“E poi siamo cambiati troppo per rincontrarci nelle fotografie.” [Rileggendo “L’umanità”, E. Gucci]
Le sue mani annodate di ricordi ricalcano le cicatrici sul suo corpo nudo.Cercano la sua deformità scolpita contro la pelle, i suoi polsi tutti grinze, le macchie di fuoco vivo che le stropicciano il viso, le smagliature che le si allargano tra le cosce, come pagine bianche su cui nessuno ha più scarabocchiato altro che giornate interrotte e notti senza fine. Angela otto anni fa. Angela adesso. Un cumulo di macerie e di sogni spezzati, che non arrivano da nessuna parte. Ogni cicatrice accarezzata è un senso di colpa che viene anestetizzato. Socchiude gli occhi, segue il contorno di quegli otto anni, sfiorando i confini di Angela, quei confini senza più forma, quei confini alla deriva. Rilegge il codice di tutto il dolore che Angela si porta scritto sul corpo, un bassorilievo di presagi tristi, di primavere bruciate, di imperfezioni strappate dai vecchi album di fotografie. Quando non erano ancora così diversi da non riconoscersi più. Quando non avevano lasciato le loro vite a invecchiare al posto loro nei cassetti. E tutte le lettere, le fotografie, le buste colorate. I loro nomi uniti in un esperimento d'amore a tempo indeterminato. Quando c'erano ancora solo i vecchi difetti, quelli che nessuno vedeva, che non ti lasciavano mangiucchiato, coi buchi nella carne e tutta l'aria a passarci attraverso e a grattare contro il vuoto. Quando ancora non era arrivato il fuoco. Angela è lì, i seni che le cadono attraverso la vestaglia trasparente, le labbra che cercano la sua bocca. Lui che non ricorda più- che non vuole ricordare cosa si provi a toccare una donna, a stringerle i capelli contro il petto. Lui che da otto anni zoppica sul dirupo di una vita col contachilometri fermo e mettere un piede dietro all'altro sembra già uno sforzo immenso. Trascina le gambe come pezzi difettosi di una catena di montaggio, si morde la voce in gola tra le pareti grigiosangue di una fabbrica, mentre sotto di lui la pressa infuria tra i cigolii del piombo disperato. Eppure non c'era sempre stato il fuoco, quando ancora non era accaduto il destino. Aveva finalmente lasciato un ricordo di sè, il segno perfetto, l'unico che avrebbe potuto dare un senso alle loro solitudini incrociate. Nel ventre di Angela, l'aveva lasciato. E dopo non era rimasto che un mucchio di vita divisa a metà chiusa in un baule di legno marcio, senza saper che farsene. L'andava a trovare ogni terza domenica del mese, dopo l’incidente. Le lasciava una busta bianca sul tavolo, metà del suo stipendio. I suoi occhi da bambino, sporchi di desolazione, erano ancora ammanettati alla gabbia di rancore che la teneva prigioniera, che non le permetteva di ricominciare. Lui che un giorno, uno come tanti col marchio di fabbrica storto, riceve una mail da Gianluca, che vuole intervistarlo sul suo libro. Il suo primo e unico libro. Da otto anni non prendeva più una penna tra le mani, ma non aveva mai smesso di osservare, registrare, elaborare, cancellarsi e riscriversi sopra ai pensieri, tirando righe nere su quelle ultime immagini scattate ad una felicità provvisoria, istantanee del proprio rimorso, accartocciate a domino una dietro l'altra. Lui che passa per il parco e la vede, quasi ogni giorno. Valentina, le spalle al piccolo lago, contro la staccionata di legno. Le gambe immobili, ingranaggi in estinzione, su una sedia a rotelle. La vede e vorrebbe conoscerla di più, frugare nella sua storia, regalarle le sue pagine stracciate e smettere di ricordare, non pensare più ad Angela, alla sua pelle cubista, al destino che gli ha attraversato la strada. "L'umanità" di Emiliano Gucci scorre tra parole che sono sensazioni, macchie leggere sulla carta che raccontano di due gambe che zoppicano con la paura di toccare la vita sopra alla terra, di un cuore che sbiadisce, di un amore che muore, di mani coi cerotti che lasciano asciugare le ferite sotto un sole nuovo. Vogliono raccontare l'umanità di un uomo perso. E sono sulla buona strada per riuscirci
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