:: Un’ intervista con Paola Ronco

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luce illuminaBentornata Paola su Liberidiscrivere e grazie di aver accettato questa nuova intervista. Mettiamo in sottofondo una canzone di Paolo Conte e intanto che la caffettiera gorgoglia stilaci un tuo breve bilancio. Cosa è cambiato nella tua vita dal 2010? Come vive una piemontese a Genova, il suo essere scrittrice, donna e osservatrice di una società gravata da crisi, infelicità, rassegnazione?

Grazie a voi per l’ospitalità. Dal 2010 a oggi, in effetti, la mia vita è cambiata in maniera radicale. Dal punto di vista personale posso dire di aver fatto tabula rasa, allontanando persone e situazioni che non avevano più niente a che fare con me, e trovando il mio vero centro. Non è stato un processo sempre facile; come canta Paolo Conte, per l’appunto, in un mondo adulto si sbaglia da professionisti, ma oggi posso dire di essere serena e in pace con me stessa. Il bilancio personale, insomma, è molto positivo. Non posso dire lo stesso di quello generale; la crisi si sente eccome, non ho bisogno di dirlo, e condiziona in maniera pesante il futuro e le scelte possibili. Mi chiedo spesso, in effetti, se riusciremo mai a trovare un punto di rottura oltre il quale non sia più possibile adattarsi a questo tipo di sistema economico e morale.

E’ appena uscito il tuo nuovo romanzo La luce che illumina il mondo, edito da Indiana editore, un piccolo editore di Milano molto attivo e interessante. Come hai deciso di pubblicare con loro?

Quello con Indiana editore è stato per me un incontro felice; li seguivo con interesse dalla loro nascita, nel 2011. Hanno le idee chiare, l’entusiasmo e un catalogo davvero bello. Quando ho pensato che il mio testo fosse pronto, sono stati i primi a riceverlo. Verso la fine del 2012, dopo aver ricevuto una proposta poco convincente da un altro editore, li ho ricontattati, giusto per capire se potevo avere qualche possibilità. Pochi giorni dopo ho ricevuto la telefonata da Bernardino Sassoli de’ Bianchi.

Parlaci un po’ di questo libro, da alcuni definito un noir fantascientifico. Come è nata l’idea di scriverlo? Come sono nati i personaggi?

Come ho già raccontato, La luce che illumina il mondo nasce, letteralmente, da un sogno di qualche anno fa; ricordo ancora oggi le immagini di una città alluvionata e di un corteo di eretici in nero, pronti a darsi fuoco. Nel sogno facevano la loro comparsa, molto brevemente, anche Florestano Leoni e la sua Melissa.
Da quella visione sono partita per inventarmi una città, che somigliasse in tutto a quelle che conosciamo ma non fosse reale. È un tipo di approccio su cui rifletto fin dai tempi di Corpi estranei, e che con questo romanzo si è accentuato parecchio; cercare di raccontare la realtà evitando di citarla in maniera esplicita, aggirando i rischi della cronaca, trasportando insomma il nostro mondo e i suoi accadimenti da un’altra parte.

Il romanzo è ambientato a Sumonno, una città immaginaria, attraversata da un fiume e divisa in settori come Berlino appena terminata la Seconda Guerra Mondiale. Da un lato i poveri rinchiusi in una baraccopoli di lamiera ZonaSviluppo, poi la zona dei ceti medi CittàProgresso con palazzi dormitorio, supermercati e uffici, e infine la zona ricca CentroRubino. Un po’ discosta l’Isola che si raggiunge con vaporetti allungati come gondole in cui trova l’enorme discoteca di Florestano Leoni, un gangster che avrà un ruolo determinante nel romanzo. Come hai costruito questa città, che modelli hai utilizzato?

Prima di cominciare a scrivere, in fase di documentazione ho letto parecchie cose sulle baraccopoli delle grandi città; per citarne uno, mi è rimasto particolarmente impresso il libro Korogocho, di padre Alex Zanotelli, che racconta la vita quotidiana nel più grande slum di Nairobi. Per CittàProgresso, invece, e in generale per l’assetto di Sumonno, mi sono ispirata alle geometrie della Défense di Parigi. In fase di scrittura mi è venuto naturale immaginare una suddivisione rigida delle zone, esasperando una condizione che vediamo già, a grandi linee, nelle metropoli occidentali.

La famiglia Neri rappresenta il potere, la ricchezza accumulata in generazioni, i compromessi, i raggiri. Costanzo Neri, è una figura dolente, forse stanca, senza il carisma di un tempo. Il figlio Ramsete una specie di Nerone, mondano, cinico, crudele. Il figlio Osiride infelice, solo, plagiato da un guru, pronto a perdere tutto per un po’ di fede. A chi ti sei ispirata per costruire questi personaggi?

Da torinese, mi tocca confessare che la famiglia Agnelli è molto presente nel mio immaginario; il patriarca carismatico, il giovane rampollo beniamino delle cronache mondane, il figlio stravagante che si perde nel misticismo. Sono figure in qualche modo ricorrenti in tutte le grandi famiglie di potere, e possiedono un innegabile fascino, anche e soprattutto per le ombre oscure che si intravedono sotto lo strato levigato della leggenda.

