Oggi diamo il benvenuto su LIBERIDISCRIVERE a Roberto Riccardi, scrittore e giornalista italiano nonché colonnello dell’arma dei carabinieri e, con gioia, mi permetto di aggiungere: uomo di straordinaria umanità e simpatia, dal momento che, in più occasioni, ho avuto modo di cogliere le sue qualità.
Roberto, sei pronto? Sono molto curiosa.
Pronti alla lotta!
La tua produzione letteraria ti vede impegnato su due fronti:
1)Il sentito interesse per la condizione degli ebrei durante gli anni della seconda guerra mondiale, di cui, con encomiabile maestria, hai fornito fortissima testimonianza, attraverso la voce di Alberto Sed in Sono stato un numero. Alberto Sed racconta (Giuntina, 2009) e La foto sulla spiaggia (Giuntina, 2012), collaborando, inoltre, con Giulia Spizzichino, al lavoro sull’eccidio delle fosse ardeatine La farfalla impazzita (Giuntina, 2013);
2)La scia di opere di narrativa noir che ti ha visto autore di: Undercover. Niente è come sembra e Venga pure la fine (entrambi pubblicati da E/o, collezione Sabot/age, rispettivamente nel 2012 e nel 2013), in cui, ibridando fiction ad esperienze vissute, attraverso le indagini del tenente Rocco Liguori e il colonnello Milan Dragojevic, ci hai restituito due spaccati di storia sulle realtà del traffico illegale di droga e i conflitti bosniaci alla fine del ventesimo secolo. Come se non bastasse sei, anche, padre di due romanzi usciti nella storica collana da edicola dei gialli Mondadori: Legame di sangue e I condannati; diqualche racconto per antologie varie e direttore della rivista Il Carabiniere.
Alla luce della, fervida e apprezzatissima, produzione (consacrata anche da tantissimi premi letterari), ti chiedo: qual è stato il lavoro (se ce n’è uno) che, dentro di te, ha mosso corde particolari, restituendoti, alla fine della stesura, un uomo diverso, “migliore”, rispetto al Riccardi che eri prima di scriverlo? E in cosa pensi t’abbia cambiato?
Non so se la scrittura abbia migliorato l’uomo che sono, il lavoro su se stessi è un processo continuo che è funzione di tante esperienze diverse. Da ragazzo come tutti m’illudevo di cambiare il mondo. Oggi riuscire a cambiare qualcosa nel mio intimo mi sembra già un obiettivo azzardato.
Prima dell’uscita del tuo romanzo d’esordio, Sono stato un numero. Alberto Sed racconta, avevi mai pensato di scrivere?
Ho iniziato a giocare con la penna (il computer non c’era…) alle elementari, scrivere era lo sfogo più naturale e piacevole per la mia fantasia, che era già fervida. A quel tempo sognavo proprio di diventare uno scrittore, ma alla maniera dei bambini, senza un progetto concreto. Poi nella vita ho fatto altro e ci ho messo una pietra sopra, a rimuoverla ci ha pensato la storia di Alberto Sed, che è diventata il mio primo libro. E’ venuta letteralmente a cercarmi, succede così.
Qual è stato il riconoscimento più significativo nella tua vita di scrittore?
I premi letterari, bontà di chi me li ha concessi, cominciano a essere tanti. E tante sono le belle attestazioni dei lettori, che mi raccontano di riconoscersi nei miei personaggi, nelle riflessioni, è sorprendente ma perché questo accada basta a volte una sola riga. Il riconoscimento più alto in assoluto, però, è il biglietto che Alberto Sed mi ha consegnato dopo la stesura della sua biografia. Lo porto con me da quando l’ho ricevuto, mi dice che grazie a me è finalmente uscito da Auschwitz. Quando lo ha scritto erano passati sessantacinque anni dal tempo della sua prigionia, non è meraviglioso?
Un bravo scrittore dicono debba essere, prima di tutto, un bravo lettore. Tu lo sei? Se si, qual è il romanzo più significativo nella tua vita di lettore?
Se un bravo scrittore si misura dai libri che ha letto, sono a cavallo! Leggo continuamente, più o meno da sempre, vorrei avere ventiquattr’ore in più ogni giorno solo per farlo. Un romanzo che ha avuto un’importanza particolare nella mia vita è Il giorno della civetta, che mi ha fatto innamorare del capitano Bellodi e ha così contribuito alla mia scelta di diventare ufficiale dei carabinieri. Per colpa di Bellodi ho chiesto quale prima sede Palermo! Ci sono rimasto sei anni, un’esperienza straordinaria.
Rubo alla tua scrittura una frase che, dal giorno in cui l’ho letta, conservo nel mio diario di vita: “le storie più belle non sono di carta, le scrive il cuore”: come nascono, in genere, le tue storie?
Il momento dell’ideazione, per quanto riguarda la genesi di un romanzo, è senz’altro uno dei più belli. Al tempo stesso è qualcosa di misterioso, perché nello spunto per una trama gli elementi e le tracce della vita di un autore affiorano in modo inconsapevole. Certamente ciò che scrivo trae forza dalle emozioni più intense provate in prima persona, la cosa più difficile è riuscire a trasferirle in chi legge. Forse è ciò che in assoluto fa la differenza: arrivare al cuore dei lettori.
