Eravamo figli della classe media di un paese occidentale medio, due generazioni dopo una guerra vinta, una generazione dopo una rivoluzione fallita.
Mehdi Faber, chi è? Un orfano magrebino sballottato di famiglia in famiglia fino a giungere a Mornay, città fittizia della provincia francese? Un eroe, un fantasma, un santo, una ossessione, un innocente, un dannato? Un vinto che non si lava il culo e vive allo sbando e nel degrado in una baracca fatiscente (la baracca degli asini), che si raggiunge seguendo la strada provinciale del Couserans, sui Pirenei?
Lui che un tempo aveva capelli ricci così folti da non permettere di vedere il cuoio capelluto neanche pettinandoli, sfoggiava ormai solo qualche raro ciuffo liscio e unto sulla fronte segnata dalla dermatite. Gli mancava tutto quello che dovrebbe manifestare la salute del corpo. Era grosso e gonfio in ogni parte dell’organismo che dovrebbe essere agile e scattante. Palpebre raggrinzite ma guance incavate. Ventre arrotondato ma torace scavato. Costole sporgenti e principio di gozzo. Era brutto. Eppure, non appena si è mosso l’ho riconosciuto.
Basta questa sgradevole descrizione per sapere chi è diventato. Una sorta di cave canem. Ci vuole un certo coraggio, e una buona dose di incoscienza, a fornire una tale descrizione del protagonista del romanzo, col rischio di dissuadere i lettori dal continuare la lettura. Naturalmente io l’ostacolo l’ho superato e sono qui a parlarvene, e a domandarmi: ma basterà poi tutto il resto del romanzo per capire chi era, quale era il suo più oscuro segreto?
Dunque stiamo parlando di Faber, del francese Tristan Garcia, edito da NN editore, tradotto da Sarah De Sanctis (autrice anche della pregevole e illuminante nota del traduttore, a fine libro).
Quando mi si è presentata l’occasione di parlare di questo libro, di dargli insomma un po’ di visibilità, ho accolto l’ offerta senza esitazione, anche se questo libro non è spiccatamente un noir (qualcuno troverebbe da ridire su ciò, un morto c’è ve lo garantisco) ma più che altro un romanzo di formazione con derive filosofiche, sociologiche, politiche. Insomma un romanzo impegnato, di un’ intellettuale, un filosofo (è nato a Tolosa nel 1981) che guarda la sua generazione, quella dei ragazzi degli anni ’90, con occhio critico e circospetto.
Faber è un romanzo che parla di infanzia e di adolescenza, e di cosa diventiamo una volta adulti, quali sogni tradiamo, quali ideali abbandoniamo, in quali meccanismi omologanti veniamo stritolati. E perché non vendicarsi di chi sfugge a questa logica borghese, e assoluta?
Tre sono i personaggi principali: Faber, Madeleine, Basile, tre amici di infanzia, i cui meccanismi di interazione, le dinamiche di gruppo, verranno scientificamente sondate. Si rincontrano 15 anni dopo ormai trentenni, per un giro di lettere ricevute (una richiesta di aiuto che avevano concordato come un segnale) che tutti negano di aver scritto. E già questo primo mistero ci avvisa che non sarà facile capire cosa sta succedendo.
Madeleine va in macchina fino alla baracca degli asini e riporta Faber a Mornay. Faber è cambiato, ha giusto una foto a testimoniare cosa fu, ora è diverso, per lo meno all’apparenza. Fraintendendo i segnali picchia il marito di Maddie, Fabian, e scappa, lo riprende sotto la pioggia Basile e a questo punto torniamo al passato, all’infanzia. La seconda parte del romanzo ci riporta tra il 1981 e il 1995, in terza elementare, dove nel giardino della ricreazione si incontrano. Faber un gigante, Maddie e Basile due ragazzini bullizzati e fragili.
A un certo punto del romanzo Faber scoprirà il manoscritto di Basile, in cui c’è scritto tutto, viene svelato il motivo, di questo ricongiungimento, sintomatico il titolo Faber il Distruttore. E da allora tutto sarà un po’ più chiaro fino al finale denso di un doppio colpo di scena che non sto certo ad anticiparvi.
C’è molta musica in Faber, tante canzoni, anche lì più o meno commerciali, ma alcune bellissime. Le canzoni che uscivano dalle radio, dai giradischi dei ragazzi degli anni ’90. E questa colonna sonora ci accompagna con una spiccata dose di nostalgia. Si sa il passato (ormai conlcuso per sempre) è sempre glorioso, il presente condannato alla realtà.
Mi accorgo che continuando a parlare potrei dire troppo, svelare parte della trama che sarebbe un delitto fare, per cui mi fermo.
Faber è un romanzo complesso, profondo e a volte sgradevole, se non respingente, ma se avrete la costanza di superare i primi capitoli, sarà difficile che ve ne stacchiate.
Tristan Garcia è nato a Tolosa nel 1981. Ha studiato Filosofia alla École Normale Supérieure di Parigi. È autore di diversi romanzi, tra cui La parte migliore degli uomini pubblicato in Italia nel 2011 da Guanda, Le Saut de Malmö et autres nouvelles, Les Cordelettes de Browser, Mémoires de la jungle, Faber e 7, vincitore del Prix du Livre Inter 2016, pubblicati in Francia da Gallimard.
Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Luca dell’Ufficio Stampa NN Editore.
Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.
Tag: Faber, NN editore, realismo, Tristan Garcia
3 novembre 2016 alle 14:10 |
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