:: Tre maestri di Goffredo Fofi (Marietti 1820, 2020) a cura di Nicola Vacca

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Goffredo Fofi, uno degli ultimi intellettuali liberi e veri, in un piccolo libro pubblicato in versione digitale da Marietti nella collana i Rèfoli, rende omaggio al Novecento ricordando quelli che per lui sono stati tre grandi maestri.
Tre maestri è l’omaggio a alcune grandi figure del Novecento italiano: Aldo Capitini, Renato Panzieri, Elsa Morante.
Aldo Capitini, filosofo e educatore sostenitore della nonviolenza, un pensatore che è stato un punto di riferimento per intere generazioni.

«Ho conosciuto molto da vicino Aldo Capitini, sono stato suo amico e a tratti collaboratore, e Capitini è stato indubbiamente una delle persone che più hanno influito sul mio modo di vivere e di ragionare. Non per questo mi sento in grado di poter offrire, sul suo pensiero, qualcosa di più che una testimonianza, e quel tanto di riflessione teorica cui ogni pratica sociale e ogni scelta individuale di intervento costringono. Non mi sono mai preoccupato di definire le mie posizioni rispetto a Capitini o alla nonviolenza, né credo di aver da dire molto in proposito. L’unico modo in cui ho creduto di poter render conto dell’insegnamento capitiniano è stato semplicemente quello di continuare ad agire culturalmente e politicamente, nella realtà italiana del nostro tempo, mettendo in pratica alcune delle cose apprese da Aldo».

Fofi con entusiasmo e tanta umiltà scrive del suo maestro e racconta in questo breve scritto la grandezza della sua umanità e l’attualità del suo pensiero.
Capitini insieme a Guido Calogero nel 1940 firma il Manifesto del liberal –socialismo, che influenzerà la nascita del Partito d’azione.
Fofi scrive che Aldo Capitini è stato l’unico personaggio di statura europea che abbia teorizzato la nonviolenza in anni in cui queste tematiche erano emarginate e soffocate.


«Quelli delle contrapposizioni tra democrazie borghesi, dittatura fascista e stalinismo, e poi quelli della polarizzazione post-bellica tra mondo borghese e mondo comunista, e in Italia tra mondo comunista e mondo cattolico negli anni in cui la situazione internazionale era di “guerra fredda”, lo scontro era tra un predominio democristiano ideologicamente molto duro e un partito sottoposto alle direttive staliniane».

L’utopia di Aldo Capitini non è stata compresa dalla cultura del suo tempo. Capita spesso ai grandi uomini abituati a ragionare con la propria testa e lottano sempre da uomini liberi contro le ortodossie del pensiero.
Raniero Panzieri, politico e scrittore, è considerato uno dei fonatori dell’operaismo.
Fofi lo incontra a metà degli anni cinquanta nella redazione di Mondo Operaio, la storica rivista socialista.

«Ma forse la “qualità” di Panzieri che più di tutte, nel tempo, mi ha affascinato era la sua ostinazione, la sua incrollabile e allo stesso tempo apparentemente svagata, non enfatica attenzione a mettere insieme, cucire e ricucire, aiutare a muovere, formare e riformare, in momenti non facili, gruppi che non scindessero mai tra loro teoria e pratica. Anche dopo le tante sconfitte di quel movimento operaio nel quale aveva così fortemente creduto, questo rimane il suo insegnamento fondamentale».

Ecco chi era il maestro Renato Panzieri per Goffredo Fofi, una delle intelligenze più vive della sua generazione, morto troppo giovane, a 43 anni, nel 1964. Come sempre accade, se ne vanno prima sempre i migliori.

«Elsa sapeva assai bene di essere uno «scrittore» e non uno «scrivente», un «poeta» e non un «letterato»; ma conosceva altrettanto bene i limiti della sua possibile azione quale scrittore e poeta – pure se quella era la «sua» vocazione, accettata e rivendicata, e considerata tra le altissime se non la più alta. La tensione che s’instaurava nelle sue idee – per esempio nei saggi fondamentali di quella raccolta – era quella tra un’analisi esigente e spietata, senza paraocchi di sorta, tutta verso l’estremo, l’essenza delle cose, e un progetto che non poteva che essere enorme, nella sua semplicità, conseguentemente all’importanza delle richieste che da quell’analisi scaturivano: la lotta contro il «sistema della disintegrazione», contro «l’irrealtà». Essere poeti non bastava. Bisognava fare di più, individuare altra presenza, altra azione nel mondo che non quella della parola. La poesia non era sufficiente a salvare gli Useppi e le Iduzze, a consolare i Davidi. Questa constatazione rende più alta la sua poesia, perché più grave ed esigente è la sua contraddizione».

Goffredo Fofi chiude il suo breve omaggio ai suoi maestri scrivendo di Elsa Morante e della sua lucidità nei confronti delle parole che metteva nei suoi grandi romanzi, diventati un pezzo importante della nostra coscienza di italiani.
La Storia, in quel dialogo straordinario con il suo tempo, la scrittrice cercava se stessa e la dimensione di un popolo e di una Nazione.
Fofi vede in Elsa Morante «una scrittrice più ricca, più densa, più originale di quella dei maggiori della letteratura italiana del secolo, si chiamino pure Verga, Svevo, Rebora o Pirandello o Gadda».
Una fuoriclasse con un grande fiuto sociologico, intelligenza politica e una franchezza crudele nel guadare attraverso i suoi libri in faccia la storia del nostro tempo.
Grazie a Goffredo Fofi per queste pagine sul Novecento che ci manca. Quello dei maestri la cui lezione non bisogna mai dimenticare.

Goffredo Fofi si è occupato di critica cinematografia e letteraria, ha diretto e fondato riviste di rilievo culturale e politico – da Linea d’ombra a Gli asini – e ha partecipato a molte esperienze di intervento sociale ed educativo dalla metà degli anni Cinquanta a oggi.

Source: inviato al recensore dall’ufficio stampa.

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