:: Satyricon a Napoli ’44, Roberto De Simone, (Einaudi, 2014) a cura di Lucilla Parisi

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Tra il 27 e il 30 settembre del 1943 un moto di insurrezione popolare liberò la città di Napoli dal giogo nazista, lasciando agli alleati che vi giunsero il primo ottobre una città ormai affrancata.
Roberto De Simone, allora ragazzino, racconta in queste pagine colme di episodi di storia e frammenti di vita vissuta una città allo stremo delle sue forze, ma eroica nella sua misteriosa capacità di reinventarsi e sollevarsi, ogni volta.
La Napoli del ’44 porta i segni di una invasione appena terminata e quelli altrettanto profondi di un nuovo invasore: l’arroganza dei nuovi arrivati costringe il popolo sfiancato dalla guerra a una sorta di tacito accordo con i nuovi occupanti, in nome di uno scambio non certo equo tra cibi in polvere e donne da vendere, tra un apparente mantenimento dell’ordine e una sempre più diffusa delinquenza di strada.

“Ciò che allora tutti non meritavamo era il discutibile cibo di cui ci nutrivamo: un cibo ridotto in polvere come gli edifici che ci circondavano, e a tale emblema di distruzione corrispondeva la polvere americana che ci sostentava. Polvere di piselli, polvere di fagioli, di lenticchie, di vegetali, e poi polvere di latte, polvere di uova, in sintonia persino con Polvere di stelle, un commestibile motivetto americano con cui cibare i nostri sogni già holliwoodianizzati.”

Fa da sfondo e da sottofondo una languida sacralità di ex voto e promesse infrante, di santi in volo, vecchi e nuovi, e di miracoli in attesa: la santità e la dannazione di una città profanata, aggredita, violata e santificata si respirano, insieme, dentro a ogni suo vicolo e anfratto.
Roberto De Simone è l’amico del pastoraro Turiuccio (perché Napoli è anche i presepi di San Gregorio Armeno) e di Carmeniello, lo scugnizzo senza arte né parte ma dal cuore grande.
Sono loro il centro di questo romanzo o melodramma – come lo ha definito lo stesso autore – fatto di tante storie, tenute insieme proprio dal racconto a volte lucido a volte visionario del giovane Roberto che, con un salto nel passato di quasi settant’anni, ritorna in una Napoli che non esiste più, ma in cui è facile ritrovare immagini, melodie e luoghi familiari.

“A volte avevo l’impressione che Napoli fosse una insensata serie di fotogrammi senza parole, con il commento sonoro di un pianino munito di osceni pensieri sessuali e di progetti omicidi.”

Visioni che ci rimandano a una città travolta dai suoi stessi fantasmi e dalle più antiche ossessioni: le strade di Napoli sono gironi infernali popolati da dannati e peccatori incontinenti con lo sguardo rivolto verso il cielo in attesa di una grazia qualsiasi. Un labirinto in cui si ripetono situazioni e miracoli e in cui è inevitabile perdersi e tormentarsi.

Eppure la prostituzione, più che elemento trasgressivo, era considerata una ineluttabile necessità, un antico tributo da pagare al liquido spermatico del conquistatore che solo a tale prezzo, da che mondo è mondo, eiacula una scatoletta di viveri mutando l’atto di amore in animalesco sfoggio di maschietà.

La scelta del titolo ci rimanda all’opera di Petronio, un lungo frammento narrativo in cui ritroviamo l’alternanza di prosa e versi, che qui De Simone recupera dalla tradizione orale o da testi musicali mai dimenticati, quasi a scandire la melodia della narrazione. Così ritornano le parole della Tammurriata nera (1944 – A. Nicolardi e E. A. Mario) o di Dove sta Zazà! (1944 – R. Cutolo e G. Cioffi) o della bellissima Munasterio ’e Santa Chiara (1945 – M Galdieri e A. Barberis), per citarne solo alcune.
Così Napoli mette in scena – nella sua delirante e tormentata quotidianità – la tradizione dei canti e delle rappresentazioni popolari, nelle feste comandate o in occasione delle cerimonie religiose in onore di santi come San Gennaro o San Giovanni, nel tentativo di ritrovarsi e di salvarsi.
Quello di De Simone è un romanzo che rende onore alla città partenopea e ai suoi abitanti, più o meno eroici, più o meno santi, sempre rispettoso della sua storia e della sua complessità.
Ha voluto così ricordare nel romanzo una donna in particolare, la madre superiora della cappella del Monastero di San Pietro e Paolo a Pontecorvo – Maria Cristina – la quale sfidando la furia nazista, accolse, pur conscia del pericolo, – nei giorni che precedettero le Quattro giornate di Napoli – un gruppo di giovani che fuggivano al reclutamento del colonello Scholl e pagò con la propria vita la propria coraggiosa scelta.

Munasterio ‘e Santa Chiara…
tengo ‘o core scuro scuro…
Ma pecché, pecché ogne sera,
penzo a Napule comm’era,
penzo a Napule comm’è?!

Roberto De Simone (Napoli 1933), musicista, compositore, regista, autore teatrale, accademico di Santa Cecilia. Ha diretto il Conservatorio di Musica di San Pietro a Majella. Per Einaudi ha pubblicato i volumi: La gatta Cenerentola (1977), Il presepe popolare napoletano (1998 e 2004), Il convitato di pietra (1998), L’opera buffa del giovedì santo (1999), La Cantata dei pastori (2000), Prolegomeni al Socrate immaginario (2005), Novelle K 666. Fra Mozart e Napoli (2006), Cinque voci per Gesualdo (2013) e Satyricon a Napoli ’44 (2014). Ha inoltre curato nei «Millenni» le Fiabe campane e Il Cunto de li Cunti di Giambattista Basile.

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