Benvenuto Giuseppe su Liberidiscrivere e grazie di aver accettato la mia intervista. Descriviti anche fisicamente ma non solo ai nostri lettori.
Ciao, grazie a voi per l’ospitalità. Andiamo per ordine… Fisicamente sono una figura mitologica: metà uomo e metà berretto, considerato che non me ne separo mai. Sono incastonato tra due basettoni da competizione, e porto gli occhiali per indicare qual è la mia facciata anteriore, visto che sono quasi un esaedro regolare. Per il resto mi piace definirmi un apostrofo rosa tra le parole t’ammazzo.
Un ragazzo del sud, sei nato nel 1973 a Catanzaro, nella frenetica e tentacolare Milano. Una scelta dettata da esigenze di lavoro o questa metropoli, la più internazionale forse delle città italiane, ti è entrata davvero nel sangue?
Sì, sono italo-calabrese, ma se c’è una cosa che proprio non mi appartiene, è il campanilismo. Nessuno di noi può decidere dove nascere, se avessi potuto farlo probabilmente avrei emesso il primo vagito nel West End di Londra. Bando alle ciance, c’è che sono un randagio, appartengo a uno Stato d’animo, e se ho scelto di vivere a Milano – dopo una parentesi capitolina – è perché è la città italiana che più assomiglia alle metropoli mitteleuropee, ci sto da dio.
Nel tuo sito ho letto che hai iniziato la tua carriera artistica come musicista, frequentando gli ambienti underground Londinesi e Newyorchesi. Raccontaci qualche aneddoto bizzarro legato a queste esperienze.
Fino a marzo 2003, prima che mi trasferissi definitivamente a Milano, suonavo le tastiere con una indie rock band. Poi ho appeso i sintetizzatori al muro e mi sono messo a fare “musica” con la biro. Crescendo sono diventato un po’ misantropo, e ho preferito affrontare il temibile foglio bianco piuttosto che i soliti turnisti ritardatari, i fonici fanatici, o i gestori dei locali che non ti pagano mai. Scrivere è un’arte solitaria, me la godo di più. Frequento Londra fin da quando ero ragazzino, è il mio rifugio, ci vado tutte le volte che ho bisogno di raccogliere le idee o di trovare l’ispirazione per un nuovo progetto. New York è diversa, una sorta di gruppo elettrogeno per il corpo e l’anima, è energia allo stato puro 24 ore su 24. Ho imparato molto nella Grande Mela, soprattutto grazie a Howard, il mio migliore amico manhattanite, scomparso improvvisamente lo scorso autunno. Il tempo trascorso Oltremanica e Oltreoceano è pieno zeppo di aneddoti bizzarri… ora su due piedi mi viene in mente quando lo scorso aprile, sul ponte di Brooklyn, una nutrita comitiva di ragazzi cinesi mi ha fermato convinta che fossi un famoso rapper in voga nell’Estremo Oriente. Faceva un caldo esagerato, e sono rimasto ostaggio di quei tipi per almeno un’ora, senza capire un’acca di cosa mi stessero dicendo. Quando sono andati via ho dovuto prendere d’urgenza una bustina di Polase nel bel mezzo del ponte perché ero sul punto di svenire.
Come è nato il tuo amore per la scrittura? Ho visto in rete delle tue bellissime foto molto hemingweiane con te seduto davanti ad una vecchia macchina da scrivere. La preferisci ancora al computer?
Ho imparato a scrivere molto prima di imparare a leggere; infatti scrivevo e mi chiedevo: chissà cosa ho scritto! Dico sul serio, scrivo più o meno da sempre – la scrittura è catartica per chiunque la pratichi, e a qualunque livello – anche se alla fin fine è da pochi anni che ho deciso di licenziare alla stampa una parte delle cose che riempiono i miei taccuini. Adoro le macchine da scrivere, ne sono feticista, sono dei marchingegni fatati… ma visto che scrivo soprattuto di notte, è opportuno che lo faccia con il Mac, più che altro per ragioni condominiali, ecco.
