Dopo l’Africa e la Cina, Luigi Bianchi, ormai tenente colonnello, comandante del Gruppo di Artiglieria da Montagna, partecipa alla Prima Guerra Mondiale nelle trincee del Carso. Italiani e Austriaci si fronteggiano in una guerra logorante e sanguinosa. Luigi Bianchi ormai cinquantenne e amareggiato non cerca più la novità o l’amore per l’avventura ma medita sull’inutilità della guerra, sul sacrificio di tanti giovani soldati piagati dal freddo, dalla paura, dalla fatica, dalle malattie. Tra atti di coraggio e tentativi di diserzione scoprire che il tenente colonnello nemico, posizionato oltre la trincea, è un vecchio amico conosciuto ai tempi di Cina, apre una speranza, e così nell’inverno più freddo che si può immaginare, quello del 1916, iniziano una fitta ingegnosa corrispondenza contro ogni regolamento, rischiando la corte marziale. Ma tutto si fa per salvare giovani vite. Poi un morto attira la sua attenzione, non è una vittima accidentale della guerra ma la vittima di un vero e orrendo delitto, perpretato per oscuri motivi e così riprende a indagare…
Aveva smesso di nevicare ma non per questo faceva meno freddo.
Avevano trovato rifugio in una grotta carsica poco distante dalle trincee.
Avvolto nel suo pastrano di pelliccia, per non congelare, il tenente colonnello Luigi Bianchi tracciava su una mappa alcune linee guida alla luce di una lampada da trincea d’ottone.
Il suo attendente, un giovane ufficiale emiliano dalla battuta sempre pronta e dalla risata contagiosa, gli stava preparando del te caldo da un fornelletto a legna, versandolo in una gavetta d’alluminio in dotazione al Gruppo di Artiglieria da Montagna.
Il tenente colonnello Bianchi ringraziò e con le dita intorpidite dal freddo si avvicinò alle labbra la gavetta fumante e sorseggiò il té.
Tornò con la memoria ad altri té sorseggiati in terre esotiche e lontanissime da lì. Forse più buoni e aromatici ma non altrettanto confortanti come quello. Pensò a sua moglie Laura, che ad Alessandria cresceva da sola la loro figlia Annetta. Pensò a Mei, fuggevole ricordo di un tempo lontano in cui era un giovane tenente e credeva ancora negli alti ideali della patria, del coraggio, degli atti eroici, della avventura per l’avventura.
Era un militare di carriera, aveva scelto quella vita, non come molti ragazzi mandati al fronte al compiere della maggiore età, impreparati, spaventati, non usi a sopportare privazioni, scoraggiamenti, insicurezze. Era stato anche lui giovane, una vita fa, aveva visto con altri occhi quegli scenari desolati che erano le zone di guerra.
Ora era cambiato, qualcuno direbbe invecchiato, qualcosa gli si era incrinato dentro, aveva visto troppi morti del suo schieramento e di quello avversario, giovani vite falcidiate da ordini insensati.
“Presto riprenderà a nevicare” disse piano e l’attendente annuì meditabondo.
“E’ quasi Natale, non le manca la famiglia?”
“I nostri uomini ora sono la nostra famiglia, cerchiamo di farne tornare il più possibile a casa dalle loro madri e dalle loro mogli, sono stanco degli ordini insensati che riceviamo dal comando, quasi che i soldati fossero formiche” disse e il tenente Giacomo Melchiorri scosse la testa cupo.
In uscita a Natale…

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