:: Recensione di Maschera Bianca di Edgar Wallace (Polillo Editore 2010) a cura di Giulietta Iannone

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12Capitano avvenimenti strani nella vita di chi si occupa di libri: può succedere infatti che un giorno ti alzi con un diavolo per capello, inizi a bere troppi caffè e ti ritrovi tra le mani un nutrito gruppetto di libri dalla copertina rossa, tra cui spiccano nomi mitici come Edgar Wallace o John Dickson Carr, opere dell’età d’oro del mystery, quel periodo tra gli anni ‘20 e ‘40 che racchiude libri vari a volte di autori anche poco noti che hanno aperto la strada del thriller moderno.
La Polillo Editore con una passione da archeologo ha raccolto questi libri, a volte introvabili, a volte mai pubblicati in Italia, nella collana i Bassotti e ce li presenta pronti da collezionare e da leggere.
Già dissi che i classici delitti della camera chiusa non sono il mio forte ma ad un’occasione così non si può rinunciare, per cui inforco metaforicamente gli occhiali, mi siedo comoda e inizio a leggere. Senza andare in ordine cronologico pesco nel mucchio e inizio con il numero 37 “Maschera Bianca” 1930 di Edgar Wallace, portato sul grande schermo nel 1932 dal regista T. Hayes Hunter e interpretato da Hugh Williams, Norman McKinnell e Renèe Gadd.
Per le vie di Londra si aggira un ladro ineffabile, con il volto nascosto da una maschera bianca, entra nei ristoranti di lusso e alleggerisce le signore dei loro gioielli. I giornali ne parlano, il panico dilaga poi succede un fatto strano, anomalo: nel malfamato quartiere di Tidal Basin, non insolito scenario di risse tra ubriachi e delinquenti, un uomo misterioso viene pugnalato al cuore, un  uomo assurdamente vestito da sera, un uomo senza identità di cui nessuno sembra saperne niente.
Anche i testimoni sono inaffidabili, nessuno ha visto niente o meglio non ha nessuna intenzione di dire cosa ha visto alla polizia. L’ispettore capo Mason chiamato ad indagare sul caso ha subito le sue perplessità e sente che i casi sono legati, ma come?, perché?, Quello che è certo è che il colpevole non ha scampo ed è solo questione di tempo.
Ecco questa in breve è la trama, non mancheranno poi giornalisti intraprendenti, belle ragazze dal cuore d’oro, dottori spiantati e senza il becco di un quattrino, misteriosi avvocati provenienti dal Sud Africa, anche solo per chi fosse curioso di conoscere un mondo che non c’è più, una Londra aristocratica e decadente, narrata da un Edgard Wallace ironico e disincantato al suo meglio.
Letto in meno di un giorno, lieto fine al cianuro.

Edgar Wallace (1875-1932), passato alla storia come “the King of Thrillers”, fu il primo scrittore a raggiungere lo status di vera e propria star. Era nato a Greenwich, in Inghilterra, figlio illegittimo di attori. Adottato da una famiglia di pescivendoli che aveva già dieci figli, Edgar crebbe con il nome di Dick Freeman salvo scoprire, all’età di 11 anni, le sue vere origini. Dopo una serie infinita di lavori di vario genere, a 18 anni si arruolò nel Royal West Kent Regiment per poi passare nei Corpi Medici. Corrispondente dal Sud Africa per la Reuters e per vari giornali inglesi e sudafricani durante la guerra dei Boeri, rientrò in patria nel 1900. Dopo vari infruttuosi tentativi di trovare un editore, nel 1905 pubblicò a proprie spese il suo primo romanzo, The Four Just Men (I quattro giusti). In meno di trent’anni scrisse oltre 170 libri, di cui più della metà di genere giallo, una ventina di drammi e centinaia di racconti e articoli. Popolarissimo fra i lettori – si dice che tra il 1920 e il 1930 su ogni quattro libri letti in Inghilterra uno fosse di Wallace – negli ultimi dieci anni di vita arrivò a guadagnare oltre 250.000 dollari l’anno, anche grazie agli innumerevoli film tratti dalle sue storie. Amante del lusso, del gioco e della vita sregolata, morì a soli 56 anni a Hollywood, mentre era al lavoro sulla sceneggiatura di King Kong, lasciando in eredità una montagna di debiti.

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