Attualmente insegna all’Università di Lleida ed è membro della sezione filologica dell’Institut de Estudis Catalans. In che misura la sua terra la Catalogna ha influenzato il suo lavoro letterario.
Dicono che la patria dello scrittore sia la sua lingua. Beh, sono d’accordo. Il modo di guardare al mondo, di pensarlo, di sentirlo, di interpretarlo, dipende unicamente da uno strumento: la lingua. E da mille intenzioni dello spirito: dalla capacità di solitudine che presuppone la scrittura, dalla conoscenza culturale della propria tradizione e di altre tradizioni, dal contatto con i classici. Ma sempre, sempre, attraverso la mediazione della lingua. Da questo punto di vista, è determinante il fatto di essere nato in Catalogna e dunque, con una lingua, il catalano, che mi è stata regalata da mia madre, da mio padre, dal contesto in cui sono cresciuto. Anche se a quel tempo era una lingua perseguitata. (Si immagina se le proibissero di parlare in italiano nel suo Paese?). A parte questo, essere nato qui o là influisce su tutti gli scrittori.
Ha lavorato nella sua carriera a parecchie sceneggiature televisive e cinematografiche. La letteratura e il cinema sono due arti in un certo senso complementari e parallele. In quale delle due riesce a manifestare più nitida la sua voce?
Con la letteratura. Sono io solo davanti al compromesso con il linguaggio. Io solo con i personaggi che nascono dal mio lavoro, con la loro immaginazione e le loro aspirazioni. Nel lavoro cinematografico, per sentirmi come il protagonista dovrei essere sceneggiatore e regista assieme. Allora sì che sarebbe una cosa paragonabile. Questo non vuol dire che non mi diverta molto facendo sceneggiature per il cinema o la televisione. Una cosa non esclude l’altra. E mi ha aiutato a comprare tempo per poterlo dedicare a scrivere letteratura.
Come si è avvicinato alla scrittura? Ha esordito con due raccolte di racconti Faules de mal desar nel 1974 e Toquen a morts 1977. E’stato un esordio difficile, sofferto o un’esperienza tutto sommato positiva?
Ho iniziato a scrivere perché mi piace molto leggere. Scrivere è un modo di continuare a leggere. Ho iniziato a scrivere racconti brevi e l’ho fatto a lungo. Dopo molti anni si sono concretizzate queste due raccolte: sapevo che era esercizio, esercizio, esercizio; perché creare mondi è molto difficile; chiedetelo a Dio.
Quali scrittori ha più amato nella sua giovinezza e quali l’hanno più influenzata nella sua maturità?
Uf! Da ragazzino, Emilio Salgari, Karl May, Zan Grey, Jules Verne e cose così: avventure. Dopo, visto che a casa c’erano molti libri, ho iniziato a interessarmi al romanzo contemporaneo catalano ed europeo. E più tardi sono entrato nel secolo XIX. E ancora più tardi, sono andato verso i classici medievali e greci e latini. Cosa ha influito di più? Tutte le letture hanno influito. Nel bene e nel male. E ho alcune perle personali: nella letteratura italiana, per esempio, ho una passione speciale per il romanzo di Ferrara: non so perché, ma mi attrae Bassani. E mi piace anche Lampedusa. Ma dove ho navigato molto e con grande piacere è tra Petrarca e Dante.
Nel 1978 pubblica il suo primo romanzo, Galceran, l’heroi de la guerra negra sono passati molti anni da allora; in che misura è cambiato il suo stile, il suo modo di intendere la letteratura?
Questo romanzo mi ha insegnato una cosa: che se volevo attrarre il lettore, dovevo imparare a piangere con il personaggio. Una lezione che cerco di non dimenticare mai.
La sua opera è in un certo senso permeata da forti interrogativi sulla vita, sul valore dell’arte, sulle esigenze più intime dell’animo umano. Nonostante parli di temi molto seri, usa un linguaggio soffuso di poesia, nell’intimo si sente un poeta?
Sono poeta ma non scrivo poesia: la leggo. Credo che tutto sia legato. Vivo della musica e della poesia che fanno gli altri, che mi aiutano a scrivere una prosa, dei mondi e dei personaggi che cerco di tirar fuori dal profondo dell’anima.
Nel 1991 pubblica Senyoria, edito in Italia da laNuovafrontiera, un romanzo forte, controverso, una metafora della corruzione legata a poteri politici opprimenti e coercitivi. Con quest’opera voleva denunciare i mali attuali della società?
Sì, proprio così. Oggi la corruzione è presente in tutti gli strati sociali. Pensavo all’oggi ma il romanzo, tutto solo, si è trasferito alla fine del XVIII secolo.
Con L’ombra de l’eunuc tratta un periodo molto delicato della storia della Spagna, la fine del franchismo, in che misura la sua generazione ha metabolizzato questo periodo?
Beh: molte persone della mia generazione e un po’ più grandi di me hanno rischiato la vita nella lotta contro il franchismo. E in un modo o nell’altro, chi più chi meno, tutti hanno partecipato. Tutti quelli che non erano legati al franchismo, ovviamente. L’ombra de l’eunuc però è più di questo. È la storia di una persona che ha vissuto quel momento con grande intensità e che poi deve provare a rifarsi una vita.
In una sua opera affronta il tema della storia come un resoconto scritto dai vincitori, e i perdenti, i deboli, gli ultimi non hanno modo di far sentire la propria voce?
Sì. La storia la scrivono i vincitori. In Le voci del fiume questo è uno dei temi principali.
A che opera sta lavorando attualmente?
Sto facendo una cosa che credo sia un romanzo, ma neppure io so cosa dire. Mi è impossibile spiegarlo.
Quando sarà possibile leggere in versione italiana L’ombra de l’eunuc?
Questo dipende dalla casa editrice laNuovafrontiera. Immagino che non tarderanno molto. Ho voglia che arrivi quel momento! Sono molto contento che una casa editrice come La Nuova Frontiera creda nella mia letteratura.
Avrà modo di venire in Italia per conferenze, promozione dei suoi libri, incontri a livello universitario? Ci sono progetti in merito?
In questo momento l’unico impegno sicuro è ai primi di maggio 2010, all’università di Milano. Purtroppo non ho molto tempo per fare viaggi, cosa che mi piacerebbe molto. Di fatto, sono venuto diverse volte in Italia; il rapporto con i lettori italiani è sempre stato stimolante.
Tag: Giulietta Iannone, Jaume Cabré
30 ottobre 2009 alle 8:23 |
Interessante… un’intervista che insegna essere umili e non smettere mai di imparare!
ciao