:: Un’ intervista con Sara Bilotti

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Ciao Sara. Benvenuta su Liberi di Scrivere e grazie di aver accettato questa intervista. Iniziamo col parlare di te. Descriviti ai nostri lettori come se fossi un personaggio dei tuoi racconti.

Grazie a te, è un vero piacere!

“Gli istanti erano centuplicati dalle voci che urlavano nella testa, frammenti di vita che dovevano essere raccontati, o l’avrebbero perseguitata persino nel sonno. Così viveva, non bastava che fosse già senza pelle, doveva persino subire il sentire dei suoi personaggi.”

Raccontaci qualcosa del tuo background, dei tuoi studi, della tua infanzia.

Dell’infanzia preferirei non parlare.
Ho studiato tanto nella mia vita, e non sempre per conseguire un “foglio di carta”. In particolar modo, ho studiato i linguaggi: lingue occidentali e orientali, filologia, linguistica, musica, pianoforte, violino, danza. Cercavo un modo per liberarmi di un Io ingombrante, attraverso una qualsiasi forma di comunicazione, artistica e non.

E’ vero che hai fatto la ghostwriter? Come sceglievi i lavori? Mi spiego meglio: doveva scattare un feeling particolare con chi ti commissionava il lavoro per accettare un incarico? C’è una dote particolare che richiede questa professione?

Un feeling… magari! Scrivo da quando ero una bambina, e siccome non ritenevo i miei scritti degni di pubblicazione, quando mi proposero di guadagnare (pochi) soldini scrivendo per altri accettai. Per fare la ghostwriter credo serva principalmente una certa flessibilità, oltre alle capacità linguistiche. Devi riuscire a buttar giù qualcosa su qualsiasi argomento, scrivere spesso senza alcuna ispirazione, dunque la creazione dev’essere un atto assolutamente naturale,  avvenire senza sforzo.

Come è nato il tuo amore per la scrittura? Quali sono le doti principali per diventare un bravo scrittore?

Il mio amore per la scrittura è nato con me. Appena ho acquisito un minimo di padronanza della parola scritta, intorno ai nove anni, ho cominciato a scrivere storie. Ho sempre letto tantissimo, e più leggevo più scrivevo.
La dote principale dello scrittore è il talento per la comunicazione, quel dono che ti permette di provare e causare profonda empatia. Naturalmente il talento non basta. Bisogna riuscire a guardare la realtà in modo personale e profondo, e riuscire a raccontarla con efficacia. Per fare questo, è necessaria una certa disciplina, bisogna mettersi in discussione, affidarsi a chi ha esperienza, e soprattutto leggere, leggere, leggere.

Hai pubblicato da alcuni mesi, con Termidoro, la raccolta di racconti Nella carne. Che bilancio ne hai tratto? Ti senti soddisfatta?

La piccola editoria, se da una parte permette all’autore di esprimersi senza dover tener conto delle regole di mercato che oggi sembrano imperare, dall’altra rende praticamente impossibile (tranne alcuni casi clamorosi) una distribuzione adeguata dei libri pubblicati. Questo è l’unico dispiacere che ho ricevuto dalla pubblicazione di Nella Carne. Per il resto, questo piccolo libro mi ha regalato soddisfazioni enormi: il supporto incondizionato da parte di autori di grande spessore umano e professionale, e quello di un gruppo di lettori appassionati che ha fatto l’impossibile per far arrivare Nella Carne in libreria. E’ nato ciò che chiamiamo passaparola, secondo me la più grande soddisfazione di uno scrittore. Si tratta, tra le altre cose, di un’antologia di racconti, un genere solitamente non molto amato. Quindi: doppia gioia!

Il tuo noir nasce dalla quotidianità. Cosa ti fa più paura del mondo violento che ci circonda?

Il costante tentativo di negazione del male. Bisognerebbe accettare le zone d’ombra della nostra complessa umanità, per riuscire a controllarle. Il male si nutre della negazione, per poi scoppiare nei momenti più impensabili, e spesso con violenza inaudita, non controllabile. La classica frase: era una persona tanto per bene spiega questo concetto meglio di quanto possa fare io con la mia psicologia spicciola.

I luoghi dove ambienti le tue storie, dove l’orrore, il male, la follia emergono più dolorosi sono luoghi assai vicini: le rassicuranti mura domestiche, il vicinato, la scuola, gli istituti per la cura dei disabili. Come sottolinei questo contrasto?

Perché è proprio tra le mura domestiche, o in generale nelle piccole comunità, che si tende a indossare una maschera, a proporsi agli altri “senza macchia”, per poter soddisfare le aspettative altrui, poter dimostrare di essere la madre perfetta, il marito ideale, il figlio riconoscente, la sorella amorevole, il cittadino modello. Queste maschere, indossate così a lungo, generano nevrosi che, negli individui psicologicamente più fragili, possono trasformarsi in patologie.

C’è un profondo realismo nei tuoi racconti. Una continuità tra vita vissuta e creazione letteraria. Non è doloroso questo processo? Quanto ti esponi quando scrivi?

Mi espongo troppo. Per quanto io non abbia, fortunatamente, vissuto le esperienze dei protagonisti dei miei racconti, c’è molto di me in ognuno di loro. Vivo la scrittura in modo viscerale, spesso come catarsi, e capita che la stesura diventi un fatto doloroso. Finché vivrò la scrittura come bisogno, immagino sia inevitabile: gli istinti non hanno nulla a che fare con il controllo.

