Probabilmente mi sono persa è la prima traduzione in lingua straniera del romanzo d’esordio dell’autrice iraniana Sara Salar (2014, Ponte 33 Editore).
L’espediente narrativo scelto dalla Salar è curioso e moderno: una narrazione che non è una narrazione, ma bensì uno stream of consciousness che si avvicina agli esperimenti di Virginia Woolf. Citandone la definizione tecnica: il flusso di coscienza consiste nella libera rappresentazione dei pensieri di una persona così come compaiono nella mente, prima di essere riorganizzati logicamente in frasi.
L’autrice ci conduce direttamente al centro dei pensieri della sua protagonista, una donna di trentacinque anni, moglie e madre, che, sotto il cielo grigio e lattiginoso di Tehran, compie un tortuoso viaggio dentro di sé alla ricerca della propria identità smarrita tanti anni prima, mentre era convinta di inseguirla. Il filo dei ricordi si dipana in una serie di flashback mescolati ai dialoghi e ai rapporti della vita quotidiana. La sofferenza e lo straniamento di cui lei si sente vittima hanno radici che affondano nei tempi del liceo, trascorsi in una cittadina sperduta del Baluchistan, quando avviene l’incontro rivelatore con l’adorata amica Gandom: l’inizio di quel percorso che la porterà a rinnegare la famiglia, le proprie origini ed infine se stessa.
Lo straniamento si accentua nello stridente contrasto fra la dimensione interiore della donna e la prepotente artificiosità della megalopoli in cui si muove, emblema del progresso e del consumismo. Le riflessioni della protagonista, di cui non conosciamo nemmeno il nome, sono in qualche modo sguaiatamente distratte da frammenti di programmi radiofonici e immagini di enormi cartelloni pubblicitari che scorrono all’orizzonte. Meditando sulla sua “vita contorta”, sui limiti e sulle paure che l’hanno accompagnata negli anni, lascia che il senso di colpa scavi piano dentro di lei. E’ difficile essere “una stupida idealista, una sciocca dogmatica”. Questa figura femminile ripensa alla persona che è diventata ed ha ancora paura: di non essere una buona amica, una buona madre, una buona moglie. E’ allo stesso tempo respinta ed attratta dalla vita reale di cui si sente prigioniera. Cosa penserebbe Gandom di lei se la vedesse ora? Quante cose sono davvero cambiate da quando si sono separate?
Il flusso altalenante dei ricordi si mischia all’immaginazione e sono molti gli schemi che si contrappongono nella riflessione: la scelta di lasciare la provincia per andare a studiare nella capitale, la continua confusione fra ciò che è presente e ciò che è passato e che non tornerà. Sono molte le domande che sembrano non trovare risposta: qual è il senso ultimo della libertà in un Paese “con regole molto precise”?
La scrittura di Sara Salar è fatta di frasi brevi, a volte spezzate, che rimangono appese ai tre punti di sospensione. Usa una lingua estremamente evocativa, iperrealista come esige la scelta dello stream of conosciousness: sfoghi, metafore e imprecazioni scorrono veloci sotto i nostri occhi dando al tutto un ritmo sincopato.
Il risultato è un intenso romanzo psicologico, in cui dallo sfondo emerge in primo piano l’individuo, con i suoi conflitti interiori senza latitudini di riferimento. L’autrice ci lascia intendere che le strade di Tehran, piene di traffico convulso, potrebbero essere le strade di qualsiasi metropoli moderna, che i pensieri della sua protagonista potrebbero essere quelli di ogni donna che si sente schiacciata dalle proprie non-scelte, dai propri dubbi.
L’assetto stilistico e narrativo di questo breve romanzo potrebbe non risultare particolarmente accattivante per coloro che prediligono la prosa classica, lo consiglio quindi agli amanti del modernismo letterario e dell’introspezione psicologica, nonché ovviamente ai curiosi di letteratura iraniana contemporanea, e, specialmente, alle donne.
Sara Salar (1966) è nata a Zahedan, piccola cittadina del Baluchistan iraniano. E’ laureata in letteratura inglese ed ha iniziato la carriera letteraria come traduttrice facendo conoscere al pubblico iraniano Haruki Murakami. Probabilmente mi sono persa, pubblicato nel 2009 dopo uno stop prolungato della censura, ha conosciuto un immediato successo, aggiudicandosi anche il prestigioso premio letterario Golshiri. Sara Salar vive oggi a Tehran, è sposata e ha un figlio.
Tradizionalmente, le donne iraniane hanno avuto un ruolo importante nelle economie rurali, non solo partecipando all’attività aziendale di famiglia – come la tessitura dei tappeti – ma anche con la produzione dei principali prodotti alimentari. È interessante notare che circa il 90% delle donne iraniane nelle comunità rurali sono ancora impegnate in qualche tipo di attività. Al contrario, il ritmo veloce dell’urbanizzazione e l’industrializzazione hanno cambiato il ruolo delle donne nelle città, ed insieme alle limitazioni sociali dell’Iran post-rivoluzionario hanno ridotto al minimo il loro peso nelle attività economiche. Secondo un articolo pubblicato nel numero di marzo 2014 dall’Iranian Economist, solo il 13% della forza lavoro iraniana è costituita da donne.
Nel corso degli ultimi cinque anni, si è registrato un significativo incremento nelle iscrizioni femminili all’università, fino a raggiungere una media del 60% sul totale degli studenti. Ciò nonostante, ancora oggi in Iran una donna non può ottenere un passaporto senza il permesso del marito o di un parente di sesso maschile. Le donne sono escluse dal frequentare determinati spazi pubblici, come gli stadi; la violenza domestica rimane generalmente impunita e la testimonianza di una donna in tribunale vale solo la metà di una maschile. A tutto questo sembra opporsi, almeno a parole, la politica dell’attuale Presidente Hassan Rohani, che ha scelto come sua vice Shahindothk Molaverdi, delegata alle politiche della famiglia e delle donne. Di certo i cambiamenti in Iran non saranno immediati, ci vorrà del tempo per modificare le leggi e la mentalità delle persone.
Tag: Matilde Zubani
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