sono contenute in queste pagine, che spero siano molto presto pubblicate anche in Italia, per i lettori che non leggono in francese.

Buongiorno, Guillaume, benvenuto su Liberi di scrivere e grazie di aver accetatto questa intervista. E’ l’ autore di “La Baraque des prêtres, Dachau, 1938-1945“. Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

Era da qualche anno che lavoravo per una rete televisiva francese e stavo preparando una trasmissione sulla Chiesa Cattolica durante il nazismo. Fu allora che scoprii il personaggio di Mgr von Galen, vescovo di Mïunster, in Germania, che aveva pronunciato un sermone contro i piani di eutanasia di Hitler (il piano T4) dalla sua cattedrale nell’agosto del 1941. Mgr von Galen riuscì a fare indietreggaire Hitler: questo fu eccezionale! E se il vescovo non andò a Dachau, ho scoperto che molti sacerdoti tedeschi ci furono condotti per aver ristampato il sermone di Mgr von Galen. Ed è così che ho scoperto che in totale circa 2700 sacerdoti, soprattutto cattolici, furono deporatti a Dachau. E’ stata questa storia sconosciuta ad avermi appassionato.

Dove e come si è docuementato? Qualcuno l’ha aiutata nelle ricerche?

Ho lavorato in maniera molto classica cercando negli archivi, le bibliografie e le testimonianze. Così, indagando, ho potuto raccogliere una serie di documenti originali, come testimonianze personali dattiloscritte e mai pubblicate, la corrispondenza, alcuni documenti amministrativi. Ho anche raccolto numerosi libri di memorie in francese, inglese, e tedesco. Ci sono anche molti libri in polacco, ma sfortunatamente non ho potuto tradurli tutti. Infine, ho avuto la possibilità di incontrare due superstiti francesi: il gesuita, come il Papa Francesco, padre Gérard Pierre, e Peter Metzger, che è stato seminarista al campo dove è arrivato all’età di 18 anni.

Raggruppati nei “blocchi” speciali che conservavano il nome di “baracche dei preti”, 1034 di loro persero la vita. Ci racconti la storia che l’ha più impressionata.

Senza alcun dubbio, quei momenti eroici, quando i sacerdoti esausti si proposero volontari per lavare, curare, confortare, sostenere i loro compagni laici che stavano morendo in condizioni spaventose, durante la grande epidemia di tifo che colpì il campo a partire dalla fine del 1944. Mentre i malati erano abbandonati da tutti, i sacerdoti si offrirono volontari, con il permesso del loro superiore ecclesiastico. Molti di questi sacerdoti sono morti con i malati dopo aver contratto il tifo, ma hanno dimostrato che i nazisti non avrebbero potuto cancellare la loro umanità. Questi sacerdoti sono dei vincitori, e degli esempi per tutti credenti e non.

Quali furono le ragioni della loro deportazione?

I sacerdoti non sono stati perseguiti perché erano cattolici, ma piuttosto per ragioni politiche. Così, numerosi sacerdoti tedeschi e austriaci sono stati arrestati per la loro opposizione alla politica hitleriana: alcuni ritengono per la loro “resistenza spirituale”. Altri sacerdoti cattolici sono stati espulsi per aver preso parte alla resistenza, sia direttamente con i partigiani nella boscaglia, o perché hanno contribuito a salvare gli ebrei. Questo è il caso di un grande domenicano: padre Giuseppe Girotti, morto a Dachau. Ci fu una importante eccezione: i sacerdoti polacchi. Erano i più numerosi a Dachau e sono loro che hanno sofferto di più. Ora, questi sacerdoti polacchi furono perseguitati dai nazisti proprio perché erano sacerdoti. La SS credevano che essi fossero l’elite, giocando un ruolo molto importante nella società polacca, e quindi dovevano essere eliminati. Si può dire in questo caso che fu una persecuzione antireligiosa.

Quali furono le condizioni di vita di questi sacerdoti nel campo?

Erano atroci quanto quelle dei loro compagni laici: soffrivano la fame, il freddo, le percosse, le epidemie. Avevano paura per tutto il tempo. Eppure i sacerdoti avevano due grandi vantaggi: erano stati raggruppati insieme, permettendo loro di sostenersi a vicenda, e per di più, poterono erigere una cappella che diede loro grande conforto (ma i sacerdoti polacchi non ebbero il diritto di andarci per lungo tempo). Ma se beneficiarono di questi due privilegi, soffrirono anche di persecuzioni particolari: la SS e i Kapos si divertivano a deriderli e bestemmiavano, ma soprattutto furono gli obiettivi specifici di esperimenti medici e di eutanasia.

Come è continuata la loro pratica di fede, la loro vita spirituale, in detenzione?

Malgrado queste condizioni terribili è sorprendente constatare come questi preti siano riusciti a mantenere intatta la loro fede, a praticare i sacramenti, a mantenere la disciplina della Chiesa. Così, i sacerdoti di Dachau celebrarono l’Eucaristia (spesso in clandestinità), confessarono e spesso diedero l’estrema unzione. Ci fu anche un seminarista tedesco Karl Leisner, ordinato da un vescovo francese Gabriel Piguet. Quando possibile, i sacerdoti partecipavano anche a delle conferenze, tenevano lezioni, e prendevano appunti su piccoli notebook vietati dalla SS. Sembra incredibile oggi, ma è anche ciò che gli ha permesso di resistere psicologicamente e non crollare.

Il Vaticano non riuscì a impedire la loro deportazione. La Santa Sede riuscì solo a farli raggruppare a Dachau, ha detto in un’intervista. Come se l’è spiegato?

Questo dimostra che il Vaticano era lontano dall’influenza che ha oggi. Fallirono in effetti settimane di negoziazioni tra il nunzio apostolico a Berlino e le autorità naziste per cercare di raggiungere un accordo. Roma aveva anche chiesto che i religiosi non fossero bruciati nel crematorio, ma questa richiesta fu rifiuatata. Bisogna tornare nel contesto del tempo. Quando è stato firmato l’accordo nel dicembre 1940 la Germania era onnipotente: stava vincendo su molti campi di battaglia e non provava alcuno scrupolo a guardare dall’alto in basso il Papa.

Su decisione di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e di Francesco, 56 sacerdoti morti a Dachau sono stati beatificati. Perché pensa che le loro storie siano ancora sconosciute?

La loro storia è sconosciuta per diverse ragioni. Se si può dire, infatti, che Dachau è “il più grande cimitero di sacerdoti cattolici del mondo”, queste morti furono assorbite nello spaventoso bilancio complessivo di milioni di uomini e donne uccisi nei campi nazisti. Inoltre, le grandi figure religiose morirono nei campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau, come Padre Massimiliano Kolbe, o la carmelitana Edith Stein. Infine, alcuni potrebbero non voler ascoltare le storie dei sacerdoti di Dachau, che non sempre corrispondono a ciò che viene ancora detto circa il comportamento della Chiesa durante la guerra. Si dice spesso che la Chiesa fosse passiva o complice dei regimi totalitari. I sacerdoti di Dachau dimostrano, in modo tragico, che questo non è vero.

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