Toni è senz’altro un personaggio interessante. Tormentato, chiuso in se stesso, con un conflitto irrisolto, c’è infatti un avvenimento del suo passato con cui deve fare i conti. Vive una breve relazione con Melissa. Che funzione ha questo personaggio nel romanzo?

Senza voler anticipare niente, Toni rappresenta l’inconsapevole elemento di disturbo in un sistema di modelli codificati. È l’uomo d’ordine che non si permette mai uno scarto, e che si ritrova sotto gli occhi le macerie di una realtà che credeva di poter controllare; è lo sguardo che cerca di prevedere ogni contromossa, e non si accorge di essere intrappolato da sempre. La relazione con Melissa, in questo senso, funge un po’ da detonatore di sentimenti e pensieri che forse non sospettava nemmeno di avere.

Ad un certo punto si attiva una sottotrama quasi poliziesca. La morte di una prostituta senza nome di “proprietà” di Florestano Leoni, porta ad una specie di indagine. Il colpevole è evidente. Questo delitto richiama una vendetta?

La morte della prostituta senza nome è in realtà un pretesto per affrontare, nella mia maniera tangenziale, il tema del corpo femminile usato come merce di scambio. Lo vediamo tutti i giorni nelle pubblicità, nelle cronache dei processi illustri, e tristemente lo leggiamo spesso in cronaca nera. La vittima del mio romanzo non è vissuta, dal suo proprietario prima e dal suo assassino poi, come un personaggio reale, con una sua storia e una personalità; è un corpo da possedere, nient’altro, e la sua morte un incidente di percorso da chiarire ai fini della conservazione del potere, non certo per curiosità o empatia.

L’esercito pattuglia, la pioggia è incessante, il fiume, esondando, semina morti e detriti. Una situazione di emergenza, da scenario apocalittico. Poi si aggiungono gli adepti di una setta, una confraternita ispirata a un’eresia medievale, che iniziano a darsi fuoco per raggiungere il mondo dello spirito, per smuovere le coscienze. Un po’ Blade Runner, penso alla pioggia incessante, l’atmosfera cupa, un po’ 1984 di Orwell, penso ai meccanismi oscuri del potere, sebbene il tuo romanzo non sia proiettato nel futuro?

C’è un po’ di Blade Runner, sicuramente; ho amato molto quel film e le sue atmosfere inquietanti e malinconiche. In quasi tutto quello che scrivo, mi rendo conto, c’è una grande attenzione alla parte ‘visiva’; costruisco le scene procedendo per immagini, e dando molta importanza ai colori, che in questo romanzo hanno un ruolo chiave.

Un tema che affronti è la degenerazione del potere mediatico, utilizzato da alcune famiglie per manipolare l’opinione pubblica e rinsaldare il proprio potere. Giornalisti asserviti, vecchi giornalisti disillusi che il potere cerca di comprare. Informazione e controinformazione. Quale sarà il futuro?

Credo che le cose non cambieranno molto nel lungo termine, e che continueremo a vedere giornalisti ridotti a meri impiegati di gruppi di potere, preoccupati solo di pubblicare notizie su commissione, e poche persone convinte che raccontare e indagare le cause degli eventi sia l’unico modo per fare questo mestiere.

Un altro tema che affronti è l’importanza della memoria necessaria per metabolizzare il passato, in questo caso il terrorismo. Nel romanzo una realtà ormai conclusa, i protagonisti di allora sono quasi tutti morti o in carcere. Dimenticare il passato fa correre il rischio di ripetere gli stessi errori, argomenta un personaggio. Perché pensi che qui in Italia ci sia in atto un processo di rimozione, di rifiuto di un’ elaborazione oggettiva di quei fenomeni di lotta armata?

Mi sembra che in Italia ci sia un processo perenne di rimozione della storia recente, soprattutto quando quella storia non è molto lusinghiera per la nostra immagine. È accaduto con il fascismo, con le guerre coloniali, e certamente anche con il terrorismo. Abbiamo vissuto, viviamo tuttora, momenti di grande lacerazione interna, ci immergiamo nel clima dell’emergenza e del terrore e poi, una volta finito il fenomeno contingente, ci comportiamo come se il fatto non fosse mai avvenuto, come delle persone invitate a una cena cui sia presente un ospite molesto, e che fanno di tutto per fingere di non vederlo o sentirlo. Non ci rendiamo nemmeno conto di quanto male possa fare questa rimozione, e quanti eventi successivi siano in realtà figli di queste ferite mai curate.

Finale spiazzante, non l’anticipiamo, ma mi dà lo spunto per chiederti se per te c’è uno spiraglio di speranza all’orizzonte, o solo i peggiori come sempre se la caveranno?

I miei personaggi, a modo loro, cercano tutti una salvezza, qualcosa che regali loro una specie di speranza; lo fanno in maniere diverse, attraverso il potere, il sesso, la ricerca del trascendente, la rivolta. La risposta non può essere univoca; ognuno ha la responsabilità di cercare il proprio spiraglio di luce, e in molti, purtroppo, preferiscono lasciare questa possibilità ai peggiori.

Grazie della tua disponibilità. Concluderei l’intervista con un’ ultima domanda: progetti per il futuro?

Grazie a voi per l’ascolto. Sono al lavoro per scrivere, sempre per Indiana editore, il seguito della Luce che illumina il mondo; nelle mie intenzioni ci saranno almeno altri due romanzi ambientati nella città di Sumonno.

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