:: Recensione di Vicolo del Precipizio di Remo Bassini a cura di Giulietta Iannone

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Ecco il foglio bianco, solo il titolo sporca la pagina e io a riflettere su come iniziare la recensione di Vicolo del Precipizio di Remo Bassini. Di solito non mi mancano le parole, anzi si affollano nella mia mente e mi tocca ordinarle, disciplinarle, privarle in un certo modo del loro anarchico fluire. Esercitare insomma il mestiere di scrivere, mestiere che Bassini fa così bene, sa raccontare, sa partire da un dettaglio e costruirci una storia, sa partire da un piatto tipico toscano, da una strada fatta di scalini, dallo sguardo ombroso di un personaggio e creare parole che diventano una musica, che vanno scritte così e non in un’altra maniera. Vicolo del Precipizio è un libro duro, in certe parti anche cattivo decisamente non afflitto da alcuna sorta di autocompiacimento. Il personaggio principale, il soggetto centrale intorno a cui ruota, sgorgando come da una sorgente avvelenata, torbida, la storia è un uomo di quasi cinquant’anni, un uomo che non si ama, come non ama il suo lavoro di scrittore impuro, di ghostwriter di scrittori che hanno bisogno del suo talento per sopravvivere in una giungla letteraria che non fa sconti per nessuno, che divora, fagocita avidamente chi non accetta le regole del gioco. Tiziano, questo è il suo nome, dopo aver intrapreso la nobile professione scrivendo giovanissimo un libro di racconti I racconti della vecchia osteria dando voce alla tradizione della sua terra, ai canti dei contadini, alla memoria di gente umile ma piena di dignità e moralità, ottenendo anche un discreto successo, ha scelto di dare il suo talento, rifuggendo il successo che lui giudica privo di senso e inutile, in cambio di un ben remunerato ruolo di comprimario oscuro, di nascosto demiurgo della fortuna letteraria altrui. Forse grazie al suo carattere schivo, al fatto che balbetta quando troppo emozionato, al suo umbratile caratteraccio toscano, è uno dei migliori nel suo lavoro, rispettato dal suo capo, un importante e influente agente letterario, che in fondo ha paura di lui, lo teme per il suo modo disinvolto di svelare i segreti, di parlare troppo. Quando un ghost ha come prima regola il silenzio, l’auto eliminazione, lo scomparire sullo sfondo per lasciare tutta la luce allo scrittore famoso, a chi deve rifulgere in pubblico. Ma Tiziano è stanco, basterà un’estate, due mesi, luglio e agosto, in un’afosa Torino che lo costringe a scrivere sul terrazzino, o a farsi rinfrescare i piedi nudi da un ventilatore, e messi da parte i lavori altrui scriverà finalmente per sé, perché a volte per un libro basta un lettore solo, e scrivere è terapeutico, anche se fa soffrire, quando si scava troppo in fondo. Ma un impulso autodistruttivo ha risvegliato l’antica fiamma e ora deve scrivere di sua madre, di suo padre, di suo nonno comunista e mangiapreti, delle donne della sua vita Magda, Cristina, della sua seconda madre Mimma, della sfortunata Andreina, degli amici. Deve fare pace con i suoi fantasmi, con suo padre per cui ha abbandonato Cortona, e solo allora potrà tornare a casa, riacquistando se stesso. Sullo sfondo il personaggio di Alice, la dirimpettaia curiosa, l’innamorata, il pubblico silenzioso che assiste alla sua arte di comporre, la donna che capisce di essere stata rifiutata ancora prima di essersi offerta, che non può far altro che cercare di dimenticare. Vicolo del precipizio è un libro così, con il fascino antico della novella raccontata, tramandata oralmente di bocca in bocca, tante schegge di attimi, racconti che si incastrano tra loro come i tasselli di un puzzle, tanti personaggi minori, che per un attimo hanno tutta la luce su di sé e diventano protagonisti: il sagrestano vendicativo, il prete con moglie, la Nina, il Lucarone, Mariano e i suoi maglioni verdi, la Clara, è strano sembra doveroso nominarli tutti fino all’agente letterario, a Lucetta, a Giovanni. Tutti coralmente impegnati a recitare la loro parte nel mondo creato dall’autore. Tanti personaggi da commedia dell’arte e che Bassini abile capocomico sa far comparire e scomparire, lasciando echi dietro di sé, perché la scrittura è un gioco di memoria, e i personaggi anche quelli totalmente inventati sono veri, nascono da verità profonde per lo meno. E uno scrittore impara questo prima ancora di scrivere su un foglio bianco. Impara l’umiltà, la disciplina, la sofferenza e perché no impara che una storia una volta scritta non è più sua, ma diventerà vita nella mente dei lettori che la leggeranno.

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