Benvenuto Marco su Liberidiscrivere e grazie per aver accettato la mia intervista. Come tradizione la prima domanda è dedicata alle presentazioni. Sei nato a Firenze nel 1957, vivi in Chianti, sei uno scrittore. Vuoi aggiungere qualcosa, magari qualche lato del tuo vissuto più privato?
Coltivo peperoncini…
Un ricordo di Marco bambino. Portavi i pantaloni corti e giocavi agli indiani e ai cow boy o eri un bambino introspettivo e melanconico con il naso sempre incollato sui libri?
Ero solitario, pensoso e malinconico… e giocavo ai soldatini inventando storie infinite.
Hai esordito nel 1999 con L’inquilino edito da Guanda. Parlaci dei tuoi inizi, della tua strada verso la pubblicazione.
I miei inizi di scribacchino (parlo del momento in cui mi sono detto, con una certa ansia, che volevo scrivere “sul serio”) risalgono al lontano 1981. Ho riempito gli armadi di pagine scritte, a mano e al computer, e ho collezionato lettere di rifiuto fino al ’99, anno in cui mi dissi che non avrei fatto più nulla per cercare di pubblicare. Avrei scritto per sempre, ma senza più propormi agli editori. E proprio in quelle settimane una catena di lettori ha portato L’inquilino sul tavolo di Luigi Brioshi (attualmente direttore del gruppo MauriSpagnol, allora direttore di Guanda), il quale mi telefonò dicendomi che voleva pubblicarlo. Morale: se vuoi qualcosa, non cercarla.
C’è qualcuno che ti ha particolarmente aiutato anche solo con consigli e incoraggiamenti all’inizio della tua carriera che vuoi ringraziare?
Sono molti. Tutti gli amici che riempivo di romanzi e racconti rilegati con le molle, e i molti lettori sconosciuti che abbordavo in chat per riempirli di cosa da leggere. Mi hanno incoraggiato con i loro commenti e anche con critiche negative (giuste) capaci di farmi sanguinare ma non di fermare la mia voglia di scrivere.
Poi è nato Il commissario Bordelli che ha dato il via alla serie poliziesca ambientata nella Firenze degli anni sessanta. Perché il passato, e perché gli anni sessanta? Erano anni più a misura d’uomo, più naif?
In realtà il commissario è nato prima dell’inquilino, in un pomeriggio in cui mi dissi: “Ho scritto in mille modi e in mille direzioni, ma non ho mai scritto un poliziesco. Vediamo cosa salta fuori se ci provo.” Non sono un appassionato del genere poliziesco in sé, e credo infatti che i romanzi con il commissario Bordelli sono più romanzi che gialli. Gli anni Sessanta sono venuti da soli, senza che lo avessi pensato prima. E mi è piaciuto subito l’idea di ricostruire quel mondo, lontano e vicino al tempo stesso. Un mondo con un’altra mentalità, con altri ritmi, altri rumori, che ricordo assai bene ma attraverso lo sguardo del bambino che ero allora.
Nel 2009 hai vinto il premio Scerbanenco con Morte a Firenze. Un premio prestigioso per gli scrittori noir. E’ giunto inaspettato o ci contavi?
Per quanto riguarda me, tutti i premi giungono inaspettati.
Dopo il premio Scerbanenco è di pochi giorni fa la notizia che ti sei aggiudicato anche il premio Camaiore 2010. Un commento e una promessa.
Mi hanno dato anche il Premio Rieti, pensa un po’. Si stanno accanendo con me, e ne sono contento. La promessa: cercherò come sempre di non scrivere romanzi troppo brutti.
Tuo ultimo libro è Un tipo tranquillo edito da Guanda. Protagonista il ragioniere Mario Rossi, un uomo inutile, figlio in un certo senso de L’uomo senza qualità di Musil. Arrivato alla pensione si sente soffocare dalla rabbia e dall’odio verso la famiglia, il mondo. Quanti tipi tranquilli ci sono in giro, quanto sono pericolosi?
