:: Mediorientarsi: Il manoscritto incompleto, Kamal Abdulla, (Sandro Teti Editore, 2014) a cura di Matilde Zubani

by

manoscrittoKamal Abdulla ripropone in questo suo libro un classico espediente letterario – il ritrovamento di un misterioso manoscritto, scintilla d’innesco per la narrazione – che vanta illustri precedenti, basti pensare a I Promessi Sposi di A. Manzoni, o a Il Nome della Rosa di U. Eco. Grazie a questo stratagemma l’autore dipana il filo del racconto seguendo tre diversi piani narrativi. Il primo è ambientato nel presente e precisamente presso il Fondo Manoscritti dell’Istituto Nazionale di Baku, capitale dell’Azerbaijan, dove il protagonista-ricercatore scopre il manoscritto incompleto. Sarà la trascrizione di quest’ultimo a condurre il lettore nell’Asia Centrale del IX secolo, popolata dalle tribù turche degli Oghuz e, parallelamente, nel cuore dell’Impero Persiano del XVI, al tempo di Ismail I, lo shah-poeta di origini azere.
Mentre la seconda storia si esaurisce in un circoscritto seppur affascinate cammeo, il filone turco-oghuz è senz’altro parte predominante nella narrazione, che si incentra su un’importante inchiesta condotta dal Khan dei Khan per “smascherare quel vile figlio di un vile che sta distruggendo gli Oghuz dall’interno”. Per trovare il colpevole il Khan presiede una serie di colloqui-interrogatorio. Mettendo a confronto le voci dei nobili Oghuz scaverà nelle dispute famigliari, ripercorrendo i trionfi e le bassezze dei suoi uomini e cercherà di farsi rivelare le ordite trame mosse dalla bramosia per il potere.
Assieme al protagonista-ricercatore si scopre che il narratore di questa cronaca altri non è che il celebre Dede Korkut, autore del più importante poema epico di epoca Oghuz: il Kitab-e Dede Korkut, testo rivelatore dei valori più significativi per la vita sociale dei turchi nomadi, delle loro gesta e delle loro credenze pre-islamiche. La scelta dell’ambientazione si fonda certamente su un notevole lavoro di ricerca storico-geografica, non a caso Kamal Abdulla viene considerato uno dei più importanti intellettuali azerbaigiani contemporanei.
Abdulla si destreggia su diversi piani d’azione storicamente e linguisticamente diversi tra loro, senza però perdere il ritmo di una narrazione sapientemente costruita che, anzi, viene forse disturbata dalla volontà di marcare il passaggio da una “scena” all’altra con stili grafici differenti. Apprezzabile è anche la scelta del curatore dell’edizione italiana (2014, Sandro Teti Editore) di mantenere alcune parole in lingua originale per favorire l’immersione del lettore in quello che è un ambiente – non solo letterario – sconosciuto ai più. Tuttavia la collocazione delle note a fine volume non riesce a invogliarne la consultazione regolare.
Il manoscritto incompleto suggerisce molti riferimenti ad altre affascinanti opere letterarie: l’epica di tradizione omerica, il ciclo bretone – Dede Korkut potrebbe quasi assomigliare a Merlino, consigliere e guida, nonché custode dei sogni e dei segreti – ma anche storie più recenti, come Il mio nome è rosso (O. Pamuk), in cui si dipana un’altra intrigante inchiesta ambientata alla fine del 1500. Tutto ciò sembra creare un filo sottile che unisce la tradizione letteraria Occidentale a quella Orientale, e a coloro che hanno avuto modo avvicinarsi alla cultura di Paesi come la Turchia o l’Azerbaijan il collegamento apparirà tutt’altro che casuale.
Volendo riassumere l’essenza di questo romanzo, la prefazione di Franco Cardini, esperto medievalista, evidenzia come Kamal Abdulla ci parli, attraverso i personaggi coinvolti nei tre filoni narrativi, della difficoltà di cogliere la verità, non sempre perché sia troppo sapientemente celata ai nostri occhi, ma perché essa potrebbe semplicemente non esistere, o potrebbero esisterne molte, diverse e legittime versioni. Un libro raffinato e complesso, ma allo stesso tempo capace di catturare la curiosità del lettore. Consigliato agli amanti dei romanzi storici e a coloro che vogliano esplorare l’affascinante cultura caucasica.

Kamal Abdulla (1950) è scrittore e sceneggiatore teatrale, autore di numerosi romanzi, racconti e saggi tradotti in varie lingue. Oggi viene considerato uno dei più importanti intellettuali azerbaigiani, eminente turcologo e slavista, è stato a lungo rettore dell’Università di Studi Slavi di Baku. Attualmente riveste l’incarico di Consigliere di Stato per i Rapporti Multiconfessionali e il Multiculturalismo.

La patria originaria degli Oghuz era la regione Uralo-altaica dell’Asia centrale, che è stata il dominio delle popolazioni turciche fin dall’antichità. Ci sono diverse opinioni riguardo al significato della parola Oghuz, le più quotate sostengono che significhi “tribù”, “unione di tribù”, “unione di tribù affiliate”. La maggioranza degli Oghuz conduceva una vita nomade, dedicandosi principalmente all’allevamento. Tuttavia, vi erano anche gruppi Oghuz sedentari, che venivano chiamati “yatuk”, ovvero pigri, come a sottolineare l’importanza e la funzionalità della condizione nomade per quel tempo. Come si può capire dalla lettura de “Il manoscritto incompleto”, la vita errante non impedì agli Oghuz di sviluppare strutture politiche e sociali ben definite. Alleanze basate sul matrimonio e la parentela erano i tessuti connettivi della loro società. Fu proprio un clan degli Oghuz, i Selgiuchidi, ad abbracciare, primo fra le popolazioni turciche, l’Islam. Lo stesso completò l’espansione-migrazione verso occidente iniziata nell’800. Con la conquista della Persia nacque il Grande Impero Selgiuchide, che soccomberà alla nascente dinastia degli Ottomani.

A chi volesse approfondire l’argomento, o saperne di più sul “Libro di Dede Korkut”, più volte menzionato nel romanzo sopra recensito, consiglio due testi scritti da due dei massimi esperti di turcologia e storia della Turchia: “The book of Dede Korkut” di Geoffrey Lewis (1974, Penguin Classics) e “The Turks in World History” di Carter Vaughn Findley (2004, Oxford University Press).

Tag:

Lascia un commento