Benvenuti su Liberi di Scrivere e grazie di aver accettato questa mia intervista. Inizierei con le presentazioni: ognuno si descriva, anche fisicamente.
Lilli: Sono piccola, discretamente in forma, bionda. Sono sposata da moooolto tempo, ho due figli maschi, giovani uomini che vivono uno a Madrid e l’altro a Bolzano e una gatta che invece vive in simbiosi con me. Da anno ho anche una nipotina. Abito a Taino, sul Lago Maggiore, e lavoro a Novara, pendolando un paio d’ore al giorno, che uso per leggere, la mia passione da sempre. Amo il mare, le città, e detesto cordialmente lo sport.
Maurizio: Sono alto, magro, capelli e occhi castani,. Sono sposato, ho un figlio di sedici anni che frequenta le superiori e un cane di nome Luna. Abito a Garlenda, in provincia di Savona, lavoro in quella zona come pediatra di famiglia. Pratico regolarmente vari sport. Mi piacciono mare e i grandi spazi. Odio le metropoli.
Come vi siete conosciuti? Come avete deciso di unire le penne e di iniziare a scrivere romanzi insieme?
Ci siamo incontrati in Rete, e galeotto fu un sito per scrittori esordienti. Un giorno Lilli inviò in lettura un suo giallo, che finì casualmente in mano a Maurizio. A lui piacque, ci vide delle assonanze con il suo stesso modo di scrivere. Così concepì l’idea di un romanzo a quattro mani. All’inizio Lilli disse che no, non se ne parlava nemmeno, la scrittura era un onanismo privato. Poi si convinse. L’incontro di persona avvenne solo a fine della prima stesura del romanzo. Ci eravamo divertiti così tanto che siamo ancora qui…
Come è nato il vostro amore per la scrittura, e per la letteratura in genere?
Lilli: non lo so. Non ho mai pensato di scrivere fino a una decina di anni fa, ma fin da piccola mi sono raccontata storie da sola. Quanto a leggere, mi pare di farlo da sempre. A dieci anni avevo già letto I Promessi Sposi, a quattordici tutto Moravia. Avevo anche già rischiato l’espulsione dall’Istituto di suore in cui mi aveva iscritto mia madre, perché mi trovarono L’amante di Lady Chatterley nella cartella. Non c’è stato un giorno per me senza un libro iniziato.
Maurizio: anch’io leggo da sempre, senza particolari incidenti di percorso. Per quanto riguarda la scrittura, ho sempre saputo che prima o poi avrei scritto un romanzo, Sentivo una sorta di predestinazione, fin dagli anni del liceo. Di fatto non ho impugnato la penna (la testiera, in verità) se non dopo i quarant’anni. Probabilmente mi servivano esperienza di vita e maturità, per dominare le idee e le immagini che la fantasia mi trasmetteva.
Che tipo di lettori siete: compulsavi, selettivi, razionali, sentimentali ? Quale è il libro più bello che avete letto in assoluto, quello che vi ha commosso, segnato, aiutato, sconvolto?
Lilli: io sicuramente compulsiva. Leggo un libro alla volta, fino a qualche anno fa lo leggevo tutto anche se non mi piaceva. Adesso ho fatto mie le regole di Pennac e mi permetto di abbandonare quello che non mi va. Ma leggo qualsiasi genere. Dire un libro solo è veramente difficile. Preferisco concentrarmi sulla seconda parte della domanda. Mi hanno commosso, aiutato, segnato Sabato di Ian McEwann. A un certo punto, ho dovuto interrompere la lettura, guardare il lago e ritrovare la lucidità per continuare. Mi ha sconvolto Sorella mio unico amore, di Joyce Carol Oates, un capolavoro assoluto.
Maurizio: selettivo e razionale, con qualche divagazione compulsiva. Anche a me riesce difficile indicare un solo libro. Molti, in momenti diversi della vita. Fra le mie prime letture, resto affezionato a Il dottor Zivago e a Il Maestro e Margherita. Devo molto a Sephen King, dai suoi classici a On writing.
Quali sono i vostri scrittori preferiti, italiani e stranieri, viventi o no?
Lilli: ti do la mia top five. Jorge Amado, Ian McEwann, Murakami, Stephen King e al primo posto Joyce Carol Oates.
Maurizio: non mi piacciono le classifiche.
Parliamo adesso dell’ultimo libro che avete scritto La cappella dei penitenti grigi un thriller a fondo storico, di respiro internazionale, pubblicato da Nord Editore che ho avuto l’occasione di leggere in anteprima e ho apprezzato per l’originalità, il linguaggio diretto e i personaggi ben poco convenzionali. Come è nata l’idea di scriverlo? Parlatemi di come si è sviluppato il processo creativo?