Spesso vai in giro a parlare ai ragazzi nelle scuole d’Italia. Qual è il messaggio che, più, ti piace lanciare agli adolescenti? E perché?
Adoro parlare ai ragazzi, hanno occhi nuovi e menti non ancora sporcate dalla vita. Non sopporto quando si parla di loro in termini negativi, considerandoli vuoti, apatici. Loro sono spugne, assorbono tutto ciò che vedono e dipende da noi adulti riuscire a trasmettere qualcosa. Vado nelle scuole soprattutto per i libri che trattano la Shoah. In quelle occasioni, piuttosto che lanciare messaggi sul dovere della Memoria difficili da far passare, cerco di parlare in modo che possano immedesimarsi. Per esempio, quando presento gli ex deportati, non parlo mai dei signori ultraottantenni che vedono nelle interviste televisive mandate in onda nel Giorno della Memoria, ma dei ragazzi che erano quando qualcuno li mise su un treno piombato diretto all’inferno.
Sei un uomo poliedrico con un mondo di esperienze sulle spalle, cosa desidereresti fare che ancora non hai fatto?
Un miliardo di cose. Aprire un agriturismo in Toscana, un caffè letterario a Parigi, allestire un musical a Broadway, visitare la Nuova Zelanda. Ma mi accontento di sopravvivere, come tutti, e vado dove mi porta la mia strada.
C’è qualcosa che ti fa paura? Se sì, cosa?
Ho tutte le paure che accompagnano la condizione umana, la prima è quella della morte. Hai un bel dire che non bisogna temerla, perché quando ci siamo lei non c’è e viceversa. Il pensiero di scomparire nel nulla non è piacevole.
Cosa ti fa sorridere? E cosa rabbrividire?
Per fortuna rido spesso, amo scherzare e colgo con facilità il lato divertente della vita. Anche rabbrividire, purtroppo, è per me un esercizio quotidiano. Basta aprire il giornale e leggere dei tanti orrori che ancora oggi si consumano nel mondo.
Per i lettori che ti attendono: cosa bolle, ora, in pentola?
La pentola di un autore è costantemente sul fuoco. La macchina della produzione letteraria funziona così: quando in libreria c’è il cosiddetto nuovo romanzo, in realtà come minimo ne hai già consegnato un altro all’editore e stai lavorando al successivo. Altrimenti si segna il passo, ed è una prospettiva inaccettabile. Quasi quanto la morte.
24 marzo 2015 alle 20:10 |
Quando ho letto “La foto sulla spiaggia” ho capito che avevo scoperto uno scrittore con la S maiuscola….uno che ti coinvolge cosi’ tanto che ho sentito il bisogno di comunicargli le mie emozioni…anche se emozioni di un comune lettore….non avevo mai letto della Shoah cosi’ profondamente descritta!E’ una Persona che scrive veramente con il Cuore!!!
Complimenti alla giornalista Natalina S.E’ un articolo bellissimo!
30 Maggio 2015 alle 19:29 |
Leggo solo ora. Grazie mille. Se ti è piaciuto tanto “La foto sulla spiaggia” allora potrà solo che piacerti e, soprattutto, emozionarti, “Sono stato un numero. Alberto Sed racconta”. Leggilo è uno dei libri che mi ha emozionato di più. Racconta la storia di un uomo sopravvissuto ai campi di concentramento…il resto lo leggerai.
20 novembre 2015 alle 14:55 |
Gentilissima Natalina solo oggi mi sono accorto della tua cortese risposta(riguardando alcune cose su Roberto Riccardi che conservo sul mio pc) e me ne scuso.Ho tutto ciò che Roberto ha pubblicato(gialli mondadori compresi) ed in famiglia gli vogliamo bene(pensa che mia moglie ha pianto a litri leggendo “la foto sulla spiaggia”) e “Sono stato un numero” è unico nel suo genere.Non sapevo del Colonnello Riccardi,adesso ci conosciamo per mail e per cellulare(prima o poi faremo conoscenza diretta)ma ho sentito la persona che è dentro la Divisa ed è(nella sua Semplicità e nella sua grande Umanità ,una Bella Persona, Rara ed Eccezionale! Ancora Complimenti per l’Intervista,spero che la Tua vita professionale,come la Tua vita privata sia sempre piena di Belle Cose e di Ottima Salute!
Cordialmente,Domenico
P.S.Se senti Roberto,me lo saluti?
20 novembre 2015 alle 19:25 |
Non si preoccupi!Sono contenta di leggere le belle parole su Roberto Riccardi di cui ho la stessa idea. La sua impressione è fedele alla realtà. Gli porterò i suoi saluti. La ringrazio moltissimo per la sua attenzione.
21 novembre 2015 alle 18:28 |
Grazie per la cortese risposta,questa volta ho guardato in tempo la mia P.E.Ancora una volta le faccio i migliori auguri per il suo futuro di vita e di professione.
Da Napoli La saluto cordialmente,Domenico