Emilia Bersabea Cirillo, autrice di racconti e romanzi che sembrano dedicati ai suoi protagonisti, per la passione con cui li descrive, ma soprattutto alla sua terra, per il calore con cui ne narra, risponde volentieri alle nostre domande sulla sua scrittura ma anche sul suo essere scrittrice nella sua Terra, l’Irpinia.
La tua è una scrittura molto intensa, pregna di valori, di idee e di riflessioni che i protagonisti dei tuoi racconti regalano al lettore attraverso dialoghi o pensieri da cui si dilatano immagini sul mondo che li circonda. Quanta Cirillo c’è nei tuoi personaggi e quanto di loro in te?
Ogni scrittore racconta se stesso, ma dal rovescio, come i maestri degli arazzi Gobelins, per usare una metafora cara a Edith Wharton. Credo che accade questo nei miei libri. Racconto il mio mondo servendomi di “finzioni” così reali che potrebbero essere vere, anche guardate dal rovescio del lavoro. La scrittura è una strana malattia che ci fa investigare senza sosta le vite dei fantasmi che ci assediano. E sono tutti miei, questi fantasmi, è il mio passato, le mie emozioni, i miei sogni, il mio vissuto che chiede di uscire da me, si allontanarsi dal buio. Non è un caso che per un libro si usa dire “è venuto alla luce” allo stesso modo che per un neonato, appena partorito. E quindi per rispondere alla tua domanda, c’è tanta Cirillo nei miei personaggi, quanto loro sono capaci di contenere, ma c’è anche tanta anti Cirillo, che critica e nega e si interroga senza sosta, e c’è anche quella che tira le fila di tutto, come una maestra burattinaia che racconta la sua storia senza essere vista, usando una tecnica di cui è diventata padrona nel tempo.
In genere gli irpini hanno un legame profondo con la loro Terra e tu non sembri essere da meno, sicuramente questo legame lo hanno i tuoi personaggi. Cosa ti ha dato l’Irpinia e cosa pensi di aver dato tu alla tua terra d’origine?
L’Irpinia mi ha regalato la sorpresa di essere una terra solitaria, silenziosa, aspra, con un dialetto che varia da paese a paese. Mi ha dato il vento, il tufo, l’argilla, le forme del pane, le case con le scale esterne e con i camini di pietra. Mi ha dato paesaggi luminosi, montagne dai contorni inconfondibili, sorgenti e boschi scuri. Mi ha offerto la possibilità di appartenere a qualcosa, che non fosse solo il suolo su cui camminavo. Mi ha dato storie da raccontare. Cosa ho dato io? Poco, rispetto a quello che una terra così speciale ha dato a me. Ha avuto la mia attenzione, le mie parole. È diventato il luogo delle mie storie.
Nel libro Una Terra Spaccata, pubblicato dalle edizioni San Paolo, la protagonista, Gregoriana, originaria di Roma, vive la sua esperienza in Irpinia con gli occhi di una straniera, ne Gli incendi del tempo, edito da Et. Al., invece i protagonisti sono oriundi che vivono o fanno rivivere la loro patria in terra straniera, attraverso parole, pensieri, atteggiamenti che rimandano al loro essere irpini e al contempo meridionali. In entrambi i casi ne esce un quadro positivo della tua terra, è realmente ciò che pensi?
Gregoriana non è irpina, ma subisce la bellezza di questa Terra, come se fosse un battesimo, una promessa di un futuro migliore. Si spenderà con tutte le sue forze per evitare che una discarica venga costruita sul Formicoso, appunto nella terra spaccata. In questo sarà supportata da un comitato popolare che si è formato spontaneamente e che lotterà lungamente per la difesa del suo territorio, anche dopo che lei è andata via dall’Irpinia. Ne Gli incendi del tempo i personaggi sono migranti, della vita e della terra, spesso senza più un ritorno. Per loro l’Irpinia costituisce un tentativo di trovare un approdo. L’Irpinia è stata ed è ancora terra di migrazione. I nostri antenati sono partiti per le Americhe, poi per la Svizzera e la Germania, poi per Torino e Milano. Ora i giovani laureati cercano lavoro dovunque, in Europa, soprattutto. Questa terra diventa sempre più povera di “capitale umano”. Dobbiamo accettare, quindi, lo “straniero” che arriva qui. L’accoglienza che ci aspettiamo abbiano i nostri figli all’estero, dobbiamo renderla in questa terra a chi arriva per cercare lavoro.
Dedicarsi alla scrittura in una realtà territoriale come può esserlo la città di Avellino quant’è difficile considerando che si è lontani dal mondo editoriale, dalla distribuzione e quant’altro possa aiutare a interagire con gli editori ma anche con i lettori?
È difficile sempre entrare nel mondo editoriale, soprattutto per chi come me non scrive libri di genere. Il principale difetto dei miei libri è che sono troppo letterari, così mi è stato detto qualche volta. E quindi non certamente vendibili al grande pubblico, come può essere vendibile un noir, un giallo, un fantasy, un libro erotico, una spystory. Credo che più della lontananza dai centri “del potere editoriale”, cioè Milano, essenzialmente, Torino, Roma, di cui però soffre non solo Avellino ma tutta la Campania, il vero problema di chi scrive narrativa oggi, è trovare case editrici e agenti letterari capaci di apprezzare storie e scritture che siano, per fortuna, letterarie. E cioè colte, ricercate. Che raccontino il qui e l’ora. I lettori vanno anche educati, non solo accontentati.
Ti va di anticipare qualcosa del tuo prossimo libro?
Sto lavorando a un romanzo. Speriamo bene.
Forse le storie della Cirillo trovano la loro forza proprio nel non essere destinate al grande pubblico, al consumo di massa, piuttosto indirizzate a chi persegue una lettura ricercata e questo non può certamente essere definito un difetto, soprattutto in campo editoriale dove non dovrebbe persistere la logica del profitto bensì quella della crescita culturale.
13 gennaio 2014 alle 9:31 |
[…] :: Un’ intervista con Emilia Bersabea Cirillo a cura di Irma Loredana Galgano. […]