Come sempre, noi partiamo da un’idea che ci colpisce. Può essere un luogo, una persona, una circostanza. I Penitenti nascono dal nostro incontro con la Camargue e con la città di Aigues-Mortes in particolare, unite a certe strane reticenze che abbiamo incontrato per visitare la famosa Cappella. (Raccontiamo la storia completa di questa nostra esperienza a questo link:
http://www.editricenord.it/editoriali/come_abbiamo_scoperto_il_mistero_dei_penitenti_grigi_2.php)
Un pizzico di trama per accontentare i più curiosi. Raccontatemi il libro ognuno dal suo punto di vista.
Lilli: le strade del caso, complicate e semplici allo stesso tempo, riuniscono nello stesso luogo e nello stesso momento tre personalità diverse. Fabienne, che guarda solo al futuro. Daniele, fermo al passato. Al Squazzoni, l’uomo del qui e adesso, pronto a cogliere ogni occasione. La morte di una giornalista, assassinata in Camargue, vede Fabienne indagata e Daniele casualmente testimone della sua innocenza. Potrebbe finire lì, se non fosse che quel delitto è solo il primo di una serie.
A volte sono gli eventi piccolissimi che portano a scoprire i segreti più inconfessabili. E la cappella dei Penitenti Grigi di segreti ne nasconde molti, nella sua storia quasi millenaria. Tutti reclamano attenzione e giustizia e tutti verranno appagati.
Ora parliamo dell’ambientazione. Come dicevo è un thriller di respiro internazionale: i personaggi si muovono da Parigi a Londra, da Aigues-Mortes al lago di Ginevra. Sono luoghi che conoscete? Come li avete ricostruiti, soprattutto la Camargue con la sua fauna e la sua flora molto peculiare?
Lilli: Conosciamo bene la Camargue, ci siamo stati molte volte. Abbiamo anche affittato una cabane in un mas, tra tori e cavalli, e un’altra volta una casa seicentesca nel centro di Aigues Mortes. Lo stesso vale per Londra e Parigi. Su Ginevra ci siamo affidati a… Google Map.
Maurizio: Mi piace citare anche Casa Ariore, nel cuore verde dell’Oltrepo pavese, luogo natale di mia moglie Simona e mio buen retiro quando ho bisogno di ricaricare le pile e di scrivere lontano da tutto.
Il romanzo ruota intorno ad un ordine caritatevole avvolto nel mistero “I penitenti grigi” che esiste realmente, anche tuttora. Quali sono le sue origini? Come vi siete documentati sui suoi riti, la sua storia?
Agli albori del cristianesimo, il penitente era colui che si presentava alla Chiesa chiedendo l’assoluzione dai peccati. La pena era pubblica e consisteva per lo più nell’interdizione dai luoghi di culto o dall’Eucarestia.
Il termine prese un’altra accezione nel XIII secolo, con i “Penitenti di Assisi”. Così si chiamavano i seguaci di San Francesco, prima di costituirsi in un vero e proprio ordine religioso. Erano uomini e donne comuni che senza prendere i voti si impegnavano alla povertà, all’osservanza stretta del digiuno, alla solidarietà cristiana.
Confraternite simili nacquero e si moltiplicarono fra il XIII e il XV secolo, soprattutto in Italia e in Francia. Dapprima con lo scopo di assistere i moribondi e assicurare loro sepoltura in terra consacrata. Più tardi, per curare i malati e offrire sostegno agli indigenti.
Il penitente indossava un saio, ampio e informe, uguale per tutti. Il colore del saio indicava in quale forma egli avesse deciso di espiare i peccati. Grigio era il colore del lavoro, bianco della purezza, nero della tristezza e della desolazione, blu della consolazione, rosso della carità e dell’amore. In testa portava la cagoule, un cappuccio a punta con due fori per gli occhi, che nascondeva il volto in segno di umiltà (ed evitava contatti troppo stretti con i malati, a tutela della salute). Il cordone, serrato dal triplice nodo francescano, esprimeva l’osservanza della disciplina.
La più antica confraternita di Francia fu quella dei Penitenti Blu di Montpellier, sorta intorno al 1050 con l’intento di garantire i servizi religiosi nel cimitero della città. I Penitenti Grigi di Aiguës Mortes nacquero due secoli dopo, all’ombra del convento francescano voluto da Luigi IX. Intorno al 1350 il loro numero era così cresciuto che i monaci donarono loro un appezzamento di terreno perché potessero costruirvi una cappella.
I Penitenti Grigi prosperarono, stimati e riveriti per i servizi che rendevano alla comunità. Nel 1700 la congregazione raggiunse l’apice della sua crescita: contava più di trecento adepti (fra cui ventiquattro donne) e si trovò a gestire ingenti risorse materiali.
Poi venne la Rivoluzione Francese, e con essa un furore antireligioso che azzerò ogni proprietà e iniziativa. Miracolosamente la confraternita riuscì a sopravvivere, seppure in tono minore.
