Berlino. Anno corrente o quello prima, è uguale: in tempi di crisi la relatività non esiste, tutto si fa assoluto.
Eppure qualcosa di relativo c’è.
Berlino e le sue strade deserte al tramonto. Città moderna, dà un senso di estrema civiltà solo a vederla così disegnata.
Berlino e i suoi locali pieni di gente, sempre al tramonto. Città europea che ha saputo ricostruirsi, modernizzarsi, staccarsi dagli orrori del passato. Tuttavia, forse, non basta. Anche una città così ha le sue pecche, come tutte le grandi capitali. Come la facciata di un antico palazzo macchiata dalla tag di uno street writer.
Partiamo, appunto, da questa Berlino silenziosa, fluttuante e, allo stesso tempo, stabile, solida con i suoi palazzoni fa da sfondo a un racconto generazione che riunisce noi, tutti i giovani nati tra gli anni ’80 e i primissimi anni ‘90: adulti, ma non troppo. Con un titolo di studio, ma con senza esperienza (e viceversa).
Senza un futuro ben delineato: solo immaginato. Con tanti sogni nello zaino o nella valigia (sempre disposti a partire per mettere in pratica progetti, per avere un briciolo di speranza che il Mondo, quello dei grandi, li consideri come esseri capaci di costruire qualcosa di bello, produttivo, geniale. O, magari, che, contenga tutte queste tre variabili. Gli stessi che, purtroppo, non hanno i soldi per metterli in pratica e sono costretti a lasciar perdere o a chiedere aiuto.
Eterni figli: anche solo pensare di poter immaginare una vita insieme alla persona che amano li spaventa. Se non li spaventa, non ci sono abbastanza soldi. L’idea di crearsi una vita insieme, avendo anche un bambino, non è contemplabile. Non siamo più negli anni ’80: la gente non fa un passo così importante, pur senza avere un lavoro. Quelli erano altri tempi, ci si riusciva ad arrangiare. Oggi no, la società è diventata un’arma a doppio taglio: offre opportunità che solo in pochi riescono ad afferrare e impone di vivere secondo determinati schemi.
I Sex Pistols ci dedicherebbero senz’altro “No Future”, ma è probabile che basti il solito “Si stava meglio quando si stava peggio”. Anche sotto forma di domanda e, si sa, una risposta ad un interrogativo del genere è sempre del tutto soggettiva.
Fa male ammetterlo, ma è così. Veniamo trascinati da un’amarezza che ci stringe il cuore. Siamo tutti giovani: troppo o troppo poco, ormai. Viene da chiederci se vada tutto bene. Questa domanda ci frulla in testa una, due, tre, cento volte al giorno.
Il titolo dell’ultimo graphic novel di Alberto Madrigal, sua seconda opera lunga a due anni da “Un lavoro vero” e in uscita il prossimo 10 luglio in tutte le librerie sempre per Bao Publishing, ci dice che sì, va tutto bene. Alla fine. Dopo aver preso un palo dritto in faccia o, letteralmente, aver pestato più di una merda di cane sul marciapiedi, ma sì.
Va tutto bene.
La parola “bene” in copertina è tutta in maiuscolo, scritta con un font bello pieno, quasi fosse un grassetto colorato di bianco. Il bianco spicca sull’ombra dei palazzoni berlinesi e dà speranza. Più delle due parole che lo precedono. Come se questa frase di sole tre parole volesse essere scandita.
Va. Tutto. Bene.
C’è Sara, una ragazza creativa e sognatrice. Ha mille idee che, sfortunatamente, almeno in questo momento, non riesce a realizzare. Nemmeno quando si tratta di metterle su una pagina di Word. Eppure non si arrende e parla ai suoi amici della sua idea migliore, quella più ponderata: riuscire ad aprire un’attività mai nessuno ha mai pensato. Un locale innovativo. “Ormai non si vendono oggetti, si vendono esperienze”, le aveva detto Steve, quel suo amico, il più aperto a cose nuove e, forse anche un po’ svalvolato, della comitiva. Chissà se è vero. “Non può non funzionare”, ripete tra sé per motivarsi. Bisogna buttarsi per vedere se è vero, ma da sola è difficile.
Dall’altra parte c’è Daniel, conosce Sara da tanti anni, è come se fosse la sua Nemesi: un ragazzo coi piedi per terra, vorrebbe solo trovare un lavoro e avere uno dignitoso stipendio assicurato. Fino a qualche anno prima sognava di poter vivere facendo musica. Adesso, rimasto quasi disoccupato, si è reso conto che solo di sogni non si va avanti. Di musica non si campa, ci vuole il lavoro fisso. Questo è il pensiero che lo assilla, soprattutto da quando sta con Eva, la donna che ama e che, dal canto suo, vorrebbe tanto avere un figlio da lui.
Sara, Eva, Steve e Daniel. Quattro giovani legati da un rapporto di amicizia (e anche di più). Hanno davanti lo stesso identico futuro, ma lo affrontano in modi e da punti di vista nettamente differenti. Se ne accorgeranno dopo un anno, avranno la conferma che non sempre va tutto come si sperava, ma bisogna tirare avanti.
Un romanzo a fumetti fatto di silenzi, magnifiche tavole descrittive che si raccontano da sole, stream of consciousness, un misto tra calma e apparente e tumulto interiore, aspettative disilluse e flashback di un un passato ancora troppo vicino. Berlino guarda tutto e tace, in una sorta di silenzio assenso. Può capitare, però, che il tempo e la realtà circostante mandino dei segni, degli avvertimenti.
Una volta capito il senso di ciò che ci succede, non possiamo non affermare che:
“A volte siamo così occupati a scansare la merda da non renderci conto che la vita è piena di opportunità.”
…e allora, come all’interno di un rewind esistenziale di cui solamente noi possiamo regolare intensità e durata, va tutto bene.
Alberto Madrigal, classe 1983, illustratore e fumettista spagnolo, vive a Berlino dal 2007. Dopo le prime storie brevi e illustrazioni da freelance, esce la sua prima opera lunga “Un lavoro vero” (Bao Publishing, 2013), graphic novel (quasi) autobiografico che affronta la tematica del “potrò mai vivere facendo quello che mi piace? Perché il mio lavoro artistico non viene considerato al pari degli altri?”. Anche in “Va tutto bene” ritroviamo gli stessi temi e lo stesso punto di vista, straniato, ma realista, di chi vorrebbe tanto fare ciò per cui si sente più portato, ma deve accontentarsi di altro. Il suo stile è inconfondibile, tratti leggeri, appena accennati, velati da una colorazione pastello dalle sfumature malinconiche. Sempre nel 2015 illustra “L’albero delle storie”, romanzo per ragazzi di Gabriele Clima e pubblicato nella famosa e sempreverde collana “Il Battello A Vapore” di Edizioni Piemme. Attualmente sta realizzando le illustrazioni per un graphic novel francese, in uscita nel 2016 per la casa editrice Futuropolis, dal titolo “Berlin années 10.0” con i testi di Mathilde Ramadier.
Source: libro del recensore.
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Tag: Federica Guglietta

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