:: Joanna Rakoff, Un anno con Salinger a cura di Giulietta Iannone

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Credo che Salinger sia l’incubo di tutti i recensori, giornalisti, operatori culturali. La sua riservatezza è leggendaria, e parte integrante del suo sfuggente mito. Un autore che non concede interviste, non risponde alle lettere dei fan, non appare in radio o tv, un autore che lascia nel vago dove viva, risieda o anche solo la mattina prenda il caffè al bar, un autore che fa sfumare un contratto editoriale perché l’editore ha avuto l’ardire di parlare con un giornale, vivendo ciò come un tradimento, lascia dietro di sé uno spazio bianco, che per pudore sono ben pochi a cercare di riempire.
Si ha quasi paura di disturbare, di infrangere una sacralità tutta laica fatta di rispetto, educazione, timidezza. Ma l’amore stravolge questi canoni, ci autorizza a fare cose che la ragione ci suggerisce siano proibite. E così fa Joanna Rakoff parlandoci di Salinger nel suo romanzo autobiografico, Un anno con Salinger, edito da Neri Pozza e tradotto (con grande sensibilità) da Martina Testa.
I motivi che spinsero Salinger a difendere la sua privacy con tanto accanimento, quasi con ferocia, vanno probabilmente ricercati in un placido desiderio di calma e tranquillità. Continuare a scrivere senza più pubblicare più che una forma di autismo letterario sicuramente si ricollega anche a questo. Scansare, con una certa eleganza e un po’ di durezza, un carico emotivo che in un certo modo non si sentiva in grado di sopportare. Delegando. In questo caso delega per un anno il fardello di leggere le lettere a lui indirizzate dai fan di tutto il mondo (non solo americani) a una giovane (oggi si direbbe stagista, allora si diceva assistente, sebbene il padre della Rakoff fosse certo che sua figlia svolgesse i compiti di una segretaria).
Joanna Rakoff prese molto seriamente questo incarico, arrivando a disattendere le ferree disposizioni a lei impartite (di scrivere impersonali lettere standard di educato rifiuto) e non per insensibilità. All’Agenzia sapevano che era un compito sovrumano. Lo sarebbe stato per Salinger, figurarsi per una ragazza di poco più di vent’anni.
Salinger non aveva necessità economiche, Il giovane Holden stava immobile come una pietra miliare inscalfibile e remota. Chi scrive un’opera così può anche metaforicamente spezzare la penna e non scrivere più niente. Neanche una riga. Ma non certo Salinger. Per alcuni scrivere è un’esigenza primaria, come bere, mangiare, dormire. Ma non lo è il pubblicare. Più che una mancanza di desiderio di confronto con il pubblico dei lettori (Salinger era adorato, ogni lettera a lui inviata lo testimoniava) si può ascrivere questo comportamento a qualcosa di più delicato, impalpabile, nobile. A un eccesso di sensibilità, più che di indifferenza.
Dicevo che la Rakoff in questo libro ci parla di Salinger, e sicuramente lo fa in modo indiretto, ellittico, riflesso forse l’unico modo adatto per parlare di questo scrittore. Tale e tanta è la tensione emotiva che riesce a trasmettere. Ma soprattutto ci parla di sé, della giovane ragazza che era quando entrò in punta di piedi, quasi dalla porta di servizio, in una delle più antiche e prestigiose agenzie letterarie di New York (la Harold Hober Associates, 425 Madison Avenue, fondata nel 1929, curatrice del J.D. Salinger Estate, di cui la Rakoff non fa mai il nome limitandosi a chiamarla l’Agenzia, come se fosse l’unica).
E ci parla di libri, di scrittura, del mondo letterario della seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso. Di agenti, editor, reading di David Foster Wallace, di editori che tengono in cantina casse di prove di stampa, di riviste letterarie, di quando Winona Ryder comprò una lettera di Salinger a un’asta e gliela inviò per posta, tanto sapeva quanto non amasse avere la sua corrispondenza in giro. Non solo aneddoti, pettegolezzi, voci di corridoio, più che altro il racconto appassionato di un mondo rarefatto e composito, con leggi e regole proprie, a suo modo implacabili, visto con gli occhi luminosi di una ragazza che scopre quasi con un sussulto di incredulità che la Letteratura, da sempre da lei adorata, ha anche derive più prosaiche: che ci sono contratti, clausole, scambi di denaro.
Esatto, è il denaro la cosa che sembra più sorprenderla, come se scalfisse la purezza di un ideale (è una scrittrice che sogna di vivere di poesia), pur non riuscendoci fino in fondo. Lei che vive in un appartamento senza lavello e senza riscaldamento (deve aprire il forno) e mangia quando può, centellinando persino un caffè, dopo che il padre ha smesso di pagare i suoi conti (bene, ora hai un lavoro) svelandole di aver richiesto un prestito d’onore per i suoi studi, falsificando la sua firma, prestito che ora deve ripagare a rate.
Non aspettatevi di scoprire chissà quale retroscena scabroso, quale verità inconfessata sulla vita di Salinger. Non svela fatti, nomi, date. Questa è più che altro la cronaca di un amore letterario nato in maniera insolita e imprevista. L’anatomia di una perdita, come la stessa autrice definisce tutti i libri di Jerry (ormai la confidenza è tale che si può permettere di chiamarlo così). E se questo non fosse chiaro all’inizio, sicuramente è evidente nel capitolo finale, con la forza di un’epifania.
La Rakoff parlò al telefono con Salinger, persino lo incontrò una volta quando lui si recò in Agenzia. Ormai era piuttosto anziano, debole d’udito, timido, paziente, disponibile, (io me lo immagino anche un po’ ingobbito, le persone molto alte di solito invecchiando lo diventano) e la Rakoff imparò ad amarlo tramite i suoi libri, non letti da lei ma dai suoi fan. Fu infatti leggendo le lettere che Salinger riceveva che scoprì la grandezza di questo autore, il cui talento maggiore era spingere, molto socraticamente, gli altri a parlare di sé.
La Rakoff non aveva mai letto niente di Salinger prima di mettere piede nell’Agenzia. E forse non è necessario aver letto Il giovane Holden, 9 Racconti, Franny e Zooey, Alzate l’architrave, carpentieri per leggere questo libro. Ma dopo averlo letto non è escluso che proviate l’irrefrenabile desiderio di leggere questi libri. O rileggerli.
E se qualcuno rimarrà deluso, aspettandosi di conoscere di Salinger molto di più, non resta che ricordagli che di lui restano sempre i suoi libri già pubblicati, e presto tutti gli inediti che verranno dati alle stampe nei prossimi anni. La Rakoff a suo modo ha scritto una lunga lettera a Salinger, simile alle tante che lesse in quel fatidico anno e ancora si pente di non avere salvato. E forse questa consapevolezza è lo spirito giusto per affrontare questo memoir, questo tributo postumo, fatto per dirgli: hai visto poi alla fine sono riuscita a pubblicare le mie poesie, a diventare una scrittrice anche io.

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