Le informazioni ci vengono principalmente da un libro: Les Pénitents d’Aigues-Mortes, di cui parliamo al link indicato in precedenza.
Naturalmente i fatti che narrate nel vostro romanzo sono d’invenzione, mi riferisco alle trame all’interno dell’ordine o all’uso fatto della cripta della cappella. Quali sono i fatti reali, storici presenti nel libro? Dove dite che l’ingresso dei nobili nell’ordine fu l’inizio della sua decadenza corrisponde al vero, o è una licenza narrativa?
È vero. Così come è vero che la Torre di Costanza è stata una prigione per le donne ugonotte e che Marie Durand vi fu rinchiusa per 38 anni. Vero è anche l’episodio del Mas de Crottes di cui parliamo all’inizio, cioè l’arresto di diverse donne ugonotte nell’aprile del 1730.
Il romanzo presuppone un lungo lavoro di documentazione. Chi vi ha aiutato nelle ricerche, siete in debito con qualcuno in particolare, magari un “penitente” stesso?
Non abbiamo mai incontrato gli attuali penitenti. Abbiamo saputo che sono ancora fedeli al loro voto di riservatezza. Cogliamo qui l’occasione di scusarci, se la nostra opera creerà loro un qualsiasi disturbo. Siamo in debito con la responsabile dell’Ufficio del Turismo di Aigues-Mortes che ha aperto la Cappella solo per noi in un giorno di Ognissanti.
Oltre ai misteri legati al presente, c’è un mistero del passato legato ai personaggi di Jullian e Isabeau e al loro amore contrastato. Come sono nati questi due personaggi, come si sono sviluppati durante la stesura del libro?
In realtà la storia di Jullian e di Isabeau è stata la prima cosa che abbiamo scritto. Saputo del rituale con cui la confraternita nomina il suo Priore, le visioni immediate sono state due . La prima, un giovane che si sveglia all’alba, indossa il saio penitenziale e corre alla Cappella prima del sorgere del sole. La seconda, una ragazza dal viso arrossato e dai capelli al vento che galoppa a perdifiato nelle paludi di Camargue.
Passato e presente scorrono paralleli, e un punto in comune quasi li unisce: una faida che sembra continuare nei secoli dal 1700 ai giorni nostri, di generazione in generazione. E’ questo il filo rosso del romanzo?
Sì, decisamente. Almeno secondo noi. Poi, da lettori, sappiamo che ciascuno trova delle chiavi personali con cui muoversi all’interno dell’intreccio. .
Quale è il personaggio a cui siete più affezionati? Non vi nascondo che il mio preferito è Maurice Mariau.
Lilli: a un certo punto della stesura mi sono accorta che il mio Virgilio, la mia guida nell’Inferno, era Maurice Mariau. Di lui so tutto, anche quello che non abbiamo scritto, e anche quello che abbiamo dovuto tagliare nell’economia del romanzo.
Maurizio: Al Squazzoni, lo Squaz. Il prototipo di come io non sarò mai (ma di come, forse, avrei voluto essere).
Il personaggio più difficile da delineare, quello per cui avete più discusso, su cui più vi siete confrontati?
Fabienne e Daniele. Fabienne, è una donna molto complicata. Daniele è forse l’antieroe, figura atipica in un romanzo d’avventure. Ci siamo confrontati molto su di loro. Entrambi siamo molto esigenti sulla quadratura psicologica dei protagonisti e ognuno vedeva le cose a modo suo. Cioè, Lilli da donna e Maurizio da uomo. I lettori ci diranno se abbiamo quadrato il cerchio. Tu che ne pensi?
Ho apprezzato molto il linguaggio diretto, attuale, che usate per nulla edulcorato. Ho notato anche una certa durezza: i personaggi “cattivi” esprimono tramite pensieri e parole la loro negatività, la loro meschinità. Come li avete ideati? Ci sono mandanti ed esecutori, c’è chi muove le fila e chi è solo uno strumento del male?
Il male prospera su tre basi – arroganza, indifferenza e stupidità – e ha una pietra angolare: l’avidità, che può essere di soldi o di potere. I nostri personaggi li abbiamo ideati guardandoci attorno. Leggendo i giornali e in particolare i testi delle famigerate intercettazioni ambientali, ci diciamo tra noi che la nostra fantasia non arriverebbe mai a tanto. Certamente ci sono mandanti ed esecutori, ma anche questi ultimi sono mossi dall’avidità, dal bisogno disperato di avere.
Bene è tutto, grazie della vostra disponibilità. Mi piacerebbe chiudere l’intervista con un’ ultima domanda: state lavorando ad un nuovo romanzo? Rivedremo Daniele e Fabienne e il personaggio di Maurice Mariau?
Stiamo lavorando da alcuni mesi a un nuovo progetto. Ci saranno sicuramente Daniele e Fabienne, Al Squazzoni e Patrick Delamotte. Per quanto riguarda Maurice Mariau, ancora non sappiamo.
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