L’uomo è davvero molto complesso, e non credo che si possano creare delle categorie esatte sotto le quali raggruppare più individui. I tipi tranquilli sono tutti diversi uno dall’altro. Il motivo della loro tranquillità e il rapporto che hanno con il proprio carattere non sarà mail lo stesso. Raccontando Mario Rossi non pensavo a una tipologia di uomo, ma a un individuo unico.
Quanto l’ambientazione influisce sulla creazione dei tuoi personaggi? Ti è mai capitato di cambiare un personaggio per adattarlo agli echi e alle sensazioni che un luogo ti ispira?
Gli scrittori sono degli avvoltoi che si cibano di ogni cosa: storie vere, film, libri, televisione, sogni, ricordi personali, immaginazioni… tutto può servire, prima o poi. Dico spesso che mentre scrivo non ho mai la sensazione di inventare, ma mi sembra di scoprire la storia via via che la scrivo, come se esistesse già e qualcuno me la srotolasse davanti. Oppure come se dissotterrassi una scultura antica. Ma ugualmente, in quella storia già scritta che io ho il privilegio di raccontare, ci si infila spesso qualcosa di attuale, di appena vissuto. Questa cosa mi piace molto.
Proust assaggiando una madeleine si sentiva travolto dai ricordi dell’infanzia. Quale senso evoca di più in te la memoria e la creatività: il gusto, il tatto, l’odorato, la vista?
Penso che gli odori siano la più veloce macchina del tempo.
Parliamo del tuo processo di scrittura. Come passi dall’idea imbastita ancora solo nella mente alla prima stesura del romanzo. Sei un perfezionista, rivedi molte volte il testo prima di considerarlo la stesura definitiva? C&r
squo;è qualcuno a cui fai leggere i tuoi libri e senza il suo ok non procedi?
In parte ho riposto poco sopra. Non progetto nulla, mi capita di immaginare che dietro un’immagine, o una faccia, o una situazione, che per un po’ di tempo mi ossessiona, ci sia una storia da scoprire. E mi lancio a scrivere sperando di non essermi sbagliato, di non aver scambiato per una storia una mia insofferenza, uno sfogo personale. Rileggo e correggo molto, e se fosse per me non ci sarebbe mai una stesura definitiva. Forse è insicurezza. Ci sono alcune persone a cui tocca leggere le cose appena sfornate, e ascolto con molta attenzioni i loro pareri.
Marco Vichi e la critica letteraria. Rapporto di amore-odio, necessario, conflittuale? Se un recensore serio stroncasse un tuo lavoro come reagiresti? Leggi tutto quello che si scrive su di te?
Mi è successo più di una volta di avere stroncature, e devo dire che fa più male una recensione tiepida.
Cosa ami leggere di più nel tuo tempo libero? So che sei un grande appassionato di Beppe Fenoglio e di John Fante. Quali altri autori leggi, Pavese, Bassani, Pratolini? Cosa stai leggendo in questo momento?
Dei tre che citi insieme, solo Bassani. Leggo i libri più diversi, anche di storia, di poesia, di filosofia. Adesso sto leggendo il Viaggio di Celine, forse un po’ in ritardo. Ma ci sono così tanti libri che vorrei leggere… i ritardi sono inevitabili. In fondo è meglio così, ho ancora moltissimi libri da scoprire.
Nel panorama letterario italiano c’è un esordiente che ti ha particolarmente colpito per originalità , contenuti, coraggio?
Ce ne sono diversi, fra i quali due giovani donne, Laura Del Lama e Sara Falli.
Marco Vichi e il teatro. Hai mai pensato di fare l’attore?
Sono ciò che di più lontano si possa immaginare da un attore. Sto bene nel sottoscala.
Morte a Firenze avrà un seguito? Puoi anticiparci qualcosa?
Ci sarà un seguito, ma non posso anticipare nulla… anche io per adesso ne so poco.
Progetti per il futuro, anche non legati alla scrittura?
A parte i romanzi mi piacerebbe fare cinema, cioè lo sceneggiatore. Ci sto provando. E mi piace molto scrivere testi per canzoni. L’esperienza di Nessuna Pietà (il CD+libro uscito per Magazzini Salani) è stata magnifica.
Tag: Giulietta Iannone, Marco Vichi
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