:: Recensione di Rock. I delitti dell’uomo nero di Danilo Arona

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Sam, la prima sera, non partecipò al blues e si limitò a guardare. La sera seguente, all’ora fatidica, un po’ prima di mezzanotte, io accennai Season of the Witch e lui prese a svisare con una vecchia Guild. Gli occhi dei Privileges s’incollarono sulle sue dita lunghe e nerissime che, percorrendo la tastiera, suggerivano la certezza di andare alla ricerca dell’origine della vita. È lui! Hendrix, la Quintessenza del Manico! fu il pensiero che ci folgorò, sicuri che Hendrix appartenesse a un’altra storia. Ma chi poteva immaginare che Hendrix fosse così vicino? Nessuno, nemmeno il Padreterno.

Rock. I delitti dell’uomo nero  di Danilo Arona, opera già edita on line su Horror Magazine e nel 2002 in versione cartacea, è stata da poco ripubblicata da Edizioni Della Sera, per inaugurare la sua nuova collana Calliphora, dedicata a tutte le sfumature del giallo e diretta dal mitico Enzo Bodycold Carcello, agente letterario, e capo redattore oltre che spirito guida del blog Corpi freddi. Ci voleva un libro importante, tosto, anche cattivo se vogliamo e chi meglio di Danilo Arona poteva esserne l’autore? Arona non ha bisogno di grandi presentazioni: classe 1950, piemontese, giornalista impegnato, scrittore complesso e misterioso, musicista per passione, ex dee-jay notturno radiofonico e da sala, ricercatore ai confini della realtà, critico cinematografico e letterario preparato e intuitivo, uno spirito inquieto, maestro incontrastato dell’ horror italiano ma i suoi fan a questo punto direbbero non solo, avvolto quasi da un’ aura inquietante sebbene in realtà sia una persona estremamente gentile e persino divertente. Rock è un libro corposo, anche impegnativo, un minimo di preparazione musicale è quasi d’obbligo, almeno per distinguere aneddoti reali da altri totalmente inventati, sebbene non si rivolga esclusivamente ad un pubblico di lettori tecnicamente esperti. Rock è un omaggio ad un genere musicale impuro, che trae le sue origini dal jazz e dal blues, e non mi dite che non avete mai sentito parlare di Robert Johnson e del suo patto col diavolo ad un incrocio di strada che in cambio dell’anima acquistò l’abilità di suonare come nessuno aveva mai fatto. Ecco quella leggenda nera ben si adatta anche al rock con la “r” minuscola o maiuscola fate voi, nato per convogliare la rabbia e la ribellione di generazioni di giovani che si rivoltavano contro il perbenismo miope e bigotto di una società ipocritamente puritana e retrograda, ottusa e limitata come i crociati della lega dei Grandi Fustigatori anti rock che si scagliano contro la musica del diavolo e sotto sotto trafficano tra droga e prostituzione. E come si fa a parlare di rock senza parlare di Jimi Hendrix e così Arona fa nella prima parte tutta dedicata a questo sfortunato musicista, sfortunato non perché morto giovane, non perché dedito all’alcool e forse alla droga, sfortunato perché il suo immenso talento, chi mai sarebbe riuscito a suonare come lui, oltre a guadagnargli l’eternità non riuscì a dargli la cosa più banale e semplice di tutte: una stupida vita normale e felice. O forse sì, o forse suonare di per sé non è come essere baciati dagli dei, non ti fa diventare un essere superiore al di là del bene e del male, non trasforma la tua vita nel più bello dei sogni o nel peggiore degli incubi. Tanti incubi popolano Rock, incubi dai quali ti svegli urlando, incubi capaci di assorbirti e farti annegare, incubi capaci di farti incontrare Sam Hain.  Già e chi è Sam Hain? Anima nera e dannata che decide un giorno di suonare con un gruppetto di sfigati musicisti italiani della bassa i Privileges (togli una “s” e ti appare il nome del gruppo in cui Arona stesso suonava, questo libro è fatto così piccoli dettagli, piccoli rimandi e  tutto cambia, tutto si collega.) Quel tipo di musicisti on the road che giravano l’Italia per fiere di paese e Festival dell’Unità, tra lambrusco e salame, quel tipo di musicisti capelloni, con pantaloni a zampa d’elefante, guardati di traverso da schiere di vecchi arcigni e giudici implacabili del nuovo che avanza, immuni dal vero successo, dalle insidie dello showbizz, dal fatidico the show must go on. Definire il genere a cui Rock appartiene è alquanto  impegnativo, si potrebbe per semplicità dire che è essenzialmente un thriller con sfumature horror e un tocco di sovrannaturale sufficiente a soddisfare coloro che amano provare sensazioni forti e il brivido della paura. Ma più che altro è un viaggio, un viaggio che non porta ad una destinazione, ma che racchiude il suo senso in se stesso, nel movimento, nella scoperta di sé e della realtà che ci circonda, un viaggio nel cuore della musica, un viaggio che tiene viva una parte importante di memoria dell’autore, la sua giovinezza, se è vero che fu scritto in parte negli anni 80. Non mancano morti tragiche e ragazze scomparse come in ogni thriller che si rispetti, non mancano indizi, tracce, non mancano sospetti che Sam Hain abbia rubato l’anima di Hendrix. Non manca la paura che Sam Hain suscita con la sua testa calva e lucida, le sue dita lunghe e nere come zampe di ragno, la sua bocca enorme, la sua tuba da Mandrake. Ma noi non abbiamo paura. Fottiti Sam Hain, noi non abbiamo paura. O forse sì? Ecco lo sapevo, il file word sul quale sto scrivendo questa recensione è impazzito, il cursore ha iniziato a sbarellare. Sam Hain deve essersi arrabbiato.

Una Risposta to “:: Recensione di Rock. I delitti dell’uomo nero di Danilo Arona”

  1. Rock. I delitti dell'uomo nero | Edizioni della Sera Says:

    […] Recensione di Rock. I delitti dell’uomo nero, 18 febbraio 2012 – fonte: Liberi di scrivere {lang: 'it'} […]

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