Stefano Di Marino chiama la sua Milano Gangland e la preferisce addirittura alle maggiori metropoli internazionali come luogo di elezione dei suoi romanzi. Anche tu pensi che Milano sia una città noir per eccellenza perfetta per ambientarci tesissime storie noir hard boiled?
Che a Milano si uccide bene, soprattutto al sabato, ce lo dice in primis l’immenso Scerbanenco. Nella Gangland dell’amico Di Marino mi ci ritrovo molto, Stefano dipinge egregiamente una realtà urbana dura, che esula da quei paradigmi di città glamour da rivista patinata, tutta moda e movida, che colgono solo gli aspetti estetici della meneghinità. La Milano che racconto nelle mie storie è una città oscura e tentacolare piena di gente, rifiuti e confusione, che tutto sa nascondere, persino i corpi.
Torre di controllo è il tuo romanzo di esordio. Riassumimi la trama in poche righe.
Il detective assicurativo Sauro Badalamenti indaga su una serie di omicidi commessi da qualcuno che, evidentemente protetto dal suo buon nome, uccide a colpi di spranga bellissime donne, dopo averle tenute segregate per mesi e fracassato loro le ossa una dopo l’altra per puro sadismo.
Come hai scelto il titolo? A che associazione mentale è dovuto?
Il titolo nasce dall’idea che probabilmente le nostre vite sono condotte e controllate da qualcosa che ci guarda dall’alto, e che noi siamo lo strumento per portare a compimento una sorta di disegno. Che c’è qualcosa, insomma, che decide per noi.
Di chi è l’inquietante foto di copertina del libro?
La foto è stata realizzata dal fotografo romagnolo Marco Giovannini, mentre la modella ritratta è la bella e brava Roberta “Alizee” Cusimano. È uno scatto fantastico, è proprio ciò che avevo in mente.
Raccontami come hai contattato Sangel Edizioni. In precedenza come da tradizione hai ricevuto numerose lettere di rifiuto da parte degli editori, o sei andato a colpo sicuro?
Ho conosciuto la Sangel per caso, sulla rete. Mi è subito sembrata una casa editrice coraggiosa e senza fronzoli, sicché l’ho contattata via e-mail, prima di inviare il manoscritto per posta prioritaria, come da copione. Dopo qualche tempo ho ricevuto una e-mail dall’oggetto “bellooo”, e così abbiamo formalizzato il contratto. In realtà dagli editori a cui avevo precedentemente mandato il lavoro non ho ottenuto risposte di alcun tipo (ma questo, come piace dire a me, non è un problema mio). Ho ricevuto un paio proposte editoriali “postume”, quando ormai era troppo tardi.
Chi è Sauro Badalamenti investigatore assicurativo detto il Dinosauro. A che figure di investigatori della letteratura può fare riferimento?
Sauro è un osso duro, uno che all’uso delle maniere forti preferisce sempre contrapporre il bene dell’intelletto, senza per questo evitare di menare le mani, quando è il caso. È un tipo assuefatto a ben altro tipo di vita: ha dei trascorsi oscuri nei bassifondi milanesi, con un passato da alcolista e da buttafuori nei locali più alternativi della città. È laureato in antropologia culturale, e lavora in stretta collaborazione con Miranda Venegoni, anatomopatologa e direttrice del Labanof. I casi che segue gli sono quasi sempre affidati dall’avvocato Domenico Costa, che in passato lo ha anche salvato da una condanna quasi certa per omicidio preterintenzionale. Mi sono ispirato a Philip Marlowe di Raymond Chandler nell’idearlo, e devo dire che ne è uscito un figo megagalattico, l’antitesi dei tanti Commissari Cliché che imperversano sulle pagine di molti dei gialli che si trovano in giro oggi.
Domanda quasi da criminologo ma in un certo senso legata al tuo romanzo. Sesso e violenza sono un binomio spesso legato indissolubilmente nella mente dei serial killer o dei semplici assassini anche non seriali. Pensi che uccidere sia una forma di possesso totale per chi è ossessionato dal desiderio di controllo e dalla volontà di “cannibalizzare” le proprie vittime?
