
Avevo scritto un solo romanzo, “Il senso del dolore”, e lo avevo scritto per caso, sulla base di una richiesta di un’agente letteraria che aveva letto il famoso racconto vincitore del concorso su L’Europeo. Lo avevo scritto in vacanza, in quindici giorni, con la mia meravigliosa mamma che mi raccontava di quel tempo, unica fonte storica a mia disposizione. Il romanzo era stato pubblicato da una piccola casa editrice, Graus di Napoli, ed era andato benissimo (proporzionalmente, ovvio). Una copia era stata letta da Francesco Pinto, direttore del centro di produzione Rai di Napoli, al quale, manco a dirlo, devo tutto questo casino.
Be’, Francesco mi chiama e mi dice: bello, ‘sto romanzo. Voglio farlo leggere a un mio amico, editore importante: ma è edito, quindi non penso che lo pubblicherà. Tu avrai certamente il seguito, no?
Io naturalmente non avevo alcun seguito, né mai avrei pensato di scrivere ancora, alla mia età. Lo sfizio di pubblicare me l’ero tolto, avevo comprato tot copie per gli amici e i parenti, bastava così. Ma Pinto era stato così perentorio che non ebbi il coraggio di dirgli di no.
“Il secondo appuntamento col commissario Ricciardi”.
Siccome “Il senso del dolore”, che all’epoca si chiamava “Le lacrime del pagliaccio” (titolo che è ancora secondo me migliore, ma lo penso solo io), aveva ricevuto molti complimenti per l’ambientazione invernale, decisi di ambientare questo successivo in primavera. Non avevo una storia, non avevo fonti, non avevo niente. Mi misi al portatile, a casa di mia madre, e immaginai una bella gentile primavera che danzando per le strade perfidamente illudeva che tutto fosse bello, che tutto andasse bene.
E invece.
Fu la prima volta che sperimentai la magia. Quell’incredibile chimica che fa muovere i personaggi nel loro ambiente per conto loro, secondo quello che gli dai da fare e secondo le caratteristiche che gli imponi ma in maniera assolutamente indipendente da te.
La primavera immaginaria mi raccontò una storia incredibile, con dei personaggi meravigliosi che io riuscii a rendere, secondo me, per non oltre il trenta per cento dell’intensità e dello spessore che avevo in testa, e nel cuore.
“Il secondo appuntamento col commissario Ricciardi”, per voi.
Per me resterà per sempre “La condanna del sangue”. Una delle storie più belle che Ricciardi mi abbia mai raccontato.
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