I finali spiazzano per la loro inevitabilità. Sembra che sorgano come conseguenze naturali della complessità e stranezza dell’animo umano. Come sono nati? Da un’ intuizione, li avevi già in mente quando il racconto era solo imbastito?

I miei racconti nascono sempre dall’osservazione di un’anomalia. Accade che, in situazioni normali, alcune persone facciano un gesto inaspettato, come se fossero completamente alienati dalla realtà che li circonda. Come un uomo che tace, immobile, tra la folla agitata. Una spettatrice che, invece di guardare il palcoscenico, tiene il viso rivolto verso i palchi. O, come nel caso di uno degli ultimi racconti che ho scritto, una babysitter che conta i bambini che ha portato in gita sempre nello stesso ordine, in modo maniacale, ogni cinque minuti. Una volta cominciato a scrivere, e solo durante la stesura, capisco cosa accadrà alla fine. E’ anche questo il motivo per cui non riesco a scrivere le sinossi prima di buttar giù almeno tre quarti dei miei romanzi.

Il noir è un genere prevalentemente maschile, in quanto donna, quale valore aggiunto ritieni di avere apportato?

Forse un punto di vista diverso, una maggiore empatia. E’ tipica delle donne, questa intelligenza emotiva che attraverso il pensiero laterale ci permette di trovare quasi sempre una risoluzione a problemi che sembrano irrisolvibili.

Nei tuoi racconti dai voce a personaggi fragili, inusuali in un noir, come i bambini, penso a L’uomo nero, le ragazze vittime di abusi, come in Pozzo verde, i disabili mentali, come Margherita in Farfalle. Quanta dolcezza e sensibilità è nascosta dentro l’ apparente durezza del romanziere esterno e impassibile?

Sembra un paradosso, ma ritengo che proprio chi scrive le storie più crude sia capace di grandi slanci di dolcezza. E’ una questione di sensibilità e coraggio: se si trova la forza di raccontare tali crudeltà, si riesce ad essere molto generosi con il prossimo, anche quando non lo merita.

Parlaci del tuo processo di scrittura?

E’ molto semplice: i personaggi che ho in mente mi ossessionano. E’ come se continuassero incessantemente a raccontarmi la loro storia, finché non mi decido a scriverla. Mi piacerebbe poter dire: questo mese non scrivo, ho bisogno prima di trovare una trama forte. Purtroppo non mi è possibile. Quando un personaggio mi frulla nella testa, è capace di svegliarmi in piena notte e costringermi a scrivere sul primo foglio di carta che trovo in casa. E’ come se le storie esistessero già da qualche parte, chiuse in un edificio di un universo parallelo. Poi accade che uno dei personaggi apra una porticina e le sue vicende mi invadono la vita. Letteralmente.

Ci sono scrittori a cui ti senti vicina per sensibilità, comunanza di temi, passione con la quale ti avvicini alla scrittura?

Sono una spugna: imparo da tutti gli autori che leggo, e da tutti traggo ispirazione. Al momento sto rileggendo i romanzi di Elfriede Jelinek, un premio nobel della letteratura, perché ho bisogno di un aiuto importante. Di un binario rigoroso, su cui far viaggiare il treno della mia creatività.
Ma l’autore che mi ha dato di più è sicuramente Luigi Romolo Carrino. Prima di leggere il suo Pozzoromolo, avevo una paura enorme della Sara che veniva fuori da quello che scrivevo. Lui mi ha liberata.

Hai letto le recensioni del tuo libro? Come affronti le critiche, se ben motivate e a patto che ci siano e la cattiveria gratuita?

Ah, io quando so che c’è una recensione corro a leggerla! Con un misto di ansia ed eccitazione. Non guardo le stelline, dei voti mi interessa poco. Il fatto è che i lettori mi hanno “spiegata”. Il mio processo creativo è molto istintivo, dunque fino a poco tempo fa non ero consapevole della maggior parte delle tecniche di scrittura, utilizzate appunto in maniera non cosciente, naturale. E’ divertente e piacevole venire a conoscenza delle modalità della mia scrittura attraverso i lettori. Ho imparato tanto, leggendo le recensioni.
Per quanto riguarda le critiche, non posso dire di accoglierle con piacere, ma sicuramente mi servono e le leggo con attenzione. Ovviamente parlo di critiche costruttive: la cattiveria non serve all’autore, ma solo a chi sfoga le sue frustrazioni demolendo a prescindere.

Cosa stai leggendo in questo momento?

Ho da leggere le ultime dieci pagine del Cacciatore di Occhi di Sebastian Fitzek, interrotto perché avevo bisogno di alcune lezioni di scrittura dalla Jelinek.

Infine per concludere, ringraziandoti della disponibilità, mi piacerebbe chiederti se stai attualmente lavorando ad una nuova raccolta. Eventuali altri progetti?

Scrivo continuamente, per lo stesso motivo per cui mangio e dormo. Usciranno alcuni miei racconti, l’anno prossimo, all’interno di antologie molto interessanti e insieme ad autori che stimo moltissimo. E poi ci sono i romanzi, che devo rileggere e sistemare, visto che sono stati scritti in un momento della mia vita in cui l’ultima cosa a cui pensavo era la pubblicazione. Vanno riscritti nel rispetto di chi mi leggerà, senza vicoli ciechi, personaggi che scompaiono e riappaiono, trame inutilmente complesse. Un lavorone!

Grazie a te, e a presto.

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