La criminologia ci insegna che quasi sempre il serial killer è mosso da pulsioni sessuali, e da pulsioni verso l’esercizio del potere: il sesso non è altro che un modo per affermare la propria dominanza. In “Torre di controllo” c’è qualcuno per cui la dominazione non è solo un fattore di controllo cerebrale, ma anche un modo per esercitare un possesso assoluto. Togliere la vita a un’altra persona è la forma più assoluta di possesso: quando uccidi qualcuno ti appartiene per sempre, non sarà mai di nessun altro.
Come è stato accolto dal pubblico e dalla critica? Ti aspettavi di sentire tante voci concordi nel dire che con te è nata una nuova voce significativa del noir?
Il libro sta andando benissimo, ricevo ogni giorno pareri esaltanti dai lettori, e questo non può che farmi un enorme piacere. Ma non so dirti se me l’aspettavo o meno, di certo lo speravo, ovvio…
I tuoi racconti sono apparsi su Thriller Magazine, Sugarpulp, Borderfiction, Kult Underground. Quale è il segreto per scrivere un buon racconto, per esprimersi al meglio nel formato breve?
Il segreto credo che stia sempre nella buona caratterizzazione dei personaggi, in fondo sono loro i protagonisti, sono loro che fanno e disfano. Noi scrittori siamo costretti ad assecondarli, una volta che prendono vita.
Quali sono i tuoi scrittori preferiti, quelli che ti hanno maggiormente influenzato?
Non sono un tipico lettore di genere (né il genero di un lettore), i miei scrittori preferiti sono Fante, Salinger, Scerbanenco, Dostoevskij. Ma anche Tabucchi, Palahniuk, Tolstoj.
Raccontami una tua giornata tipo dedicata alla scrittura.
Sono uno scrittore abbastanza indisciplinato. Stilo una scaletta, ma poi ci faccio su del “jazz modale”, spazio tra computer e Moleskine, scrivo un po’ seduto e un po’ disteso, mi alzo, bevo del caffè americano, mi circondo di Post-it… Ho bisogno di distrarmi per rimanere concentrato. Tutto questo, manco a dirlo, succede di notte, dalle 23 in poi.
Cosa stai leggendo in questo momento?
“Indagine non autorizzata” di Carlo Lucarelli.
Raccontami adesso un aneddoto curioso, insolito, imbarazzante o divertente legato alle prime presentazioni di Torre di controllo.
Durante la prima presentazione del libro qui a Milano, con Andrea G. Pinketts e Andrea Carlo Cappi, quest’ultimo tira fuori dalla tasca un foglietto sul quale aveva annotato tutte le mie battute demenziali degli ultimi due anni, e si mette a leggerle ad alta voce. Volevo morire. È stato davvero esilarante. Ma io volevo morire.
Andrea Carlo Cappi, Stefano Di Marino, Andrea G. Pinkettshanno speso parole davvero lusinghiere sul tuo lavoro. C’è qualcuno a cui ti senti in particolare debitore, che ti ha incoraggiato, consigliato, insegnato i trucchi del mestiere?
Non hai idea di quanto siano importanti per me i loro pareri. Sono tre professionisti che stimo tantissimo, oltre a essere dei grandi amici con cui mi diverto un sacco. Ho iniziato a scrivere narrativa di genere proprio dopo aver letto il saggio “Elementi di tenebra” di Andrea Carlo Cappi, ma gli insegnamenti, i trucchi per usare al meglio i ferri del mestiere, be’, quelli – soprattuto Cappi e Di Marino – li dispensano quotidianamente attraverso il confronto, la critica, lo scambio reciproco di storie e opinioni. Da questo punto di vista mi ritengo davvero fortunato.
Nel salutarci ringraziandoti per la disponibilità, l’ultima fatidica domanda, stai scrivendo in questo momento? Puoi anticiparci qualcosa in esclusiva per Liberidiscrivere sui tuoi progetti futuri?
Grazie a voi. Sto lavorando, già da qualche mese, al sequel di “Torre di controllo”. Il titolo provvisorio è “Rapporto in scala 1:1”. Tratterò altri temi scottanti, come, ad esempio, il terrorismo di matrice islamica. Stay tuned!
Tag: Giuseppe Foderaro
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